Cultura

L’importanza di tornare a comprendere

di Rossana Cavallari

Comprendere. Credo sia questa una delle risposte che vorrei sentirmi dire in questi giorni e in queste settimane.

Giorni e settimane in cui sento tante parole delle quali, credo, non si conosca bene il senso e il significato.

Giorni e settimane in cui sento urlare piuttosto che fare silenzio e no non parlo di un silenzio complice ma di un silenzio profondo che permetta alle persone di fermasi un momento per riflettere su quello che sta accadendo. Su quello che ci circonda.

Siamo tutti complici, mi hanno chiesto poco tempo fa, durante un incontro nel quale spiegavo l’importanza di saper raccontare la nostra realtà oggi. Sì, siamo tutti complici nella misura in cui diamo spazio a un istinto che non viene più ponderato dalla ragione. Sì, siamo tutti complici nella misura in cui diamo spazio alla perdita di valori umani prima ancora che religiosi o politici. Sì, siamo tutti complici nella misura in cui pensiamo di poter pontificare verità assolute senza esserci presi il tempo di comprendere.

Comprendere termine di derivazione latina che significa, citando Treccani, contenere in sé e in particolare accogliere nella mente, nell’intelletto, afferrare il senso di qualcosa, stabilire una relazione tra più idee o fatti.

Deve essere qui, penso, in questa definizione che sta la soluzione.

Se tutti ci impegnassimo un po’ di più ad afferrare il senso di qualcosa forse, mi dico, sentirei meno parole ingiuste. Se tutti ci impegnassimo un po’ di più ad afferrare il senso di qualcosa forse, mi dico, proveremmo a metterci di più nei panni dell’altro. Se tutti ci impegnassimo un po’ di più ad afferrare il senso di qualcosa abbasseremo i toni e prima di dire a un essere umano “tornatene da dove sei venuto” ci penseremo due volte. Se tutti ci impegnassimo un po’ di più ad afferrare il senso di qualcosa prima di dire “qui non ti vogliamo, qui non sbarcare torna a casa tua” sapremmo che quella casa non esiste mentre esistono luoghi di detenzione non legalizzati nei quali vengono attuate le peggiori torture pensabili e immaginabili.

Non ho le soluzioni ai problemi attuali lo so bene anche se sono pronta a confrontarmi per capire cosa sia possibile fare nell’intenzione di migliorare la situazione. Pochi giorni fa mi è stato detto che, in fondo, io sono solo una ragazza radical chic che passa il suo tempo a scrivere.

È vero. Scrivo e cerco di farlo con consapevolezza. Quella consapevolezza che mi porta a capire che sono, da qualunque parte la si voglia vedere, una persona privilegiata nata dalla parte giusta del mondo (anche se giusta non so più tanto se lo sia) con tutte le capacità e gli strumenti utili per poter esprimere il mio pensiero dopo aver letto, riflettuto e messo in relazione dei fatti.

Questo non significa essere radical chic oppure essere d’accordo con chiunque. Anzi, significa fare una cosa molto più forte: avere il coraggio di prendere una posizione basata sulla capacità di dialogare. Senza urlare, offendere, fare proclami e sapendo che, ad ogni nostra espressione, corrisponde una reazione.

Ecco io, in questo momento, è di quella reazione che inizio ad avere timore. Perché una reazione fondata sulla non conoscenza genera paura, rabbia, livore, disagio.

Oggi sono i fenomeni migratori e la percezione del diverso. Domani potrebbe essere altro.

Cambiamo la rotta prima che sia troppo tardi.

Pensiamoci.

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