Mondo
L’importanza della parità di genere comincia dalla matematica
Nell’ambito del progetto WE – Women for Expo, Afronline ha intervistato Tarikua Woldetsadick, responsabile delle strategie per la parità di genere presso il CTA – Techical Center for Agriculture and Rural Cooperation
“Ignorando la metà della popolazione mondiale, nessuna società o nazione potrà assicurarsi una sicurezza alimentare sostenibile né uno sviluppo rurale interno” così afferma Tarikua Woldetsadick, responsabile delle strategie per la parità di genere presso il CTA – Techical Center for Agriculture and Rural Cooperation – un’istituzione internazionale peripatetica ACP-EU fondata allo scopo di incrementare la sicurezza alimentare e nutrizionale nei Paesi dell’Africa, Carabi e Pacifico (ACP), e monitorarne l’impiego sostenibile delle risorse naturali.
Essendo alla guida delle strategie per la parità di genere presso il CTA, in cosa consiste la tua linea di intervento e quali sono i tuoi principali obiettivi?
Fra i miei obiettivi imminenti figura la realizzazione di una guida concreta e dettagliata all’applicazione delle più recenti strategie per la parità di genere. In quanto funzionario del dipartimento di LME (Learning, Monitoring and Evaluation) presso il CTA, godo del privilegio di poter partecipare alle fasi cruciali del ciclo vitale di ogni progetto, una posizione che mi consente di garantire e promuovere l’inclusione delle problematiche di genere in ogni step dei piani di intervento messi in atto dal CTA. Il mio ruolo implica anche il compito di ideare e implementare dei segnali di avanzamento per quantificare gli effettivi diffusione e riconoscimento di suddette problematiche all’interno della nostra istituzione. Un ulteriore aspetto delle mie responsabilità consiste nel mantenere il CTA costantemente aggiornato sulle evoluzioni delle questioni agricole e di genere a livello mondiale. Là fuori, in ogni angolo del pianeta, c’è ancora un’enorme quantità di lezioni utili e sane pratiche che meritano di essere condivise, ampliate e discusse. Essendo la nostra organizzazione la depositaria del sapere per i Paesi dell’Africa, Carabi e Pacifico, non solo deve essere tassativamente informata su queste tematiche, ma anche agire attivamente per portarle alla luce.
Uno dei maggiori problemi per le donne operanti nel settore agricolo è l’accesso ridotto alle risorse produttive, quali la proprietà terriera, il credito, una formazione appropriata e le tecnologie dell’informazione. Qual è l’origine di questa condizione, e quali sono le difficoltà maggiori incontrate dal CTA nel tentativo di contrastare questi squilibri?
Le donne nei Paesi dell’Africa, Carabi e Pacifico formano un gruppo profondamente eterogeneo. Le ragioni per cui, al giorno d’oggi, sono ancora impossibilitate al pieno accesso alle risorse di cui sopra sono radicate nel loro contesto geografico. Oltretutto, ciascuna di esse è interrelata nonché immediata conseguenza dell’altra, così da generare un complesso ginepraio di fattori negativi. Per esempio, alle giovani donne può venire negata l’istruzione in virtù di variabili culturali che favoriscono i membri del sesso opposto, e ciò va a influire sulla loro disponibilità di credito e di tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Sebbene una piena comprensione di suddette cause e del contesto in cui esse agiscono sia necessaria, determinante sarà la dimostrazione di come intere società traggano vantaggio dal garantire pari opportunità a uomini e donne. Ancora un esempio: un aumento di dieci dollari nel reddito di una donna sortisce lo stesso effetto positivo sulla sicurezza alimentare e nutrizionale della famiglia pari a un aumento di centodieci dollari sull’entrata di un uomo. Grazie alle ultime strategie per la parità di genere, CTA mira ad accrescere e replicare simili esempi allo scopo di scatenare la mobilizzazione necessaria al miglioramento dei mezzi di sostentamento femminile su larga scala.
Secondo te, per quale motivo la parità di genere e il conferimento di un maggiore potere alle donne giocano un ruolo così essenziale per il futuro dello sviluppo agricolo e della sicurezza alimentare? Nel corso della tua carriera, hai avuto modo di verificare sul campo i benefici delle politiche volte a tale scopo?
Anzitutto, includere le donne nei processi mirati allo sviluppo è meramente una questione di logica matematica, dal momento che esse compongono il 50 per cento della popolazione mondiale. Ciò è valido anche per i Paesi dell’Africa, Carabi e Pacifico. Ignorando la metà della popolazione mondiale, nessuna società o nazione potrà assicurarsi una sicurezza alimentare sostenibile né uno sviluppo rurale interno. Inoltre, i vantaggi derivanti dall’attribuzione alle donne di una maggiore autonomia finanziaria, tecnologica e politica incidono non soltanto sul progresso umano di interi Paesi, ma costituiscono l’unico strumento per garantire un futuro sostenibile alle successive generazioni. Per esempio, in Ghana, le donne a cui sono stati concessi corsi di formazione e finanziamenti iniziali per portare la loro produzione di cacao a livello industriale ora coltivano e vendono la loro merce ad acquirenti su vasta scala, per poi devolvere parte del ricavato nella costruzione di una biblioteca da affiancare alla scuola dei loro figli. Le storie personali di queste donne rivelano come siano le loro stesse famiglie a rappresentare il loro primo campo d’investimento – in abbigliamento, cibo, igiene e istruzione. Ed è proprio così che avviene il cambiamento: una famiglia alla volta.
Attingendo alla tua esperienza personale, vorresti condividere un tuo intenso ricordo dell’Africa rurale?
Ero una giovane laureata in legge di appena ventun’anni, quando accettai un lavoro estivo per l’organizzazione GTZ – German Technical Cooperation Agency – (la cui sigla è ora mutata in GIZ) a Debra Tabor, nel nord dell’Etiopia. Non si trattava di un compito difficile, ma richiedeva di trascorrere due mesi in quel villaggio di agricoltori. E così, mi presento lì armata delle mie abitudini cittadine, del mio idealismo infarcito della garanzia costituzionale del diritto al cibo, e della pretesa di consumare tre pasti al giorno accompagnati dal tradizionale caffè etiope. Il mio primo giorno, imparai senza mezzi termini che non solo i contadini non consumavano tre pasti al giorno, ma anche che zucchero e sale erano beni di lusso che non andavano certo sprecati nel rituale quotidiano del caffè. Ero allibita, furiosa, pronta a ribellarmi contro il governo che non adempiva il suo dovere, commossa da quanto duramente le donne fossero costrette a lavorare per sfamare le loro famiglie. Erano talmente malnutrite che, raggiunti a malapena i trent’anni, avevano già perso buona parte dei denti. Eppure, ovunque andassi e qualunque famiglia di agricoltori visitassi, mi veniva sempre offerto del cibo, e il gesto di non accettarlo era considerato offensivo. Una volta, la donna di una famiglia da cui ero ospite cominciò a piangere guardandomi mangiare. Incerta su come reagire, le domandai il perché di quelle lacrime, e lei mi rispose chiedendomi se nella capitale in cui vivevo ci fosse abbastanza cibo. Quando cercai di capire che cosa intendesse, lei disse: “Be’, è che sei così magra!”. Eccomi lì, con le mie idee grandiose per la testa mentre quelle donne si rammaricavano per me. Fu una lezione che non dimenticherò mai.
Esiste un piatto con un valore particolare per te e, in tal caso, perché? Vorresti condividerne la ricetta?
Più che un piatto, è una cerimonia tipica del Capodanno. In Etiopia, c’è una medicina tradizionale che noi chiamiamo feto, ma il cui nome latino è Lepidium sativum. Viene preparata pestando una manciata di piccoli grani neri mediamente tostati, a cui si aggiungono succo di limone e un pizzico di sale. La mistura così ottenuta viene accompagnata da una piccola porzione di injera – ossia il nostro pane tradizionale al teff, un cereale tipico del Paese nonché un alimento base per la popolazione etiope – da spezzettare a mano e intingere nel composto. Il feto possiede un elevato valore medicinale e dev’essere consumato a piccole dosi a causa delle sue proprietà lassative: un cucchiaio è più che sufficiente. Essendo il Capodanno il momento dei nuovi inizi, ogni famiglia in Etiopia viene svegliata alle prime ore dell’alba dalla donna di casa per ricevere un assaggio di quell’amara poltiglia. Nella mia famiglia, questo ruolo apparteneva a mia nonna. Ricordo ancora le sue mani tremanti che cacciavano quella medicina giù per la mia gola, mentre io ero ancora mezza assopita. Oggi porto con me il feto macinato in ogni mio viaggio: ne faccio uso per curare il mal di stomaco, o mi limito ad annusarlo per riaccendere il ricordo di mia nonna.
Il tema proposto per Expo Milano 2015 è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. In che modo l’Esposizione Universale potrà promuovere il ruolo delle donne, della scienza e della tecnologia africane in un’ottica futura di sviluppo agricolo e sostenibilità ambientale?
Nonostante l’enorme mole di informazioni e di sapere alla quale possiamo attingere oggigiorno, e a discapito delle conoscenze ormai diffusesi sul ruolo delle donne africane nel settore agricolo, circola ancora una certa reticenza al riguardo. Per esempio, c’è un cospicuo numero di progetti coordinati da donatori volontari che non hanno avuto l’atteso riscontro in Africa a causa della convinzione generalizzata per cui un’unica soluzione possa bastare all’intero continente. Nell’ambito delle più valide occasioni di dibattito come Expo Milano 2015, sarà possibile ribadire il concetto per cui l’Africa è un continente composto da 54 Paesi e animato da oltre un migliaio di lingue e dialetti, e che nessuna risposta universale al problema delle donne in agricoltura potrà mai essere sufficiente.
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