Welfare

L’importanza del lavoro per i ragazzi del carcere minorile

Lo scorso Natale sette ragazzi sono evasi dal carcere minorile di Beccaria. A Bari la cooperativa Semi di Vita coniuga l’attività di agricoltura sociale con l’inserimento lavorativo di minori provenienti dalla giustizia riparativa. Oggi gestisce 28 ettari di terreni, di cui 26 confiscati alla mafia, e nel carcere minorile ha aperto una serra per coltivare funghi

di Emiliano Moccia

Quando ha scoperto che il terreno su cui avrebbe lavorato era proprio di fronte al mare, è scoppiato a piangere. Perché Roberto fino a venti giorni prima viveva in cella, ristretto insieme ad altri detenuti per un reato che aveva commesso quando di anni ne aveva solo 16. Doveva scontare una pena lunga 8 anni, ma è tornato a respirare il profumo della libertà, del riscatto sociale. Anche se ai domiciliari, infatti, Roberto ha iniziato a Bari un percorso di inclusione socio-lavorativa sui terreni confiscati alla mafia presenti a Japigia, venendo coinvolto negli interventi di agricoltura sociale che la cooperativa Semi di Vita porta avanti dal 2014 per offrire un’opportunità di rinascita per i giovani che provengono dalla giustizia riparativa.

Un cammino probabilmente diverso da quello vissuto dai sette ragazzi evasi dal carcere minorile Beccaria di Milano lo scorso giorno di Natale. I sette giovani, di cui solo tre al momento maggiorenni, erano riusciti a scappare approfittando di un momento di distrazione di una guardia e della presenza di un cantiere all'interno dell'istituto minorile. Tra chi si è costituito e chi è stato ripreso, ora i ragazzi tutti rientrati in carcere, anche se la loro fuga ha riacceso il dibattito sul tema del disagio giovanile e sulle misure idonee da adottare per arginare la recidiva e favorire reali percorsi di reinserimento sociale, soprattutto in considerazione della giovane età. La storia di Roberto ed il lavoro che porta avanti la cooperativa Semi di Vita raccontano che ci sono strade percorribili, interventi che possono offrire risposte a dibattito messo in moto dall’evasione dei sette giovani.

«Siamo partiti da 2 ettari di orto urbano sociale a Bari-Japigia, ed oggi gestiamo 28 ettari di terreni, di cui ben 26 su beni confiscati alla mafia a Valenzano. Il nostro obiettivo principale è quello di curare la terra, curando le persone. Dare una possibilità a giovani dell’area penale di potersi riscattare attraverso il lavoro è per noi una missione molto importante». Angelo Santoro è il presidente di Semi di Vita. E’ lui che segue ogni attività della cooperativa ed ogni passo dei ragazzi con difficili situazioni di vita alle spalle alle quali viene data una nuova occasione per seminare bene. Semi di Vita, appunto, che ad oggi hanno permesso a due ragazzi che hanno avuto problemi con la legge di essere regolarmente assunti e di progettare un futuro migliore.

«Vogliamo allargare le opportunità di lavoro, inserendo altre 3-4 figure sempre proveniente da situazioni di fragilità». Anche per questo, la cooperativa ha aperto «un punto vendita certificato biologico in cui vendere i nostri prodotti freschi e quelli di produttori locali». Perché di lavoro a Semi di Vita ce n’è davvero tanto da fare. «Nei 26 ettari di Valenzano, i nostri ragazzi si prendono cura degli alberi di mandorli, melograni, ulivi, albicocche. Abbiamo realizzato anche un giardino di piante mellifere per salvaguardare le api e permetterle di sopravvivere sia d’inverno sia d’estate. E stiamo per partire con un pollaio con 1.400 galline ovaiole». Ma non è tutto.

A giugno ha preso il via il progetto “Cardoncelleria Fornelli”, la serra di 330 mq per la coltivazione di funghi cardoncelli e di un laboratorio di confezionamento di 70 mq partito all’interno dell’Istituto Penale per Minorenni Fornelli di Bari. Merito di “(ri) Abilita – Agricoltura sociale per l’inserimento lavorativo di giovani dell’area penale”, il progetto sostenuto da Intesa Sanpaolo. «Oltre a lavorare nella serra» prosegue Santoro «adesso sarà anche possibile essiccare i funghi, per poi passare alla zucca, ai pomodori, ai vari prodotti che coltiviamo. Grazie ad un intervento del Ministero della Giustizia abbiamo potuto acquistare un essiccatore professionale che ci consentirà di fare quest’altro salto di qualità».

Perché alla fine dei conti ciò che interessa di più è la capacità di stare sul mercato. «Se pensiamo agli inizi, possiamo dire che in questi anni siamo cresciuti molto. Non è facile coniugare l’aspetto dell’inserimento lavorativo con quello dell’agricoltura sociale. Oggi sicuramente c’è un’attenzione maggiore su questi temi. Alla base di tutto, però, ci vuole l’attività economica, la capacità di riuscire a vendere i prodotti ed una comunità che risponda» conclude Santoro. Il lavoro, dunque, come forza riabilitante ed inclusiva per giovani in condizioni di fragilità e come scommessa per rigenerare i beni della collettività. Ed i Semi di Vita in questa fetta di Sud Italia continuano a fiorire. Speriamo anche in altre zone del Paese.

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