“ .. evidenziando la scalabilità e la replicabilità del progetto.. ”è difficile non scorgere dentro i bandi che premiano o finanziano start up questa dicitura ormai divenuta ingrediente base per la ricetta che seleziona le future imprese di successo. Si finanzia e si premia ciò che può essere modellizzabile, replicabile e scalabile.
La lettura tradizionale dell’impatto è “verticale” e si sostanzia in un processo di accelerazione di un’impresa sostenibile, capace di produrre valore aggiunto e che può essere replicata, dopo la necessaria fase di testing, anche in diversi contesti competitivi e geografici.
Scalabilità e replicabilità, sono le due caratteristiche fondamentali per selezionare le nuove imprese innovative; la prima si collega alla capacità di una start up di essere attrattiva per chi investe e la finanzia, la seconda coincide con la capacità di riuscire a “modellizzare” il business model (scusate la ripetizione) di un impresa, al fine poi di poterla industrializzare in processi di larga scala (oppure di fare exit ossia venderla).
Questa narrazione quanto è replicabile se ci spostiamo nel terreno delle imprese sociali o delle nuove start up sociali? A tal proposito credo si debba dire qualcosa di più, sul “come” si genera impatto.
Osservando la realtà è fin troppo evidente riconoscere come l’impatto, nel sociale, si produce innanzitutto “in orizzontale” ossia aggregando la diversità e non replicando il modello. Non sto affermando che la dimensione, le economie di scala, i big players, i processi di industrializzazione nel mondo delle imprese sociali non funzionano o non vadano incentivati…. tutt’altro, ma se non aggiungiamo alla tradizionale lettura verticale dell’impatto, quella orizzontale che nasce dall’aggregazione,rischiamo di perdere la biodiversità di un mondo che produce innovazione ma che per natura, in molti casi, non è scalabile e non è modellizzabile.
Le motivazioni intrinseche dei fondatori, la dimensione collettiva dei promotori, il capitale sociale della comunità, la qualità del coinvolgimento degli stakeholder, le identità territoriali, non sono asset così facilmente riproducibili e industrializzabili; tutto quello che è “community focus” è riproducibile solo a partire da processi di rigenerazione delle comunità, l’esito finale sarà perciò sempre diverso, anche se si segue lo stesso spartito.
Ecco che quindi aggregare l’innovazione sociale, quella localizzata e non scalabile, diventa così un processo virtuoso capace di alimentare un impatto sistemico dove il risultato finale è una produttoria e non una semplice sommatoria dei benefici.
Socializzare e trovare nuove forme di aggregazione delle esperienze che nascono dal basso, in uno stesso territorio, nella stessa filiera produttiva, nella stessa categoria di beneficiari, nello stesso spazio fisico..diventa meccanismo generativo di un nuova forma d’impatto: l’impatto della moltitudine….. InMovimento.
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