“Ma lo sai che queste pubblicazioni hanno l’impact factor di Topolino?” Così si esprimeva qualche tempo fa il ricercatore di una prestigiosa Università estera. E il riferimento, impietoso, era a sacri testi sull’impresa sociale italiani ed europei. Le pietre d’angolo che fondano il pensiero teorico – concettuale in materia. La rilevanza di queste pubblicazioni, misurata guardando al punteggio attribuito alle riviste scientifiche che le ospitano, è praticamente zero. Con una battuta si potrebbe dire per disegnatori e sceneggiatori l’impact factor di Topolino è tutt’altro che basso, ma il tema, come si può intuire, è di ben altra rilevanza. E riguarda la conoscenza scientifica, in particolare quella che si produce sull’imprenditoria sociale. Da una parte è vero che gran parte di essa è ai margini del dibattito scientifico, perché non ha saputo (o voluto) competere con la produzione dominante (soprattutto in campo economico) e con i suoi sistemi di valutazione. D’altro canto va considerato che, soprattutto nelle sue prime uscite, si trattava di prodotti scientifici molto orientati ad accompagnare lo sviluppo di un settore emergente, quindi tutt’altro che distanti per approccio e linguaggio rispetto agli oggetti di studio. A conferma del fatto che si trattava di una conoscenza immediatamente attivabile e quindi scarsamente codificata in termini scientifici, basta guardare al successo di concetti elaborati nel campo della ricerca – ad iniziare proprio da quello di impresa sociale – tra gli addetti ai lavori. Questo rapporto ravvicinato è però in crisi. E l’origine di questa crisi consiste nel successo dell’impresa sociale. Un fenomeno che si manifesta in contesti sempre più ampi e in forme sempre più variegate: per collocazione geografica, settore d’intervento, forme regolative, culture di riferimento, ecc. E’ necessario quindi che la produzione scientifica intraprenda un tragitto più lungo e, inevitabilmente, più complesso. Non solo perché pubblicare su riviste referate rappresenta (o dovrebbe rappresentare) la modalità per valutare i percorsi di carriera dei ricercatori, ma anche perché la sfida è di misurarsi con una produzione scientifica che in generale è sempre più attenta a strategie e comportamenti sociali delle organizzazioni d’impresa. Una sfida scientifica quindi, ma anche politico culturale e che peraltro dovrebbe vedere coinvolti anche gli stessi imprenditori sociali. A questi ultimi, infatti, spetta il compito di interloquire con una comunità scientifica a sua volta più ampia e diversificata, magari meno orientata a rispondere ai bisogni di sviluppo delle organizzazioni, ma in grado di fornire conoscenze più articolate e approfondite. Ricercatori più distanti quindi, e magari con una certa tendenza all’autoreferenzialità come ricordava un bell’articolo pubblicato sulla Standford Social Innovation Review di qualche tempo fa. Ma anche in grado di contribuire, sul loro piano, a cambiare le regole del gioco.
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