Welfare
L’immigrato ha trovato terra ad alta quota
Un giornalista su strade insolite
«È albanese, ma è tanto bravo». Nelle montagne del Nord-Ovest
gli immigrati (ben accolti) stanno ripopolando i borghi fantasma.
E così sono tornati persino gli scuolabus Le sue grandi passioni si incontrano ad alta quota. Maurizio Dematteis fa il giornalista, scrive di montagna e, lavorando per il mensile Volontari per lo sviluppo, si occupa del Sud del mondo. Assieme ad altri giornalisti, professori e ricercatori universitari ha fondato l’associazione Dislivelli, con l’obiettivo di studiare le trasformazioni in atto nelle montagne del Nord-Ovest. Così, esplorando i borghi e le valli piemontesi, Maurizio si è accorto di alcune piccole rivoluzioni. Nuovi cittadini da tutto il mondo popolano paesi che rischiavano l’abbandono e che oggi, invece, si trovano ad aver bisogno di un pulmino per portare i piccoli a scuola. Parte dall’osservazione di questi microstravolgimenti la sua indagine, intitolata Mamma li turchi, in via di pubblicazione. Di tutte le persone che ha incontrato nei suoi viaggi, Maurizio, che ha 40 anni e un figlio appena nato, è rimasto colpito da Chen Rongyong, un ragazzo cinese di 17 anni. Chen gli ha detto: «Mio padre ha già 46 anni e ora tocca a noi figli lavorare per mantenere la famiglia».
Vita: Come mai ha deciso di raccontare l’immigrazione nelle valli?
Maurizio Dematteis: Ho iniziato a osservare questo fenomeno quattro, cinque anni fa: molti stranieri decidevano di stabilirsi e investire nei territori di montagna. Oggi rappresentano anche il 10% della popolazione in alcuni borghi. Le provenienze sono diverse, ma ho individuato 14 comunità più consistenti, dalla Repubblica Dominicana all’Europa dell’Est. Alcuni lavorano nell’agricoltura e pastorizia, altri sono operai, come gli ivoriani di Dronero. Una grande comunità cinese vive a Barge e Bagnolo e lavora nelle cave di ardesia, mentre a Pomaretto sono i polacchi a essere impiegati nelle cave di talco. Molte donne fanno le badanti, come le dominicane di Borgo San Dalmazzo o le moldave di Garessio.
Vita: Ma cosa li spinge a trasferirsi ad alta quota?
Dematteis: Spesso è una decisione femminile: le mamme scelgono la provincia per i loro bambini, perché è più sana. Un’altra motivazione ricorrente è la possibilità di comprare una casa a un prezzo ragionevole. Alcuni immigrati fanno i muratori e acquistano case che sistemano loro stessi. Questo è positivo anche perché si salvano luoghi che sembravano ormai destinati all’abbandono.
Vita: I nuovi arrivati riescono a integrarsi?
Dematteis: In generale, rispetto alla città, c’è una maggiore diffidenza iniziale, che spesso viene anche esplicitata senza mezzi termini. Insomma, la gente glielo dice in faccia: «Cosa vieni a fare quassù?». Ma dopo il primo impatto forte si passa alla conoscenza diretta della persona e il più delle volte cadono i pregiudizi e si passa al classico giudizio: «È albanese, ma è tanto bravo». In città è più difficile instaurare rapporti stretti di vicinanza. Certo, in paese restano le chiacchiere da bar, con battute pesanti e razziste, ma non si è mai arrivati a episodi di intolleranza.
Vita: E per lei che arrivava dall’esterno, è stato facile incontrare le persone o hai trovato diffidenza?
Dematteis: Quando ha raccontato lo spopolamento delle valli montane trent’anni fa, Nuto Revelli diceva che la cosa più difficile era farsi introdurre nelle case da una persona di fiducia. Il lavoro più grosso, anche per me, è stato trovare i canali giusti per incontrare le persone. In alcuni casi però è stato facile. A Garessio, 3.500 abitanti di cui 208 stranieri, per esempio, sono stato presentato alle 23 donne della comunità moldava dal vicesindaco, in Comune. Nei piccoli centri, infatti, è più facile anche avere un rapporto diretto con gli enti locali.
Vita: Racconta di un centro culturale maghrebino a Bussoleno, in Val di Susa. Come è stato accolto dagli autoctoni?
Dematteis: Mi pare che la gente lo stia “studiando”. Aspettano di vedere cosa succederà in questo piccolo centro di 6.600 abitanti. C’è anche chi ha paura e vede con diffidenza questi cambiamenti, che stanno stravolgendo pure l’aspetto esteriore delle valli alpine. Altri sono entusiasti. Sempre a Bussoleno, una famiglia di marocchini ha aperto un negozio di prodotti etnici in quello che un tempo era, in dialetto, il vegè, l’emporio di paese. Stava per chiudere perché i coniugi che lo gestivano sono andati in pensione e non c’era nessuno che volesse continuare l’attività. Sotto gestione marocchina ha ripreso vita, cambiando volto e clientela.
Vita: Le sue interviste sono iniziate nel 2008 e proseguite durante tutto il 2009, in piena crisi economica. Le famiglie immigrate riescono ad avere ancora una visione ottimistica?
Dematteis: È il punto di partenza che cambia. L’italiano parte da una situazione spesso migliore, ha potuto studiare, ha una famiglia che lo sostiene e che non deve mantenere, etc. Lo straniero, invece, non ha nulla da perdere. È vero, molti hanno perso il lavoro, sono in cassa integrazione e hanno il mutuo da pagare. Ma nonostante le difficoltà, resta la convinzione che la loro vita migliorerà, quindi fanno di tutto perché sia così, non si lasciano abbattere. Una potente iniezione di energia, in un mondo che pareva destinato all’abbandono.
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