Non profit

Limiti e potenzialità della filantropia istituzionale

di Bernardino Casadei

Vi è chi afferma che il nostro compito, come associazione di categoria, sia quello di comunicare che la filantropia istituzionale è lo strumento migliore per sostenere finalità d’utilità sociale. Personalmente non ne sono convinto, credo piuttosto che il nostro compito sia quello di mostrare quando ed a quali condizioni ciò sia vero. Se infatti, in alcuni casi, non vi sono reali alternative: quando sono morto l’unico modo per perseguire nel tempo i miei valori è necessariamente attraverso un’istituzione, ve ne sono molti altri in cui non è affatto detto che l’uso della filantropia istituzionale sia la risposta migliore e, in ogni caso, spetta proprio al nostro settore mostrare quando e a quali condizioni ciò sia vero.

Che il mondo della filantropia istituzionale non sia sempre all’altezza delle proprie potenzialità lo dimostra il fatto che troppo spesso si punti sull’economicità, spesso a scapito dell’efficacia e della stessa efficienza. Non si cerca di dimostrare al donante come, grazie alle competenze e alle procedure che contraddistinguono l’operato della fondazione, questi può conseguire risultati altrimenti fuori dalla sua portata, ma si stressa il fatto che non ci saranno costi i gestione, perché tali costi sono coperti da altri. Questo è però un chiaro indice di come il nostro mondo non sembra in grado di valutare il proprio valore e, invece di illustrare la qualità del proprio operato, cerca di legittimarsi dicendo che costa poco.

Del resto, per chi eroga contributi a fondo perduto è spesso molto difficile dotarsi di indicatori semplici e sintetici, in grado di misurare la propria performance. Diventa quindi facile cadere nella contraddizione di un responsabile di una grande fondazione statunitense il quale elogiava la qualità delle proprie erogazioni, salvo poi non essere in grado di illustrare i criteri da lui utilizzati per valutare il loro valore. In realtà, probabilmente, non sono molte le fondazioni in grado di definire con criteri oggettivi e rigorosi la qualità delle proprie erogazioni e di spiegare cosa il donante ha potuto conseguire tramite loro che non avrebbe potuto realizzare gestendo autonomamente le proprie liberalità.

Il nostro è poi un settore che raramente viene sottoposto a critiche rigorose. Da un lato, chi ha ricevuto un contributo non vuole mancare di gratitudine, dall’altro, chi invece non lo ha ricevuto, non vuole precludersi l’opportunità di riceverlo nel futuro. Di norma dobbiamo imparare a difenderci dalle adulazioni e dagli elogi interessati, piuttosto che dalle critiche e viene spontaneo illuderci che effettivamente siamo così bravi come gli altri, almeno in nostra presenza, ci dipingono.

Se però vogliamo veramente contribuire al bene comune e sviluppare pienamente le nostre potenzialità è necessario sottoporre il nostro operato ad una critica rigorosa, iniziare a porci le domande difficili e verificare se siamo effettivamente coerenti con i principi che affermiamo perseguire. Per esempio, ormai non vi è ente d’erogazione che non affermi l’importanza delle reti e delle partnership, salvo poi mettere in opera procedure per la selezione dei beneficiari dei contributi che invece favoriscono forme di competizione fra le organizzazioni di cui si vorrebbe stimolare la collaborazione. Oppure si decide di investire in progetti che siano replicabili, ma poi è raro che ci si domandi come mai pochissimi fra essi siano poi stati effettivamente replicati e se quindi una strategia volta a selezionare il progetto migliore nella speranza che possa essere replicato e diffuso sia effettivamente il modo migliore per investire le proprie risorse.

Non basta proclamare che la filantropia è sviluppo, è necessario dimostrarlo ed è anche necessario chiedersi come sia possibile sfruttare le proprie potenzialità affinché esse possano avere il maggiore impatto possibile. Per questo l’assemblea di Assifero ha deciso di concentrare gran parte del proprio tempo in una riflessione volta ad individuare limiti e incongruenze che caratterizzano il nostro mondo. In una società in cui prevalgono le chiusure corporative, in cui ciascuno pensa che sia suo compito difendere la propria parte da qualsiasi critica, il mondo della filantropia istituzionale deve mostrarsi coerente coi propri valori che le impongono non solo di fare bene il bene, ma di farlo sempre meglio e di non accontentarsi delle tante belle iniziative che vengono realizzate attraverso i propri contributi.

Troppo spesso ci dimentichiamo che le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni, che la nostra società è complessa e che accanto alla buona volontà è necessaria non solo la sana dottrina, ma anche la disponibilità a controllare gli effetti imprevisti del nostro agire, evitando così di promuovere politiche sociali che si rivelino rimedi peggiori dei mali, come purtroppo è avvenuto molte volte. Forse, il modo migliore per conseguire i nostri obiettivi è quello di imparare ad essere umili, a mettersi al servizio di chi quotidianamente si confronta coi problemi con cui vorremmo confrontarci, offrire loro la nostra visione nella speranza che possa aiutarli a scorgere possibili via d’uscita, senza però illudersi di imporre soluzioni pensate a tavolino, piuttosto che catalizzare le tante energie che, perché troppo isolate, non riescono ad esprimere le loro potenzialità.

Personalmente sono convinto che la filantropia istituzionale sia sviluppo, che essa possa dare un contributo fondamentale alla crescita morale e civile, oltre che economica e sociale del nostro Paese, ma sono anche convinto che non basta proclamarlo, bisogna dimostrarlo. Per questo credo che il contributo più importante che un’associazione di categoria possa dare al nostro mondo, sia quello di costringerlo a confrontarsi con le proprie contraddizioni e riconoscere i propri limiti così da dotarsi di una strategia che gli permetta di essere pienamente degno della propria missione.

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