Cultura

Limitare la democrazia per uscire dalla società ottusa?

Come può aiutarci la filosofia a sciogliere i nodi davanti ai quali ci pone la società del nostro tempo? Quali grandi pensatori del passato hanno colto e descritto in anticipo l’egemonia del potere finanziario e il dominio della realtà virtuale in cui siamo immersi? E come è possibile oggi, a partire da quelle riflessioni, avviare un percorso per contrastare la crisi della democrazia rappresentativa?

di Pietro Piro

Per vincere l'impotenza interiorizzata

Nella prefazione a Il Tao della liberazione di Boff e Hathaway – un libro fondamentale a mio avviso per leggere il nostro tempo – Fritjof Capra scriveva: "Con l'avanzare del nuovo secolo, due fenomeni sono destinati ad avere un impatto fondamentale sul benessere dell'umanità. Uno è l'ascesa del capitalismo globale, l'altro è la costruzione di comunità sostenibili fondate sulla messa in opera della progettazione ecologica. Il capitalismo finanziario si associa alle reti elettroniche di flussi finanziari e informativi, l'ecoprogettazione delle reti ecologiche di flussi energetici e materiali. L'obiettivo dell'economia globale, nella sua forma attuale, è la massimizzare la ricchezza e il potere delle élite, quello dell'ecoprogettazione è massimizzare la sostenibilità della rete della vita. Oggi questi due scenari sono in rotta di collisione" (p. 13).

Ritengo sia sempre più evidente che è su questi piani di realtà che si gioca il futuro dell'umanità. La scelta di costruire o meno nuove opere colossali non nasconde, dietro l'apparente polemica sui costi-benefici, una tensione più profonda, più essenziale? Non siamo di fronte a scelte che implicano un modo diverso di essere nel mondo? Un modo diverso d'intendere la relazione tra uomo e ambiente?

Mettere in discussione l'idea di progresso basata sulla distruzione illimitata delle risorse non è forse "il punto di svolta" così tanto sperato e atteso? Non dobbiamo imparare cosa la natura ha da insegnarci piuttosto che studiare nuovi mezzi per derubarla?

Scrive sempre Capra: "Le tecnologie oggi a disposizione dimostrano chiaramente che la transizione verso un futuro sostenibile non è più un problema tecnico o concettuale. È un problema di valori e di volontà politica " (p. 17).

Valori e volontà politica, due parametri essenziali su cui dobbiamo cercare un confronto sociale ampio e profondo, per verificare se esiste una volontà comune di azione per dare avvio a "pratiche di liberazione" – che nulla hanno a che fare con i gesti violenti dimostrativi o con gli arroccamenti identitari – per vincere l'impotenza interiorizzata. Impotenza che porta al disfattismo e all'isolamento.

La società ottusa

Per ragionare su alcuni temi essenziali mi è stata molto utile in questi giorni, la lettura del volume di Paolo Ercolani, Figli di un io minore. Dalla società aperta alla società ottusa, Marsilio, Venezia 2019.

Libro denso e provocatorio che interroga alcuni luoghi comuni del nostro vivere civile. Secondo Ercolani siamo passati dalla "società aperta" di Popper alla società "ottusa" che è: "regolata dalla teologia dogmatica del mercato e dalla cosiddetta (e sedicente) intelligenza collettiva generata dalla Rete. […] una società che trova il suo fondamento nella chiusura al e del pensiero, nella mortificazione di tutto ciò che è conoscenza nonché nell'annullamento di quelle condizioni (etiche ed educative) che consentono la formazione di individui autonomi e dotati di senso critico. [….] una società di solitudini comunicanti." (pp. 19-20).

Quella descritta da Ercolani è una società fatta di persone eterodirette (p. 25) in cui il pensiero è mortificato dalla spietata logica del profitto, tendenzialmente superficiale e dipendente dalla produzione di merci e di spettacoli.

Ercolani ripercorre le tappe di questa espropriazione dell'umano appoggiandosi alla tradizione filosofica che ha saputo cogliere gli elementi di crisi e suggerire percorsi di liberazione. Ed è proprio filtrando le indicazioni della migliore tradizione filosofica che giunge a suggerire l'unico vero antidoto al dilagare dell'alienazione:

"Ogni persona dev'essere consapevole che solo attraverso un lavoro di introspezione, autocritica e analisi de sé potrà acquisire un'identità autonoma e conscia delle proprie potenzialità come dei suoi limiti. Questa è l'identità sana ed equilibrata che, salvo patologie di natura psicologica o medica, appartiene all'essere unano fornito di logos. Nessuna relazione con gli altri e nessun rapporto con il mondo circostante può avvenire in termini sani ed equilibrati se prima non si è imparato a relazionarsi con se stessi. La nostra epoca si caratterizza per il terrore con cui le persone evitano ogni occasione che le obblighi a stare da sole, a riflettere sulle domande fondamentali e sulle questioni radicali che caratterizzano l'esistenza umana a livello interiore ed esteriore. […] L'uomo pensante, libero e autonomo nelle sue scelte come nei suoi giudizi, è colui che riesce nell'impresa più ardua, in quest'epoca in cui la tecnologia impone una distrazione di massa senza limiti né sosta: ritagliarsi spazi e tempi per la riflessione, la conoscenza e lo studio attento di sé come del mondo in cui abita. Solo così può formarsi un atteggiamento generale che gli consenta di differenziarsi rispetto alle influenze ambientali, ai convincimenti acquisiti e a quelle idee collettive che ogni forma di potere si incarica di imporre per poter beneficiare dell'omologazione e della de-individualizzazione dei suoi sottoposti" (pp. 230-231).

Ercolani filosofo ci suggerisce una pratica di presa di coscienza dei limiti e delle potenze della propria anima che, a mio avviso, è la parte migliore del suo volume e che testimonia anche una consapevolezza profonda della funzione sociale dell'attività filosofica. Meno convincente invece, la sua proposta "politica".

Limitare la democrazia

Pur condividendo con Ercolani il fatto che: "La massa delle persone inadeguate a una cittadinanza attiva sta aumentando in maniera rapida ed esponenziale, come il numero dei politici e figure dirigenti impreparati ed eticamente irresponsabili di fronte al bene comune" (p. 270), non posso giungere alla sua conclusione di escludere dal diritto di voto (ma anche dal diritto di essere eletti) quelle persone che non risultino a conoscenza di una basilare conoscenza rispetto al funzionamento della macchina amministrativa, della storia, della teoria politica e costituzionale (p. 268).

Ercolani vorrebbe salvare la democrazia di fatto limitando la democrazia formale e introducendo livelli di meritocrazia "certificata".

Io non credo che possa essere percorribile una strada come quella proposta da Ercolani che ci tuteli dalla deriva che stiamo vivendo. Sé la nostra democrazia soffre così tanto di "cretinismo" è perché si è sempre troppo poco investito nell'educazione e nella formazione del cittadino. La cultura nel nostro Paese è ancora oggi un privilegio di una minoranza. La crisi economica ha ancora di più limitato le possibilità culturali di una larga fascia della popolazione che si ritrova sempre più esposta alla demagogia e alla violenza.

Si investe troppo poco in educazione, in pratiche di relazione, in vissuti di ricerca-azione. Siamo un paese tanto ricco di bellezza quanto incapace di leggerla attraverso i filtri dell'ecologia ambientale, mentale, sociale. Siamo, dal punto di vista delle educazione delle coscienze, un paese arretrato, obsoleto, corrotto. Come potrebbe un Paese come il nostro produrre una classe dirigente adeguata?

Questo tempo ci dice che dobbiamo ripartire da due cose, umilmente ma tenacemente: le relazioni e la conoscenza

Don Luigi Ciotti

Limitare la democrazia formale senza un parallelo piano educatico-culturale rischia ancora di più di creare esclusi e favorire logiche di potere e di controllo. Non è una strada percorribile e spero che Ercolani – la cui intenzione positiva è evidente dalla passione con cui scrive – sia solo una provocazione che ci serva a mettere in discussione troppi "luoghi comuni" dati per scontati.

Interazione

In questi giorni ho letto la Lettera a un razzista del terzo millennio di Don Luigi Ciotti, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2019. Un testo densissimo che ci aiuta a capire quali possono essere le nostre priorità. Per Ciotti occorre stare vicino alle persone escluse e discriminate accompagnandole in percorsi di cittadinanza. Per Ciotti: "si tratta di lavorare alla ricostruzione di un mondo dove la legalità e la prossimità, le regole e l'accoglienza, siano dimensioni non alternative ma complementari, facce di una medesima medaglia chiamata democrazia. […] La vera scommessa del nostro tempo si chiama interazione, lo scambio e l'arricchimento per tutti, base di una crescita culturale, sociale, economica" (pp. 66-67).

Dobbiamo tutti lavorare con una logica maieutica (e in questo senso ritorna sempre più attuale il metodo di Danilo Dolci) per diffondere pratiche di autocoscienza popolare che permettano alle comunità di ragionare sui propri bisogni, sui condizionamenti del mercato, sulle menzogne della tecnica. Solo attraverso processi di partecipazione popolare possiamo sperare nella possibilità di una nuova classe dirigente.

Non c'è dignità senza lavoro, non c'è comunità senza solidarietà, non c'è libertà senza giustizia sociale. Tre passaggi essenziali, a mio avviso, per uscire dalla società ottusa – così ben descritta da Ercolani – ed entrare in un nuovo ordine politico delle comunità così caro ad Adriano Olivetti e a chi scrive.

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