Non profit
Lilliput, il gigante ostinato. Si fa piccolo ma non s’arrende
La rete no global si è ritrovata a dieci anni dalla fondazione
di Redazione
La partecipazione alla vita dei “nodi” è calata, le adesioni anche. Ma molti aderenti si sono impegnati in altre realtà dell’economia solidale. Per questo
ora si apre una fase
di transizione. Ecco dove
porterà L’idea era geniale, il nome pure: Lilliput, il popolo dei nanetti sbucati da chissà dove che riesce, mettendosi insieme, ad avere ragione del gigante Gulliver, imbrigliandolo in una rete che lo rende inoffensivo. Era questo l’ideale di rete Lilliput, nata esattamente dieci anni fa alla vigilia dei movimenti no global di Seattle, e scesa in piazza con tutta la sua potenza popolare al G8 di Genova, quando con un felice passaparola riuscì a far dipingere di bianco migliaia di mani che si alzarono in corteo contro la violenza di quei giorni.
Di lì in poi, non ci fu quasi evento, appuntamento o manifestazione pacifista e “dell’altro mondo è possibile” che non vedesse Lilliput in prima fila. Inafferrabile – non ha mai avuto una struttura, un presidente, una sede – eppure influente, per anni ha dettato l’agenda dei no global di casa nostra. Poi, più o meno dal 2006, quando si svolse l’ultima assemblea nazionale, un lento declino. Nei numeri, soprattutto: dei 70 nodi del 2002 oggi se ne contano 39, di cui pochi davvero attivi. Nella visibilità: sul sito le “azioni urgenti” che invitano alla mobilitazione sono una nel 2008 (per Locri) e una nel 2009 (per Gaza). Negli aderenti: delle 700 associazioni dei tempi d’oro, oggi se ne contano appena 6.
Non c’è da stupirsi che lo scorso 9 e 10 maggio, all’ultima assemblea nazionale di Firenze, il tema fosse: ha ancora senso una rete Lilliput? «La risposta è sì», scandisce Anna Fazzi, responsabile del nodo di Milano, che a Firenze c’era con altri 50 delegati, tra cui Alex Zanotelli. «L’esperienza di rete Lilliput non si è esaurita, anzi attrae ancora, anche grazie all’autorevolezza che si è guadagnata sul campo. Certo, un ciclo si è chiuso, la fase dei soli nodi come l’abbiamo conosciuta finora è superata, anche perché la partecipazione è oggettivamente scesa. Ma Lilliput non è morta, anzi. Si è appena aperta una fase di transizione molto stimolante». In sintesi, spiegano i lillipuziani, a Firenze è nato un gruppo di discussione che, attraverso una mailing list, dovrà aprire la fase di «diagnosi dei nuovi bisogni» e gettare i semi dell’impegno futuro. Discorsi fumosi? «Assolutamente no», spiega Lisa Clark, tra i fondatori della Rete, esponente di punta dei Beati i costruttori di pace e oggi candidata al Parlamento europeo per Sinistra e libertà. «In effetti molti degli aderenti a Lilliput in questi anni hanno dato vita a esperienze innovative e interessanti, come i gruppi di acquisto solidale e i distretti di economia solidale, altri hanno proseguito la riflessione su altri temi in autonomia e oggi non hanno più bisogno del “cappello” della rete per continuare. Lilliput ha ottenuto il suo obiettivo: mettere in rete competenze, pratiche e intuizioni, non per impadronirsene, ma per creare soggetti consapevoli che oggi hanno le gambe per camminare da soli».
Gas e distretti: sono queste le parole chiave su cui si costruirà il futuro di Lilliput. «Nessuno se lo ricorda ora. Ma di consumo critico o di stili di vita sostenibili dieci anni fa non si parlava», continua Anna Fazzi. «Se oggi sono diventati consapevolezza si deve ad anni di lavoro sotterraneo. Oggi che tutti criticano la globalizzazione, e che a causa di questa ci si ritrovi in una crisi senza precedenti, conferma che siamo stati profeti. La società di oggi fa fatica a mobilitarsi? Non è certo colpa nostra, semmai di certa politica che tenta di anestetizzare la società civile». Il gigante, insomma, è ancora tutto da imbrigliare.
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