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Licenziamenti, tutele ridotte nel non profit

Il Consiglio dei ministri ha predisposto un provvedimento dopo la condanna del nostro Paese da parte della Corte di giustizia europea.

di Carmen Morrone

Al settore del non profit sta per essere estesa la disciplina dei licenziamenti collettivi. Ha infatti appena ottenuto il parere della commissione Politiche dell?Ue del Senato uno schema di decreto legislativo che modifica la legge n. 223 del 23 luglio 1991. Il provvedimento è stato predisposto dal Consiglio dei ministri dopo la condanna del nostro Paese da parte della Corte di giustizia europea. I giudici Ue hanno infatti imposto l?attuazione della direttiva 98/59/CE, che in caso di licenziamenti collettivi prevede obblighi informativi e di consultazione con le parti sociali sia per i datori di lavoro imprenditori sia per quelli non profit. “Positiva l?estensione della disciplina”, dice il Forum del Terzo settore, “ma i lavoratori abbiano gli stessi diritti”. Oggi in Italia la disciplina dei licenziamenti collettivi, con le sue tutele a favore dei lavoratori, viene applicata solo ai datori di lavoro “imprenditori”, cioè coloro che, secondo l?art. 2082 del Codice civile, svolgono un?attività con fini di lucro. Succede, dunque, che l?impresa in crisi presenta un piano di riorganizzazione con l?intervento d?integrazione salariale per i lavoratori. Se non è in grado di garantire il reimpiego ai lavoratori sospesi, l?impresa ha facoltà di avviare le procedure di mobilità. In questo caso, deve preventivamente comunicare ai sindacati e alle associazioni di categoria le ragioni dell?eccedenza, il numero dei lavoratori interessati e dimostrare di aver versato all?Inps la somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale moltiplicato per i lavoratori eccedenti. Se il conseguente esame congiunto per cercare di reimpiegare il personale fallisce, l?impresa sceglie secondo determinati criteri i lavoratori da mettere in mobilità. L?art. 5 della l. 223/91 a questo punto prevede degli ulteriori oneri contributivi a carico dell? impresa, per sostenere gli interventi assistenziali e previdenziali. Per il periodo di mobilità il lavoratore riceve un?indennità e una volta iscritto nelle relative liste all?ufficio regionale del lavoro ha la precedenza nelle assunzioni (per le lavoratrici sono previste agevolazioni ulteriori). Lo schema di decreto legislativo ora in esame in Parlamento va a modificare l?articolo 24 della l. 223 del 1991, introducendo i nuovi commi 1bis e 1ter. Applicando l?estensione di disciplina richiesta dall?Unione europea, esso esclude però l?applicazione al non profit delle regole relative agli ammortizzatori sociali. In particolare, il datore non profit non deve versare la somma all?Inps a titolo di anticipazione sulla somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale moltiplicato per il numero dei lavoratori eccedenti. Ai lavoratori in mobilità non viene corrisposta la relativa indennità. Avranno precedenza nelle assunzioni, ma non valgono le facilitazioni per il ricollocamento. E nel caso di recesso disposto dai datori di lavoro non imprenditori (che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione e di culto), dichiarato inefficace o invalido, non si applica l?art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Nel corso della discussione in commissione, il relatore Mario Greco (FI) ha affermato: “Dalla nuova normativa è esclusa l?applicazione degli ammortizzatori sociali non essendo al riguardo previsti degli obblighi né dalla direttiva 98/59/CE né dalla sentenza della Corte di giustizia europea del 16 ottobre 2003”. Il Forum del Terzo settore ha immediatamente rilevato la grave lacuna e il 9 febbraio scorso ha chiesto un incontro con il ministro Roberto Maroni: “è un bene che la disciplina dei licenziamenti collettivi venga estesa anche al non profit”, affermano i portavoce Edoardo Patriarca e Giampiero Rasimelli, “ma ci preoccupa molto apprendere che lo stesso decreto non riconoscerebbe ai lavoratori delle realtà non profit le agevolazioni previste per il profit (ammortizzatori sociali, indennità di mobilità, agevolazioni contributive, strumenti di ricollocazione). Confermare questa linea contrasterebbe con quanto si è definito nel ddl sull?impresa sociale”.

Info: DUE COMMI IN DISCUSSIONE

Lo schema di dlgs consta di un unico articolo che integra con due nuovi commi l?art. 24 della l.223/91 art. 24, comma 1bis (…)I lavoratori licenziati vengono iscritti nella lista di cui all?art. 6, comma 1, senza diritto all?indennità di cui all?art. 7. Ad essi non si applicano le disposizioni di cui agli art. 8 e 25. art.24, comma 1ter L?art. 5 comma 3, ultimo periodo, non si applica nei confronti dei lavoratori licenziati da datori di lavoro non imprenditori che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, o di religione e culto.

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