Non profit

Libia, tutti contro tutti

Tensione Francia-Italia, divisioni politiche, i raid continuano

di Franco Bomprezzi

Una guerra che divide, non solo l’opinione pubblica, ma anche i governi occidentali. L’Italia si smarca dal bellicoso Sarkozy, ma lo fa tardivamente, e colpisce la frase di Berlusconi: “Sono addolorato per Gheddafi”. I giornali continuano a seguire con grande spiegamento di pagine gli avvenimenti libici.

“La guerra libica divide Italia e Francia” è il titolo che apre il CORRIERE DELLA SERA. Servizi fino a pagina 15. Due editoriali affiancati in prima: “Incertezze e dubbi fuori tempo” di Franco Venturini, e “Gli interessi nazionali e le ipocrisie” di Piero Ostellino. Ma molti gli approfondimenti che partono dalla prima, fra i quali spicca il contributo di Bernard-Henry Levy, ispiratore di Sarkozy, che scrive: “L’inganno del rais che va svelato”. Ecco cosa scrive il filosofo francese: “Con questo Gheddafi non esistono negoziati né compromessi possibili. Al suo terrorismo senza limiti la comunità internazionale ha il dovere di rispondere, all’unisono con il popolo libico e il suo Consiglio nazionale di transizione: «Gheddafi, vattene!» . Infatti, cosa vogliono i libici liberi? Chi sono? E cos’è il Consiglio nazionale di transizione che Nicolas Sarkozy, per primo, con un gesto politico decisivo e al tempo stesso coraggioso, ha riconosciuto? Certamente, non sono degli angeli (è da lungo tempo che non credo più agli angeli…). Non sono democratici alla Churchill, nati, chissà per quale miracolo, dalla coscia del gheddafismo (di cui alcuni furono, prima di disertare, servitori e debitori). Forse, ci sono fra loro persino antisionisti, magari antisemiti mascherati da antisionisti (sebbene, in nessuno degli incontri avuti a Bengasi e poi a Parigi, con nessuno dei loro dirigenti, abbia mai omesso di dire chi sono e in cosa credo). Penso solo che questi uomini e donne, come i loro fratelli della Tunisia, dell’Egitto o del Bahrein, siano in cammino verso una democrazia di cui stanno reinventando, a grande velocità, i principi e i riflessi. E sono sicuro che questi combattenti, che hanno imparato, di fronte alle colonne infernali e ai carri armati, cosa voglia dire libertà e in quale lingua dello spirito si scriva tale parola, saranno sempre meglio di un dittatore psicopatico che dell’apocalisse aveva fatto la sua ultima religione”. Ma torniamo al pezzo di Franco Venturini, che nelle prime righe fotografa la situazione geopolitica: “Gli aerei militari continuano a svolgere regolarmente le loro missioni, ma al suo terzo giorno l’operazione «Alba dell’Odissea» sta già vivendo una grave crisi politica che ha per protagonisti principali l’Italia e la Francia. Questa volta non si tratta, come tante altre, di eccessi di grandeur da parte francese contrapposti a eccessi di gelosia da parte italiana. Da ieri è in gioco molto di più: uno scontro sulla catena di comando che non riesce a nascondere due interpretazioni molto diverse della risoluzione 1973 dell’Onu. Dopo che per tutto il pomeriggio il ministro Frattini aveva chiesto a Bruxelles di porre «Alba dell’Odissea» sotto comando Nato avendo gli Usa confermato di voler fare un passo indietro, ieri sera è stato Silvio Berlusconi a dirsi «addolorato per Gheddafi» e a definire meglio la posizione italiana. Aggiungendo alla richiesta del comando Nato quello che è il vero oggetto del contendere: una più chiara definizione degli obiettivi della missione in Libia, «che per noi sono la no-fly zone, l’embargo e la protezione dei civili». Non solo: «I nostri aerei non hanno sparato e non spareranno – ha detto il presidente del Consiglio -, sono lì soltanto per il pattugliamento e per garantire il divieto di volo»”. Piero Ostellino invece la pensa così: “Che senso ha intervenire contro il «tiranno» Gheddafi dopo averlo sostenuto a lungo? Perché in Libia sì e in altre parti del mondo, dove si sono consumati autentici genocidi, no? Emergono, così, due dati di fatto. Da una parte, la crisi di leadership degli Stati Uniti dopo l’irruzione della Cina, e della «nuova Russia», sulla scena mondiale. Dall’altra, dopo la fine della Guerra fredda, il ritorno dell’«interesse nazionale» in Europa. La Gran Bretagna vuole riprendersi il ruolo, se non sulla scena internazionale, almeno su quella europea, che aveva perso con la Seconda guerra mondiale; la Francia – che, dopo i fallimenti della sua politica di sostegno a Ben Ali in Tunisia e a Mubarak in Egitto, deve ripristinare la propria influenza nell’area – punta a sostituire l’Italia nei rapporti con la Libia (dal petrolio alle relazioni economiche e commerciali) del dopo-Gheddafi, precostituendosi relazioni privilegiate con la borghesia mercatista che subentrerà al Colonnello”. Interessanti i retroscena della politica italiana, raccontati a pagina 11 da Paolo Conti: “Il partito dei filo Bush che ha cambiato idea”. Leggiamo: “Ed ecco la Maglie di ieri, prima pagina di «Libero» : «Per chi stiamo andando alla guerra? Gheddafi garantiva pace, sicurezza, buoni contratti, sicurezza degli sbarchi, era un interlocutore privilegiato e, come altri dittatori, con l’Islam civettava ma dei fondamentalismi era un avversario…» Se il territorio libico si disgrega «può diventare uno stanziamento perfetto per i terroristi organizzati di Al Qaeda» . Non diverso da ciò che dice il Colonnello, insomma. Anche Vittorio Feltri si dissocia. Nel 2003 ebbe i suoi dubbi poi, quando ci fu il via libera all’occupazione dell’Iraq, li sciolse. Fu tra i primi ad appoggiare Giuliano Ferrara per la manifestazione Pro-Usa: «Io preferisco stare con Bush piuttosto che con Saddam come invece molti pacifisti, magari inconsapevolmente, fanno» . Il Feltri di ieri è opposto al primo: «Continuiamo a non capire i motivi della guerra in corso di cui vediamo solo i rischi… Gheddafi ce l’ha giurata. Si batterà fino alla morte e, prima di morire, ce la farà pagare. Alludiamo ad azioni terroristiche» . Feltri si ritrova sulla identica linea di Marcello Veneziani, che era ostile all’Iraq nel 2003 ed è ostile ugualmente oggi all’operazione Gheddafi: «Sbaglierò, ma questa guerra alla Libia non mi piace» . Scrive così: questa guerra alla Libia”.

“Italia-Francia, scontro sulla Nato”: LA REPUBBLICA dedica alla frattura all’interno della coalizione molte pagine e una vignetta di ElleKappa che è forse la sintesi più sferzante: «Perché la missione si chiama Odissea all’alba?», chiede un personaggio. «Perché il primo che si sveglia comanda», risponde l’altro. In effetti tra Francia e Italia pare un po’ sia così. “Libia, l’Italia contro la Francia «Il comando passi alla Nato»” titolano D’Argenio e Martinotti che riferiscono le polemiche europee. «Frattini chiede che il comando delle operazioni passi sotto la Nato. Parigi risponde picche. La resistenza dei francesi – ormai isolati – rischia di mettere in pericolo la fragile impalcatura della coalizione anti-Gheddafi che oggi si regge su tre comandi separati». La coalizione somiglia a un vascello senza bussola, concludono. Da Parigi Bernard Guetta ammette: Sarkozy (sostenuto da Juppè, ministro degli esteri) aveva sorpreso tutti riconoscendo i ribelli di Bengasi, ora è più chiara la ragione della sua scelta solitaria. Avrebbe compreso, secondo Guetta, che «se il Nerone di Tripoli fosse riuscito a far affogare nel sangue le aspirazioni dei libici alla libertà, altri dittatori avrebbero presto seguito l’esempio». Quanto alla politica interna, “Berlusconi: «I nostri aerei non sparano e sono addolorato per Gheddafi»”. La Lega vince sul fronte del confronto parlamentare e sul fatto che il governo porterà le sue richieste in Europa sui profughi. Entro giovedì il voto alla Camera. Nel retroscena di Carmelo Lopapa (“Palazzo Chigi fa sponda al Cremlino contatti per sostenere la mediazione”) si descrive un premier bellicoso al di là della sua volontà: «Questa guerra non l’avremmo mai dichiarata, caro Umberto, siamo stati trascinati dalla smania di protagonismo dei francesi e degli inglesi». Una insoddisfazione che spiega i contatti per ora sotto traccia con il premier russo che preme perché si trovi una soluzione diplomatica (che salvi il colonnello). Ovviamente Berlusconi è incalzato dai leghisti preoccupati che la fine del raìs apra i mari all’immigrazione. «Quel che conta è che il governo in momenti così delicati si dimostra compatto»: è il film secondo l’ineffabile sottosegretario Santanchè. Cresce intanto la protesta dei pacifisti che  stanno organizzando un corteo per sabato. Critici Emergency, l’Arci ma anche Pax Christi, Libera. Pacifisti con cui polemica il verde Cohn-Bendit: «chi scende in piazza contro la missione internazionale cerca magari una terza via ma di fatto non è neutrale, bensì con Gheddafi».

“L’Italia bombarda la Francia” è il titolo ad effetto in prima che sceglie IL GIORNALE per seguire gli eventi libici. Una vignetta in primo piano di Forattini illustra Berlusconi nei panni di Materazzi che dà una testata a Sarkozy-Zidane. Le prime 13 pagine del quotidiano di casa Berlusconi sono dedicate alla missione libica, mentre il direttore Sallusti apre il dibattito con il suo “Non è facile mettere il premier alla porta”: «L’Italia non ci sta a combattere la guerra personale di Sarkozy e della Francia contro Gheddafi. Berlusconi ha ordinato ai nostri caccia di non spara re e ha dato l’ultimatum a francesi e inglesi: o le operazioni passeranno sotto il comando della Nato, oppure le basi italiane non permetteranno il decollo di altri bombardieri, qualsiasi bandiera battano. Questo perché qualcuno a Parigi ci sta prendendo per i fondelli». Più chiaro di così? La 2 e la 3 offrono diversi affondi sul perché e il percome del rapporto con i cugini d’Oltralpe. Un elenco lungo di “partite aperte” che alimentano da anni il braccio di ferro tra Parigi e Roma: dalla questione dei profughi al caso Battisti, dalla guerra del vino al tempo di Mitterrand e Craxi fino alle più recenti mire espansionistiche dei francesi nell’industria italiana. A pagina 4 approfondimento sul rapporto tra Berlusconi e Gheddafi. Il primo si dice addolorato delle ultime scelte del Rais e precisa: «i nostri aerei non bombardano». A fianco, a pagina 4, la questione “Lega”, quella di lotta e di governo che in questi giorni ha ribadito il suo “ni” al coinvolgimento del BelPaese alla missione Onu in Libia: «in Consiglio dei ministri il dissenso della Lega è di fatto rientrato, è stato immesso nei binari di un iter parlamentare che si sta concretizzando, in queste ore, in una risoluzione da sottoporre al Parlamento. La richiesta della Lega ruota su quattro punti, spiegati dal capogruppo Marco Reguzzoni: “Il rispetto del trattato Italia-Libia, che non abbiamo firmato con Gheddafi ma con lo Stato libico, trattato che ci tutela dal punto di vista delle risorse energetiche; il rispetto integrale della risoluzione dell’Onu; l’impegno perché con il blocco navale si impediscano gli sbarchi dei clandestini sulle nostre coste; infine – ha concluso il capogruppo del Carroccio alla Camera – un  impegno proporzionale comune di tutti i paesi Ue per la gestione sia dell’emergenza umanitaria sia dei profughi”». E mentre sull’isola di Lampedusa sono in arrivo altri migranti, la senatrice leghista Angela Maraventano, che si è contraddistinta negli ultimi anni per la sua battaglia al fianco dei cittadini dell’isola, merita una menzione speciale. Dal titolo (“Hotel di sinistra hanno rifiutato i bimbi profughi”) all’intervista è un fiorir di maraviglie: gli hotel che hanno rifiutato di ospitare 35 bambini sono di sinistra, ma lei crede in Dio e nella patria, e per questo sa cosa votano gli albergatori cattivi e lotta per accogliere il maggior numero di profughi al di là delle posizioni politiche che professa in Parlamento, anzi: «Noi abbiamo sempre lottato contro l’immigrazione clandestina, ma in un’emergenza umanitaria è normale che dobbiamo aiutarli». Colpo di coda: e Gheddafi? Secondo la senatrice, che in Parlamento fa parte della maggioranza di quel governo che non più tardi di qualche mese fa ha firmato un trattato di amicizia con il Rais e lo ha ospitato con sfarzi e lazzi in quel di Roma, il sior Gheddafi «è un pazzo, l’unica soluzione era intervenire (…) sappiamo bene chi è». Un gioiellino, questa intervista, incastonato di spalla a pagina 6.
Segue la paventata strategia di alleanza con Al Qaida e terroristi di mezzo mondo annunciata fra le righe dal “pazzo” Gheddafi. Ne illustra i contorni Gian Marco Chiocci a pagina 7. Mentre due pagine più in là l’inviato Fausto Biloslavo ci offre una cronaca da Tripoli: “I miliziani ragazzini che difendono il Rais a colpi di musica rap”: «Da non confondere con il bunga bunga [il zanga zanga] è una specie di rap che prende spunto dalle terribili parole pronunciate dal colonnello Gheddafi alla vigilia dell’attacco alleato. «Io con altri milioni ripuliremo la Libia dai ratti (i ribelli, nda) – aveva urlato Gheddafi sbattendo i pugni sul podio e agitandoli in aria – Centimetro per centimetro, casa per casa, stanza per stanza, vicolo per vicolo». «Zanga» significa vicolo e la voce burbera del colonnello è stata ripresa, mixata e trasformata in una melodia rap di grande successo. I suoi fan l’hanno imparata a memoria e ce la cantano in coro». Le ultime due pagine sono di commenti politici. Occhiello: “I dubbi”. Giancarlo Perna scrive nel suo “Perché dalla guerra noi abbiamo soltanto da perdere”: «Da cittadino comune, non capisco perché l’Occidente si creda in diritto di attaccare la Libia e meno che mai mi rallegro che l’Italia guidata da Berlusconi si sia allineata alla decisione». Gli fa eco Marcello Foa in “Se la destra concreta ora tifa per la pace”. Ora tocca a noi. Dubbio numero uno: cosa significa “la destra concreta”? Dubbio numero due: la base pdl non vorrebbe questo intervento, il governo è costretto a esercitare la propria funzione, indovinate di chi è la colpa? Della sinistra. Che questa volta «approfitta della crisi per scalzare il Cavaliere». Un’ossessione, insomma, ambolati. Ma al centro sempre lui, Mr. B, lo stesso che ha deciso di ospitare tenda e fanteria di Gheddafi nel centro di Roma qualche mese fa. Ma questo, direbbero i francesi, peu importe.  

«Nato male», gioca con le parole il MANIFESTO per l’apertura della prima pagina di oggi dominata dall’immagine dei resti di un tank dell’esercito libico. «Terzo giorno di bombardamenti su Tripoli e la coalizione è già traballante. La Francia non vuole il comando dell’Alleanza atlantica. Frattini: o con la Nato o voliamo da soli. La Norvegia si ritira: non c’è chiarezza. È caos anche sulla strategia. Eliminare Gheddafi? Sì, dice Clinton. I generali: no. Obama: nì. La Lega araba denuncia il rischio di vittime civili» riassume il sommario che rimanda alle quattro pagine interne dedicate all’operazione “Odissey dawn” e alle complicazioni diplomatiche della coalizione. “Senza rimpianti” questo il titolo dell’editoriale di Norma Rangeri sul caso Libia. Si legge: «Quando cadde il Muro di Berlino, anche chi pensava che a farlo crollare non fosse la voglia di democrazia ma la globalizzazione del turbocapitalismo, non per questo rimpiangeva Stalin, Breznev o Honecker. Così non rimpiangeremo Gheddafi, pur consapevoli, come scrive Valentino che «al peggio non c’è mai fine», e potremmo ritrovarci domani con un fantoccio partorito dalle bombe di questa nuova guerra umanitaria (…)». E su quanti dicono che no, non siamo in guerra, ma partecipiamo a un’azione autorizzata dall’Onu osserva: « (…) basta accendere la televisione e chiunque capisce che siamo in guerra e che l’Italia, come conferma sui nostri schermi il falco Edward Luttwack, questa volta sta facendo il proprio dovere con le basi e gli aerei. Proprio noi, quelli dei 100mila morti del colonialismo fascista, sorvoliamo i cieli della Libia con cacciabombardieri Tornado. Avremmo potuto (e dovuto), da ex potenza coloniale, seguire l’esempio della Germania e astenerci dall’intervento militare, (…)». E dopo aver descritto il caos che si è venuto a creare tra gli alleati conclude: «(…) Se è questa la difesa dei diritti umani, se la primavera del Maghreb e del Medio Oriente porta alla guerra, allora bisogna fare di più, regalando bombardamenti umanitari anche allo Yemen e al Bahrein, trasformando Odissey dawn nell’anteprima del nuovo ordine». A pagina 4 l’articolo «La coalizione dei litigiosi» apre una pagina dedicata alle contraddizioni sia tra gli alleati, sia all’interno della stessa maggioranza di governo, per non parlare del Pd cui è dedicato l’articolo «Pd: governo confuso, si voti. Ma c’è la fronda pacifista».

“La Libia divide gli alleati”. È il titolo di apertura del SOLE 24 ORE. Il Punto di Stefano Folli a pagina 5 “Ormai è urgente che Berlusconi prenda la parola in Parlamento”: «L’Italia vuole un impegno concreto della Nato (come la Gran Bretagna, del resto), ma esita a utilizzare i suoi caccia al pari degli alleati. Non vuole restare indietro rispetto alla Francia e intende anzi cogliere un successo diplomatico, tuttavia è frenata dalle suggestioni neutraliste della Lega. Lo stesso presidente del Consiglio sembra l’immagine della prudenza, quasi fosse poco convinto della linea abbracciata dai paesi occidentali. A questo punto è urgente una seduta del Parlamento. In quella sede Berlusconi – non il ministro degli Esteri o della Difesa – potrà restituire coerenza all’intera vicenda. È evidente che prendere parte all’azione in Libia è indispensabile per conservare credibilità in politica estera, ma occorre spiegare agli italiani come stanno le cose». All’attivismo di Sarkozy è dedicato uno dei commentini anonimi a pagina 17 “Re Sole Sarkozy e i pianeti attorno”: «Uno spettro si aggira per l’Europa. È quello del presidente francese Sarkozy, che da quando ha assunto la guida di turno di G-8 e G-20 sembra irrefrenabile. Al primo vertice economico-finanziario ha lanciato la crociata contro gli squilibri commerciali e valutari, dichiarando guerra alla speculazione. E ha ottenuto un impegno, almeno formale, a risolvere tutto. Del resto, pensare e agire in grande, da Napoleone in poi, è sempre stata prerogativa dei francesi. Allo scoppio delle rivolte in Nordafrica l’attivismo di Sarkò ha preso nuovo slancio. Il via libera dell’Onu all’intervento in Libia, chiesto dal Libano, è frutto della diplomazia francese. I caccia in volo a tre ore dal vertice di Parigi frutto del suo decisionismo. In contemporanea, l’industria e la finanza francese si muovono con un’energia pari a quella di monsieur le président. Lactalis in corsa per Parmalat, Lvmh che conquista Bulgari, Groupama protagonista del riassetto Premafin, Edf attivissima nella partita Edison-A2A. Un caso? Può darsi. Nessuno ha trovato le impronte digitali dell’Eliseo sulle copertine dei dossier. Ma avere alle spalle uno stato forte e tutt’altro che neutrale in economia aiuta, certo che aiuta. Resta il dubbio se sia una coincidenza, o se in gioco ci sia molto di più».

ITALIA OGGI dedica spazio alla guerra in Libia. Franco Adriano firma “Libia, la linea è quella di Bossi” «“I nostri aerei non hanno sparato e non spareranno. Mentre l’Italia ha chiesto che il comando dell’operazione passi alla Nato”. La linea politica del governo sulla crisi libica, rimarcata ieri sera a Torino nelle prime dichiarazioni pubbliche del presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è quella della assoluta cautela, già manifestata nei giorni scorsi dal ministro per le Riforme, Umberto Bossi». Racconta il giornalista «il ruolo dell’Italia nella missione in Libia è stato oggetto di discussione in una riunione sull’aereo verso Roma, ieri mattina, in cui viaggiavano il premier Berlusconi, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, Bossi e il ministro alla Semplificazione, Roberto Calderoli. Al successivo Consiglio dei ministri il premier ha riferito sul “Consiglio di guerra” di Parigi, esprimendo delle perplessità sull’intervento militare, timoroso delle ripercussioni in Italia soprattutto in relazione all’emergenza profughi. Il vertice del governo, dunque, pur ribadendo il totale rispetto della delibera Onu, è convinto che la posizione di Usa, Gb e Francia rispecchia una politica contraria agli interessi italiani e si discosta dalla linea che Berlusconi ha perseguito in questi anni alla guida di palazzo Chigi». Su questo tema punta un box di Marco Bertoncini che titola “La Libia per il Cavaliere è una buccia di banana”. «L’obiettivo politico del centro-destra è semplice: mostrare la solidarietà delle forze al governo, negando qualsiasi frattura, e puntare su obiettivi percepibili dalla pubblica opinione, quale la richiesta di mettere la spedizione sotto la Nato. L’obiettivo politico delle opposizioni è ancor più semplice: puntare sui dichiarati dissensi e incunearsi nelle oggettive difficoltà di rapporti tra partiti che hanno posizioni divaricate. Non solo: pure nel Pdl non c’è uniformità di vedute, come dimostrano le posizioni critiche verso le decisioni governative che si leggono sui giornali più vicini a Silvio Berlusconi. Le opposizioni, a loro volta, non concordano, ben lontane essendo le dichiarazioni di un Bersani e di un Di Pietro. Il fine, però, coincide. L’Idv accusa il governo per essere andato oltre il mandato dell’Onu, mentre il Pd sarebbe soddisfatto di far emergere in maniera palese le discrepanze esistenti fra Pdl e Lega, così da sostenere che la maggioranza, in politica estera, non è più tale, perché deve trovare sponda fra gli oppositori».Conclude l’analisi della situazione Pierluigi Magnaschi con “Sull’attacco alla Libia non ce la raccontano giusta”. Spiega il giornalista «Gheddafi, è stato accolto con il baciamano non solo da Berlusconi, ma anche da Obama con un abbraccio entusiasta. Egli inoltre era stato scandalosamente favorito dal governo inglese (oggi così ringhioso) che gli restituì l’attentatore certo dell’eccidio di Lockerbie, condannato all’ergastolo, perché in fin di vita: l’attentatore è ancora vivo e vegeto, dopo anni. Anche l’Onu, ora così inflessibile nella risposta armata, impose (con una faccia tosta senza pari) il rappresentante della Libia come presidente (presidente!) della Commissione Onu per la tutela dei diritti umani. Sarkozy, che ora fa finta di avere sempre odiato Gheddafi, gli aveva fatto le moine per avere commesse e gli aveva consentito di allestire le sue tende nei giardini dell’Eliseo. Ora tutti questi leader occidentali collusi per decenni con il regime di Gheddafi hanno improvvisamente scoperto che Gheddafi è un dittatore sanguinario. E, per liberare il suo popolo indubitabilmente oppresso, hanno deciso di entrare in guerra contro di lui». Considerazioni che danno adito a diverse domande. 

AVVENIRE titola “Bombe sulla Libia. L’Alleanza litiga” e apre l’edizione con nove pagine dedicate agli scenari e agli sviluppi dei vari “fronti aperti”. Nell’editoriale “Oltre la logica del gendarme” Andrea Lavazza avverte che «nel ribollente scenario mediorientale, che prima avevamo salutato come culla di un nascente movimento di modernizzazione, adesso rischiamo di vedere soltanto i rischi di un’involuzione fondamentalista e una sorgente di caos che porterà nuovi immigrati sulle nostre coste. Le dinamiche avviate hanno bisogno di tempo e di respiro, i loro esiti non sono necessariamente scontati. Ciò che possiamo imparare, mentre ancora i nostri aerei pattugliano i cieli libici, è che la logica del gendarme, dell’ordine e dell’opportunismo non risulta più facilmente praticabile». Del conflitto “dalle mille incognite” si occupa Vittorio Parsi a pagina 3: rispondendo a 5 domande chiave sostiene che l’uso eccessivo dei missili favorisce di fatto Gheddafi che potrebbe cessare il fuoco per alcuni giorni e mettere in imbarazzo la coalizione, mentre i deficit dell’operazione potrebbero consentire al colonnello di uscire dall’angolo e rendere più difficile la sua cacciata. Sulle mosse del nostro governo AVVENIRE parla del pressing perché la regia delle operazioni passi all’alleanza atlantica, altrimenti l’Italia si riprende il controllo delle basi e svela i retroscena: “Berlusconi sfida Sarkozy: usa il conflitto libico pensando alla nuova corsa all’Eliseo. Poi trova l’asse con Medvedev: l’obiettivo non è fare fuori Gheddafi, ma spingerlo alla resa. Il presidente russo si dice pronto a mediare con il Colonnello e sostiene che esistono possibilità di ricomporre il conflitto». E al Palazzo di vetro “cresce il fronte dei pentiti” con Cina e Russia che guidano la fronda. A pagina 12 l’economista Giulio Sapelli sostiene che «È stato giusto intervenire, lo dobbiamo a quelle popolazioni. Ma la questione centrale, il motivo che ha spinto all’azione Francia e Gran Bretagna, è nel fatto che Tripoli rappresenta un ponte per il controllo dell’Africa centrale».

“Bombe su Tripoli, strappo dell’Italia” titola LA STAMPA in prima pagina. Da segnalare in particolare a pagina 4 e 5 un primo piano sul governo italiano, sui malumori all’interno della maggioranza e sul ruolo della Lega. «Il timore di Berlusconi e Bossi è uscire con le ossa rotte dalla “guerra anarchica” in Libia» scrive Amedeo La Mattina. «Francia e Gran Bretagna fanno di testa loro, andando oltre la risoluzione dell’Onu e puntando al petrolio libico che finora è stato appannaggio italiano. E intanto sulle nostre coste continuano a sbarcare centinaia di migranti e questo per la Lega è un’immagine devastante». Le elezioni amministrative incombono, «e ogni partito della maggioranza pensa al bottino dei voti» chiosa La Mattina. La Lega è sul piede di guerra e ha minacciato di non votare più il rifinanziamento delle missioni militari, e «nello stesso Pdl non mancano fortissime perplessità». Nella pagina accanto Fabio Martini scrive che «come un formicaio impazzito i partiti di ora in ora cambiano incessantemente posizione sulla guerra libica». Smarcamenti e riposizionamenti studiati  allo scopo di approdare in modo il più possibile indolore a un appuntamento a suo modo solenne: la discussione in Parlamento (con tanto di voto) sulla partecipazione militare alla missione in Libia, un dibattito che dovrebbe svolgersi nelle prossime 48 ore.

E inoltre sui giornali di oggi:

GIAPPONE
IL MANIFESTO – Annunciato in prima pagina il reportage “I dannati di Fukushima” firmato da Pio d’Emilia che nel suo articolo,che inizia in prima e si conclude a pagina 7, racconta gli incontri con gli operai della Tepco. Che sì hanno paura delle radiazioni, ma non tutti allo stesso livello e comunque bevono l’acqua che il governo giapponese ha vietata: «”Balle. Noi la beviamo. L’acqua di Fukushima è buonissima, non ha bisogno nemmeno di essere filtrata”. Ed il latte, le verdure? Oggi il governo ha ordinato il blocco alle esportazioni di alcuni prodotti. Voi come vi regolate? “Valutiamo di volta in volta. Ma per ora non abbiamo scelta, perché l’acqua in bottiglietta non possiamo permettercela, e un tè avremo pure bisogno di farlo”. Non lo sanno, evidentemente, ma in questo modo rischiano davvero di scatenare, nel caso in cui il disastro annunciato avvenga, una nuova Chernobyl. Speriamo di no. Usciamo dal centro alle 11 di notte, dopo aver imposto a tutti la nostra presenza e le nostre esigenze. Ma nessuno protesta, tutti ringraziano. E molti ci chiedono: ma in Italia il nucleare funziona? Quante centrali avete? Nessuna, dico, anche se c’è qualcuno che si sta dando da fare per costruirne qualcuna. Prima di uscire, ci offrono un mochi, i dolcetti di amido di riso, e un bicchiere di tè. “Prendete, sono avanzati. Ce li portano sempre ogni giorno, di nuovi”, dicono. Non capiscono che non facciamo questione per il riso. Ma per il tè». Due le pagine all’interno, oltre la 7 anche la 6 è dedicata all’allarme nucleare giapponese, con anche un box dedicato alle decisioni dell’Ue sullo stress test per le centrali «ma su base volontaria».

AVVENIRE – A pagina 14 parla del Giappone in ginocchio e dell’allarme cibo. Per l’Oms la situazione è grave: ordinato lo stop ai prodotti alimentari provenienti da 4 prefetture. Il nunzio apostolico Alberto Bottari de Castello racconta in una intervista di sfollati morti di freddo e di stenti, ma sottolinea “la forza dei giapponesi è commovente”.

GIUSTIZIA CIVILE
CORRIERE DELLA SERA – Alle pagine 16 e 17 ampi servizi sull’entrata in vigore della “mediazione civile obbligatoria”. “Alfano: italiani troppo litigiosi. Meno processi con la conciliazione” apre pagina 16. “Affitti, eredità, famiglia. Tutte le mosse per fare pace” apre pagina 17. “Conflitti risolti in quattro mesi invece che in nove anni di giudizio civile – scrive Virginia Piccolillo – . È questa la promessa del governo ai cittadini che da ora, per una serie di controversie dovranno obbligatoriamente rivolgersi, prima del Tribunale civile, al «risolutore di conflitti» . Una figura nuova, che si aggiunge a quella del giudice di pace, alla quale sarà richiesta solo una laurea breve e un corso di formazione di 50 ore. Sarà lui a tentare di redimere conflitti che vanno dalle successioni ereditarie, al risarcimento danno per colpa medica, dalle controversie sui diritti reali (quali usufrutto, servitù di passaggio, distanze nelle costruzioni), a quelle su contratti d’affitto, assicurativi e bancari, al risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa. Con l’obiettivo dichiarato dal Guardasigilli Angelino Alfano, di smaltire l’arretrato di 5,6 milioni di cause, ovvero 4.768 ogni 10 mila abitanti, che ci colloca al quarto posto della top ten della litigiosità: dopo Russia, Belgio, e Lituania. L’auspicio è risolvere le controversie «con una stretta di mano in 120 giorni» «anziché fare la boxe su un ring di un processo» . È rinviata al 2011 l’applicazione della norma alle cause di condominio e di incidenti stradali”.

YEMEN
AVVENIRE – Alta tensione anche in Yemen dove c’è un’escalation della rivolta contro il presidente Ali Addallah Saleh, al potere da 32 anni. Anche il capo del più forte clan tribale annuncia il suo “sostegno alla rivoluzione”. E continuano le defezioni diplomatiche degli ambasciatori a DAmaso e in Arabia Saudita.


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