Non profit
Libia, l’urlo del dittatore
Guerra civile, profughi, affari, energia: l'Italia ora ha paura
Un’altra giornata dominata dalla crisi libica e dal suo tragico protagonista, Gheddafi. I giornali raccontano anche con gli inviati, e analizzano la situazione, specialmente per le conseguenze politiche ed economiche il Italia.
- In rassegna stampa anche:
- MILLEPROROGHE
- NUCLEARE
- SECONDE GENERAZIONI
“L’urlo di Gheddafi: qui fino alla morte” è il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA che dedica le prime tredici pagine del giornale ai fatti di Libia. Sopra il titolo la foto del rais e, in bianco e nero, una foto più piccola: Oriana Fallaci e Gheddafi all’epoca della clamorosa intervista del 3 dicembre 1979, della quale il CORRIERE oggi pubblica un’ampia sintesi a pagina 13. Così il quotidiano di via Solferino riassume i fatti della giornata: “Non lascio il Paese, lotterò fino all’ultima goccia di sangue. Colpirò i ribelli come a Tienanmen”, ha detto Gheddafi nel suo discorso in tv trasmesso dalla sua residenza caserma Bab Azizia a Tripoli, bombardata il 16 aprile 1986 dai jet Usa. Telefonata di Berlusconi: basta violenze. L’Onu all’Italia: accogliete i profughi. Il no di Bossi. L’Eni chiude il gasdotto, ma assicura i rifornimenti. Insomma una serie di notizie impressionante. L’editoriale in prima è dell’ambasciatore Sergio Romano: “Le colpe nostre (e degli altri)”. Leggiamo: “Silvio Berlusconi ha trattato la questione libica a suo modo e con il suo stile, vale a dire con una concezione dei rapporti internazionali in cui la chiave del successo è il grado di intimità che il presidente del Consiglio riesce a stabilire con gli uomini di Stato stranieri. Nel caso di Gheddafi questa impostazione ha prodotto risultati grotteschi e indecorosi”. Ma, aggiunge Romano: “non vorremmo che i grandi problemi del nostro Paese venissero trattati ancora una volta in funzione degli effetti che potrebbero avere sulle sorti politiche di Berlusconi”. E così conclude: “Abbiamo adottato una linea cinica e indecorosa? Forse conviene ricordare che i primi aerei dell’aeronautica militare libica, dopo il colpo di Stato, furono i Mirage francesi; che la Germania contribuì alla creazione in Libia di una industria chimica; che gli americani, dopo avere inutilmente cercato di uccidere Gheddafi nel 1986, revocarono le sanzioni non appena il Colonnello rinunciò alle sue ambizioni nucleari; che la Gran Bretagna, nell’agosto del 2009, ha liberato e restituito alla Libia, per «ragioni umanitarie», il responsabile del sanguinoso attentato del dicembre 1988 nel cielo di Lockerbie. Ora, naturalmente, nessun governo europeo può astenersi dal condannare le violente repressioni di Bengasi e di Tripoli. Noi, in particolare, abbiamo il diritto e il dovere di alzare la voce contro Gheddafi e i suoi metodi. Ma cerchiamo almeno di farlo senza cogliere l’occasione per combattere una ennesima battaglia di politica interna. Nel momento in cui in Libia si muore lo spettacolo sarebbe particolarmente indecoroso”. Molto bello il reportage dell’inviato (che penso sia stato ormai su tutti i fronti caldi del mondo) Lorenzo Cremonesi: “Tra i giovani ribelli di Tobruk «Uccideremo il rais»”, a pagina 5. A pagina 6 i timori del ministro degli esteri Frattini: “Un’ondata di 300 mila arrivi. Il dopo Gheddafi è un’incognita”. E i possibili contrasti internazionali vengono esaminati alle pagine 8 e 9: “L’Ue gela l’Italia: no allo smistamento degli immigrati” racconta da Bruxelles Luigi Offeddu, mentre di spalla Fiorenza Sarzanini parla delle misure del ministero dell’Interno: “Il Viminale allerta tutti i prefetti. Caserme e hotel per l’accoglienza”. Un box riferisce di una lite tra governatori, Lombardo (Sicilia) e Zaia (Veneto). Tenta la conciliazione Formigoni. Lunga intervista a Romiti, a pagina 11, sulla presenza libica in Fiat. E infine, a pagina 13, la sintesi della lunga intervista di Oriana Fallaci. Agghiacciante il botta e risposta finale: “E l’opposizione dov’è? – domanda la giornalista, e così risponde il rais sotto la tenda – «Che opposizione? Che c’entra l’opposizione? Quando tutti fanno parte del congresso del popolo, che bisogno c’è dell’opposizione? Opposizione a cosa? L’opposizione si fa al governo! Se il governo scompare e il popolo si governa da solo, a chi deve opporsi: a quello che non c’è?».
LA REPUBBLICA titola a tutta pagina “La sfida di Gheddafi: resto, morirò qui”. Le prime dieci pagine sono dedicate alla rivolta in Libia e alle sue conseguenze. Due gli editoriali, affidati a Vittorio Zucconi e Francesco Merlo. Quello di Zucconi si intitola “L’ultimo show di un tiranno” e comincia così: «Si avvertiva l’odore del sangue, dietro quel set da ultimi giorni nella cancelleria della Berlino 1945, dal quale Gheddafi sbraitava e prometteva il “martirio” a chi non avrebbe nessuna intenzione di farsi martirizzare. È stata una apparizione angosciosa, nella sua tragica ridicolaggine, offerta da un uomo “deranged” come l’hanno definito commentatori americani, un “demente”. Il soliloquio che Gheddafi ha offerto alla televisione di stato libica è stato sgangherato e violento». Francesco Merlo firma “La patacca beduina e scrive: «Si conferma il Gheddafi di sempre quello che al telefono ha detto a Silvio Berlusconi “qui va tutto bene”. Il tappetaro che vive di merce contraffatta muore di merce contraffatta. L’unico Gheddafi vero è quello falso. E infatti l’Italia che ancora ha disperatamente evocato, quella che – ha inventato – insieme con gli Americani e con Bin Laden “fornisce micidiali razzi” ai ribelli di Bengasi, è di nuovo l’Italia di propaganda che non è mai esistita». Seguono i reportage degli inviati in Libia che raccontano la situazione a Tobruk e la fuga dei disperati al confine con la Tunisia. Un articolo di Andrea Bonanni parla invece della polemica aperta da Bossi che vuole mandare i profughi in Germania e in Francia: «Secondo il ministro leghista delle Riforme, “L’Occidente ha tollerato e accettato i dittatori pur di mantenere un equilibrio in quei Paesi. Ora qualcuno pensa che, via loro, arriverà la democrazia. Ma lì non è come nei Paesi dell’Est dove è successo questo. Lì, via i dittatori, arriveranno i Fratelli mussulmani”. Ma sulla questione dei profughi Bossi si scontra con una doccia fredda che arriva da Bruxelles. Ieri, alla riunione dei diplomatici che deve preparare il Consiglio dei ministri degli Interni di domani. È emerso chiaramente che per ora non c’è nessuna disponibilità da parte degli altri Paesi europei ad accogliere i richiedenti asilo sbarcati a Lampedusa». L’allarme immigrati del governo italiano parla di 300mila persone in arrivo dal Maghreb. Istituito un comitato permanente e allestite tre aree militari per l’accoglienza. Alle pagine 11 e 13 i risvolti economici e un dossier di Ettore Livini sulla dipendenza energetica dell’Italia che riceve il 70% di greggio e metano dai paesi a rischio e resta “schiava” delle crisi geopolitiche.
IL GIORNALE apre con il titolone “Arriva la bomba”, l’occhiello recita «Trecentomila clandestini alle porte, ma la Ue dice: affari vostri. L’aiuto? Tre funzionari. Gheddafi riappare e accusa Stati Uniti e Italia di armare la protesta. Berlusconi: falsità». Emanuela Fontana affronta il tema immigrazione con “La carica dei 300 mila pronti ad invadere le nostre spiagge”. « Il più grande esodo via mare degli ultimi vent’anni potrebbe scattare a brevissimo e far sbarcare in Italia dalle coste nordafricane fino a 300mila immigrati. È lo scenario estremo delineato nel vertice sull’emergenza Libia convocato ieri sera da Silvio Berlusconi a palazzo Chigi con i ministri dell’Interno Maroni, degli esteri Frattini e della Difesa La Russa. E’ questa adesso la prima emergenza, anche se si lavora su altri due fronti: forniture di petrolio a rischio e piano di evacuazione per i connazionali, in particolare dalla regione meno accessibile della Cirenaica». Proprio sul tema energetico c’è il commento di Marcello Foa “Gas libico, ecco perché l’Italia non ha sbagliato”. Per il giornalista «gli avvenimenti di queste ore in Libia dovrebbero spazzare via i dubbi di chi ancora diffida dell’energia atomica. Avanti, con le centrali, in assenza di valide alternative. Ma i tempi, si sa, sono lunghi e saranno necessari molti anni prima che l’Italia possa contare su quote significative di energia “autarchica”. E allora non resta che la diversificazione. E in quest’ottica, fortunatamente, non abbiamo nulla da rimproverarci. Anzi. Chi, nelle scorse settimane, ha criticato Berlusconi per l’amicizia con Putin e storto il naso alla firma dell’accordo tra Eni e Gazprom per la costruzione del gasdotto South Stream, oggi dovrebbe ricredersi o perlomeno riflettere sull’opportunità di leggere tutto sempre solo in chiave di politica interna». Anche Paolo Liguori offre un punto di vista sui fatti. “Ma dopo i dittatori non c’è il paradiso” è l’articolo in cui spiega « Ci ha rovinato Nelson Mandela. Cioè, ha rovinato i portatori sani del pensiero positivista, che occupano in massa i mezzi di comunicazione italiani. Il mito del Presidente buono è quasi insuperabile: dietro ogni rivolta popolare africana, specie se sanguinosa, deve spuntare per forza l’ombra di un nuovo Mandela». Per i giornalista infatti è preoccupato «sento inneggiare acriticamente alle piazze e ai giovani che le riempiono. Ma chi sono? Cosa vogliono? Nessuno lo sa e i commentatori non sembrano neppure interessati a capirlo».
Le ricadute economiche della crisi libica al centro dell’attenzione de IL SOLE 24 ORE di oggi. In prima il titolo di apertura è “Eni chiude il gasdotto libico”, mentre l’editoriale di Alessandro Plateroti è dedicato a quanto è accaduto ieri in Borsa “Il mondo brucia? La Borsa va in tilt”: «Che cosa ha bloccato le contrattazioni a Piazza Affari per un’intera giornata? Un attacco informatico, come ormai da mesi si teme a Wall Street? O un’azione “preventiva” di Borsa Italiana per proteggere da una possibile ondata di vendite i titoli delle aziende pubbliche e delle banche più esposte al rischio-Libia? O che non si tratti forse di una vendetta per quell’ingiurioso dito medio piazzato proprio davanti alle porte di Piazza Affari? Con i venti di guerra che soffiano sui mercati, ogni ipotesi sembra buona fuorché quella vera: a fermare tutte le contrattazioni di Piazza Affari dalle 9 alle 14,38 di ieri – praticamente l’intera giornata borsistica – è stato il malfunzionamento del software che trasmette a tutti gli operatori italiani le informazioni sugli scambi che avvengono sul mercato azionario». A pagina 5 un’analisi di Khaled Fouad Allam “Il rischio più grave è un Afghanistan nel Mediterraneo”: «Molti esperti ritengono che la Libia rappresenti l’Afghanistan del Mediterraneo; dunque la sua pericolosità è molto maggiore rispetto alla Tunisia. Questo paese durante il periodo ottomano e la colonizzazione italiana ha dato filo da torcere a entrambe le dominazioni, perché la struttura sociale è essenzialmente legata a strutture di tipo clanico e tribale. (…) Etnicamente la Libia costituisce un complesso incrocio di culture arabe, berbere e africane; ciò rappresenta la sua ricchezza ma anche la sua grande debolezza. Storicamente le tribù dell’est del paese sono state spesso discriminate dai diversi poteri che si sono succeduti nella storia di quella regione. La frammentazione tribale spiega in parte la rivalità fra Bengasi e Tripoli. Sono coinvolte le tradizionali assabiyya (spirito di corpo) descritte dal Ibn Khaldun, celebre storico magrebino del XIV secolo; tali forze centrifughe accelerano il processo di decomposizione dello stato. Il rischio di secessione è reale: la città di Tobruk è di fatto autonoma da tre giorni. La Libia si differenzia dalle altre entità magrebine e mediorientali anche perché le sue culture urbane sono deboli, e il legame sociale è improntato alla consanguineità più che al territorio. Il forte spirito di rivalità tra gruppi si definisce territorialmente; questo spiega perché molti esperti ipotizzino l’evolversi della situazione in due momenti: una guerra civile cui seguirebbe una secessione su basi etniche e tribali».
Il dramma che si sta consumando a Tripoli non trova spazio nella prima pagina di ITALIA OGGI, che affronta la vicenda libica solo sotto il profilo delle ricadute economiche per le imprese italiane in affari con il paese di Gheddafi. Lo fa a pagina 4, passando in rassegna gli impegni di tre big dell’economia come Eni (che però ha contratti a lungo termine in Libia, scadenza 2042 per la produzione di greggio, scadenza 2047 per il metano, un orizzonte che va dunque ben al di là della sopravvivenza del rais), Finmeccanica (preoccupata più per le “ripercussioni negative” che i suoi rapporti d’affari con Gheddafi potrebbero avere sulle commesse Usa) e Unicredit (dove Banca centrale libica e fondo sovrano Lia, insieme, pesano più del primo azionista italiano, ma – commenta il giornale – “è inverosimile che investitori di lungo periodo si trasformino in soci agguerriti e aggressivi”). Un anticipo in sintesi di quello che viene poi sviluppato dal dorso Mercati & Finanza, che torna con una pagina sempre su Eni (sommario rassicurante: “Impianti in sicurezza. Nessun pericolo di crisi energetica”), e mezza pagina al rapporto appunto di Unicredit con i soci libici: ieri al Cda convocato dal presidente Rampl non ha partecipato nessun rappresentante dei soci libici, essendo stati “vani i tentativi di contattare Farhat Bengdara” (uno dei vicepresidenti del gruppo). Le dichiarazioni del numero uno del gruppo bancario sulla vicenda libica restano interlocutorie, così come resta in sospeso l’accordo per il varo della Banca di Libia, cui l’istituto stava lavorando in accordo con il rais: “da una settimana è sceso il silenzio e da Tripoli non è più arrivata alcuna notizia”.
“Alla guerra libica” titola in apertura IL MANIFESTO a sfondare sulla fotografia di Gheddafi in Tv. «Gheddafi appare in tv: “Useremo la forza contro questi drogati. Italia e Usa danno razzi agli insorti. Io leader, combatterò fino alla fine”. Per Al Jazeera raid anche ieri sui manifestanti a Tripoli, centinaia le vittime. la Lega araba sospende la Libia. Allarme dell’Eni: bloccato gasdotto che rifornisce l’Italia. Telefonata Berlusconi-Gheddafi. Napolitano invita ad “ascoltare il popolo”. Frattini teme un «”esodo epocale”. L’Unhcr: “Non respingete i rifugiati”», riassume il sommario che rinvia alle tre pagine (dalla 4 alla 6) dedicate al tema. Sempre in prima si trova l’editoriale di Luciana Castellina dal titolo “Tragico epilogo” che scrive: «Ha finalmente parlato, il vecchio leone libico. Ancora spavaldo, ma un’immagine tristissima, patetica, di un uomo obnubilato dalla solitudine e dal distacco dal resto dell’umanità che solo il potere dittatoriale possono produrre. Fino a dire che le piazze gremite di libici pronti a farsi ammazzare perché il suo regime crolli, sono solo agenti stranieri. E, pronto a morire da martire, ha tragicamente incitato alla fine alla guerra civile. Eppure non è stato sempre così. Tutti gli anticolonialisti gioirono quando il giovane tenente, assieme ai suoi amici usciti dalle accademie militari britanniche ma nati e cresciuti nel deserto, presero il potere, deposero re Hidriss, marionetta dell’Impero britannico, e posero fine ad un sistema feudale. (…)» ricorda la Castellina. E continua: «(…) Se si vuole giudicare quanto avviene oggi occorre domandarsi perché queste che non sono state rivoluzioni in senso proprio, ma certo straordinari sommovimenti popolari, siano finiti così: con regimi dittatoriali brutali e corrotti, insidiati dal fondamentalismo, (…) Le risposte sono complesse, ma una cosa intanto va detta: anche in questo caso riemerge con incredibile evidenza la cancellazione della storia che è stata operata in questi decenni. Riesumarla sarebbe necessario per sottolineare, non solo i limiti fatali di ogni mutamento affidato (…)» E va a concludere osservando: «(…) Anche gli odierni oligarchi russi e le ricchezze dei Mubarak e Ben Ali sono frutto dell’89. Che ha riportato, sanguinosamente, l’attualità della guerra perfino nel cuore d’Europa e che ha significato il fallimento di ogni tentativo di autonomia da parte dei popoli del terzo mondo. Il loro incartarsi in difficoltà insormontabili e fatalmente nei tragici errori che queste hanno in gran parte determinato, è anche dovuto al mondo unipolare degli ultimi decenni, (…)». A pagina 5 tre articoli presentano le ricadute sull’Italia sul fronte energetico “Greenstream bloccato Niente gas all’Italia” e accanto al blocco energetico nell’articolo si ricorda che a Federmeccanica ha fatto sapere che «sono a rischio circa il 3% delle esportazioni meccaniche dell’Italia» in pratica causa crisi in Libia, Egitto e Tunisia sono a rischio poco meno di 4 miliardi di euro. Un secondo articolo dedicato al piano del governo e alla telefonata intercorsa tra Berlusconi e Gheddafi, il presidente del consiglio italiano avrebbe rassicurato il rais di non aver fornito armi agli insorti e suggerito «la necessità di una soluzione pacifica». Si legge nell’articolo: «(…) Le parole del premier non sembrano però aver avuto un grande effetto, almeno a giudicare dalla risposta di Gheddafi. Stando infatti a quanto riferito da palazzo Chigi, il leader libico avrebbe a sua volta rassicurato Berlusconi affermando che nel paese va tutto bene, e che la verità sugli eventi è quella riportata dai media libici. Rassicurazioni o no, il governo continua a mettere a punto un piano per accogliere l’arrivo di immigrati (…).» un ultimo articolo, infine amplia lo sguardo all’Europa «La Ue fredda Roma: non siamo obbligati a prendere i rifugiati». Scrive Alberto D’Argenzio da Bruxelles: «L’Onu e Amnesty International chiedono di non respingere i profughi che potrebbero scappare in migliaia dal Nord Africa, ma Bossi non li vuole e assicura che «se arrivano li mandiamo in Francia e Germania». Peccato che loro, Parigi e Berlino, non abbiano alcuna intenzione, e nemmeno alcun obbligo, di prenderli sul loro territorio. E così la tragedia umanitaria che nei prossimi giorni potrebbe materializzarsi sulle coste italiane e maltesi mette in mostra da subito quel che circola ora in Italia e in Europa, quanto ad accoglienza. (…) Dell’eventuale pressione migratoria, come della missione Hermes di pattugliamento nel Canale di Sicilia organizzata da Frontex e lanciata lo scorso 20 febbraio discuteranno oggi a Roma i ministri degli interni di Italia, Spagna, Francia, Grecia, Malta e Cipro in un antipasto del Consiglio di giovedì a Bruxelles in cui Maroni proverà a chiedere maggior solidarietà da parte di tutti i soci comunitari. Non sarà facile, l’impressione è che, come sempre, l’Europa stia attendendo che scoppi il dramma, piuttosto che anticiparlo».
AVVENIRE apre in prima con il titolo “L’artiglio del rais: vi sfido” che sovrasta una foto di Gheddafi. Il sommario recita «”Resto fino alla morte”. Ancora bombe sui civili. La condanna dell’Onu». Più in basso in un box economico uno sguardo agli interessi italiani nella regione. Per “Energia/1” «Petrolio-record. L’Eni ferma il suo gasdotto», «Energia/2” invece sottolinea «le forniture per l’Italia sono garantite». In tutto sono quattro le pagine dedicate all’argomento (4-5-6-7). Lucia Capuzzi firma “Accuse di genocidio. L’Onu scende in campo”. La giornalista spiega «le immagini di corpi carbonizzati, straziati ammassati per le strade di Bengasi scorrono lente. Sono le vittime – dice la voce in sottofondo – della repressione libica. Il video-choc diffuso ieri da Al-Jazeera ha indignato l’opinione pubblica di tutto il mondo. Che si muove. La Corte penale internazionale ha denunciato la morte di “600 manifestanti in cinque giorni”. Fonti locali parlano addirittura di mille. Il massacro potrebbe costare al colonnello una condanna dall’Onu per genocidio. Il tribunale dell’Aja starebbe cercando prove per incriminarlo». Interessanti due interventi. Uno è il commento agli avvenimenti nord africani del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei «se mortificate nella dignità e nei diritti fondamentali le popolazioni alla fine reagiscono». Dello stesso tenore anche l’opinione di Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli che, intervistato da Gianni Cardinale, spiega «credo che si tratti di una crisi generazionale, ci sono giovani che non riescono a costruirsi un futuro e diventano aggressivi. Penso sia importante poterli ascoltare e trovare il modo di soddisfare queste esigenze fondamentali». Per quel che riguarda il fondamentalismo islamico «il pericolo esiste. Credo che la paura più grossa può essere questa. Se queste esigenze generazionali vengono strumentalizzate da questa realtà allora tutto è più difficile». A pagina 6 Pietro Saccò firma “Fiammata del petrolio. L’Eni chiude il gasdotto”. È stato «sospeso il flusso di Greenstream che sarà messo in sicurezza». Una scelta «ha assicurato l’azienda guidata da Paolo Scaroni, che non creerà problemi in Italia», perché Eni «è comunque in grado di far fronte alla domanda di gas da parte dei propri clienti». Più in basso sempre Saccò firma anche “Per il metano l’alternativa italiana è a Mosca”.
“Resto fino alla morte”. In prima pagina su LA STAMPA un’inquietante foto di Gheddafi a pugni alzati, tratta dall’apparizione televisiva di ieri. L’apertura del servizio è sull’Italia, dopo l’accusa del dittatore libico rivolta al nostro Paese e agli Usa di «armare i ribelli», in un discorso pieno di contraddizioni. Arriva solo dopo quest’accusa, alle 19.15 di ieri, la telefonata di Berlusconi al leader libico, il quale avrebbe garantito, scrive LA STAMPA, che «in Libia va tutto bene, il popolo sta garantendo la sicurezza, la stabilità e l’unità nazionale». A pagina 3 LA STAMPA mette a fuoco le reazioni degli Usa e degli altri Paesi europei. Quella più forte è della Merkel, che ha definito «molto spaventoso» il discorso di Gheddafi, dicendo che «in pratica ha dichiarato guerra al suo popolo». Secondo fonti del governo tedesco, Berlino sta considerando la possibilità di imporre un divieto di viaggio alla famiglia Gheddafi insieme al congelamento dei beni all’estero del regime. La scelta dell’amministrazione Obama è di agire all’interno e di concerto con l’Onu: «C’è molta attività sulla Libia alle Nazioni Unite» ha detto ieri Jay Carney, portavoce di Obama: «partecipiamo agli incontri e vogliamo lavorare con la comunità internazionale affinché si parli con un’unica voce per condannare le violenze, riteniamo che ciò avrà maggiore efficacia».
E inoltre sui giornali di oggi:
MILLEPROROGHE
LA REPUBBLICA – Richiamo in prima sulla bocciatura di Napolitano del Milleproroghe “Per il Colle è incostituzionale e Berlusconi gli dà ragione”. La spiegazione nell’articolo di Umberto Rosso a pagina 14: «Quaranta minuti di colloquio sul Colle, con il premier, e il decreto Milleproroghe riprende la via delle Camere. Stoppato. Così com’è, ha spiegato senza tanti convenevoli Napolitano a Berlusconi, io non lo posso firmare perché viola la Costituzione ed elude il vaglio preventivo che spetta al capo dello Stato sui decreti. Perciò il Governo, che sul provvedimento aveva già incassato la fiducia del Senato e a Montecitorio si preparava a fare altrettanto saltando le commissioni, deve ricominciare da capo. Berlusconi, di fronte all’alternativa secca – o lo cambiate o non lo promulgo – fa buon viso a cattivo gioco e si piega all’ultimatum. Il governo, fa sapere un comunicato ufficiale di Palazzo Chigi “conviene sulle osservazioni” del presidente della Repubblica. Napolitano indica perfino una via per sanare la situazione: “una parziale reiterazione del dl originario”. Ma la strada della maggioranza è in salita, rischia di riaprirsi il vaso di Pandora dei tanti, eterogenei e contrastanti “appetiti” che il Milleproroghe faticosamente teneva insieme grazie al ricorso al voto di fiducia. Dalle quote latte alla social card. Un guazzabuglio».
CORRIERE DELLA SERA – La nota di Massimo Franco a pagina 14: “Ritenere la lettera di Giorgio Napolitano una semplice bacchettata al governo significherebbe sottovalutarla. Nella missiva con la quale il capo dello Stato fa sapere al premier e ai presidenti delle Camere che il cosiddetto «decreto milleproroghe» sconfina nell’incostituzionalità, si avverte qualcosa di più: un altolà a Palazzo Chigi perché non tenti forzature; e l’avvertimento che «d’ora in avanti» il Quirinale si avvarrà del potere di rinviare misure simili alle Camere. Di fatto, in futuro Napolitano non le firmerà, perché vuole evitare che decreti legge tesi in teoria a prorogare «alcuni termini, si trasformino in una sorta di nuova legge finanziaria dai contenuti più disparati»”.
IL MANIFESTO – «Milleproroghe sono troppe Stop del Colle» titola il richiamo in prima pagina che rimanda alle due pagine di politica interna (la 2 e la 3) che si aprono con l’eloquente titolo «Scende dal Colle l’ultimo avviso», insomma: Napolitano stoppa il milleproroghe e avverte: «Basta fiducie, d’ora in poi non rinuncerò alla facoltà del rinvio». Bossi: «Ci salva per l’ultima volta». Nell’articolo si legge: «(…) è lo stesso capo dello stato a indicare tre possibili soluzioni, visto che il tempo stringe e il testo deve essere approvato entro domenica: ritornare alla versione iniziale; ritirarlo e riproporre uno o più provvedimenti per le disposizioni “che si ritengano conformi ai principi costituzionali”; oppure – ma è un caso più complicato – “la parziale reiterazione del testo originario del decreto-legge”. La seduta si aggiorna a stamattina alle 9, quando si saprà quale strada ha scelto la maggioranza. Intanto le opposizioni esultano. (…)».
AVVENIRE – “Milleproroghe, l’altolà di Napolitano” a firma di Roberta D’Angelo spiega che «suona l’ennesima campana a morto sul Colle del Quirinale. Il decreto Milleproroghe così com’è stato modificato dal Senato e come è andato al voto della Camera non può passare. Appare a Giorgio Napolitano come “una sorta di nuova legge finanziaria dai contenuti più disparati”». Eugenio Fatigante invece firma più in basso “Il governo: costretti a tornare al testo di partenza”. «Bisogna trovare una via d’uscita e il tempo incalza, anzi è ridotto al lumicino. Il decreto decade domenica prossima il 27».
IL SOLE 24 ORE – Al pasticcio del decreto è dedicato uno dei commenti anonimi di pagina 18 “I giusti fischi di un arbitro giusto”: «Se quelle norme, spesso difformi dal contenuto originario, non rispondono più ai requisiti di straordinaria necessità e urgenza, ecco allora che si aggira il vincolo costituzionale e lo stesso sindacato di legittimità del Colle. L’altra questione di fondo attiene al ruolo delle Camere, ancor più compresso per effetto del sistematico ricorso al voto di fiducia su uno o più maxiemendamenti, che spesso riscrivono integralmente il provvedimento. Questione già sollevata da Carlo Azeglio Ciampi e prima di lui da Oscar Luigi Scalfaro. Ora però si è passato il limite. L’avvertimento di Napolitano ha un tono ultimativo: si cambi registro, altrimenti dai “warning” passerà direttamente alla bocciatura dei decreti».
ITALIA OGGI – Lo stop al Milleproroghe viene centrato tutto sull’intervento del presidente della Repubblica (“Napolitano, ultimo avvertimento: O cambia il Milleproroghe o verrà spedito al mittente”, così titola il quotidiano), e sulle questioni che hanno bloccato l’iter del provvedimento, che riguarderebbero, in particolare, i gestori dei fondi finanziari, le quote latte e le troppe prebende. In chiusura dell’articolo un accenno all’accoglienza soft di Berlusconi alle obiezioni del colle: il presidente del Consiglio avrebbe “convenuto sulle osservazioni di metodo”.
NUCLEARE
IL MANIFESTO – Lettera di Giuseppe Onufrio di Greenpeace che inizia in prima sotto il titolo «Autodisciplina pubblicitaria – Spot pro-nucleare? È ingannevole». Nel testo si dà conto di una “notizia scomparsa”: «Lo spot promosso dal Forum energia nucleare presieduto da Chicco Testa è stato bocciato e ritenuto ingannevole dal Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria». E prosegue: «Greenpeace nelle scorse settimane aveva lanciato un suo spot basato su ironia e paradosso – visionabile sul sito Greenpeace.it. Ma le circa 200 mila visite (grazie anche al sito di Repubblica che l’ha ospitato) non possono competere col numero di “contatti” dello “spot ingannevole” che ha speso oltre 6 milioni di euro. Prima domanda: su questi il Forum chiederà il rimborso allo stato, visto che la normativa pro nucleare prevede “campagne di informazione” a senso unico? Forse dopo la bocciatura del Giurì non accadrà. È più probabile che intervenga una strategia del silenzio, per evitare di far sapere che tra qualche settimana si svolgerà un referendum anche sul nucleare. Anche questa, in fondo, sarebbe un’altra forma di inganno.»
SECONDE GENERAZIONI
LA REPUBBLICA – Nelle pagine milanesi un articolo di Zita Dazzi parla della prima ricerca curata dalla Diocesi sui servizi territoriali per l’integrazione dei ragazzi di origine straniera. Nei doposcuola degli oratori sono stranieri 6 bambini su 10. Gli iscritti sono 7mila, il 57% è straniero. Gli operatori (4500) sono quasi tutti volontari. Intervista a Tiziana Torri che cura il doposcuola di via Palestrina.
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