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Libia, guerra (quasi) dimenticata

Muoiono due fotoreporter, l'Italia manda consiglieri militari

di Franco Bomprezzi

C’era una volta la guerra in Libia, anzi c’è ancora, e riemerge, a tratti, con tutto il suo carico di incertezza, di tensione, di difficoltà diplomatiche internazionali. Ieri hanno perso la vita due fotoreporter, a Misurata. Ecco come i giornali oggi si ricordano delle tensioni africane. Non c’è solo la Libia, infatti, all’orizzonte.

“Fuoco sui reporter occidentali in Libia, consiglieri militari italiani a Bengasi” è il lungo titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA. I servizi alle pagine 2 e 3. Mentre in prima parte il commento di Antonio Ferrari: “Una guerra oscura e quasi dimenticata”. Scrive Ferrari: “Tim Heterington e Chris Hondros erano coraggiosi testimoni, e qui va detto chiaro e forte che i fotoreporter – come anche gli operatori televisivi – rischiano molto più dei giornalisti della carta stampata come noi. Perché noi possiamo talvolta non essere sul posto, o arrivare in ritardo (e nessuno se ne accorgerà), mentre l’obiettivo della macchina fotografica e della mega o micro-telecamera deve essere sempre presente. Non si fanno sconti ai ritardatari”. Guido Olimpio, a pagina 3, rivela: “Istruttori militari italiani per aiutare i ribelli libici”. Molto bello il pezzo di Davide Frattini a centro pagina: “Dall’Afghanistan all’Oscar, il film-testamento di Tim”. Racconta Frattini: “Chris Hondros sta camminando con una pattuglia americana verso il fondo dei vicoli di Tal Afar, Nord dell’Iraq. E’ il 18 gennaio del 2005 e nessuno può vedere la fine della guerra nel buio di quella notte. Un’auto corre verso i soldati, gli spari di avvertimento non la fermano, i proiettili centrano il parabrezza. Dopo la raffica resta il pianto dei bambini. I genitori sono morti, i cinque figli stanno seduti sul sedile di dietro, coperti dal loro sangue e da quello del padre e della madre. «Tanti benintenzionati hanno riempito la sequenza di aspettative difficili da realizzare: riportare la pace, adottare gli orfani — ha commentato Hondros, anche lui nato nel 1970, per questi scatti ha vinto il premio Robert Capa —. E’ vero che il ragazzo più grande, dodici anni, è stato curato negli Stati Uniti, ma qualche anno dopo gli insorti lo hanno ammazzato in un agguato, io credo proprio perché era venuto in America. Non mi aspetto che le mie foto fermino le guerre. Offrono a chi resta a casa uno sguardo sulle brutalità che diventano routine» .”

LA REPUBBLICA apre con la politica (“Costituzione, attacco all’articolo 1”) e rimanda gli esteri all’interno. Una sola pagina – la 17 – divisa in due: “L’Italia addestrerà i ribelli libici” apre, chiude “Una vita a raccontare le guerre l’ultima missione dei fotoreporter”. Tim Hetherington, 41 anni, regista con una nomination all’Oscar per il suo documentario Restrepo, è morto ieri a Misurata; il suo collega Chris Hondros (finalista del Pulitzer nel 2004) in condizioni disperate è deceduto oggi (lo riporta il sito del quotidiano). Sono vittime di un colpo di mortaio. Non è l’unica notizia che riguarda il fronte: ieri pomeriggio l’annuncio italiano e francese: anche Roma e Parigi, come Londra, invieranno istruttori militari a Bengasi.«Garantiranno un coordinamento migliore più preciso e puntuale con i caccia della Nato impegnati a colpire i mezzi d’aria di Gheddafi», commenta Vincenzo Nigro. Il ministro La Russa, dando la notizia, ha anche aggiunto: «noi continueremo a mettere a disposizione degli alleati le nostre basi dove sono presenti circa 200 aerei della coalizione, ma non bombarderemo». Nel suo pezzo in taglio centrale, Enrico Franceschini da Londra traccia un ritratto dei due reporter uccisi: persone rigorose, impegnate a raccontare la guerra e coraggiose. L’inglese Hetherington aveva trascorso anni in Africa occidentale, documentando le guerriglie i colpi di stato. Hondros invece era di New York. «Nel piccolo mondo dei corrispondenti e inviati di guerra erano ben conosciuti». L’analisi della situazione complessiva è di Giorgio Ruffolo: “La crisi libica e il ruolo dell’Italia”. «Nello scontro con l’Europa il governo italiano sta dando segni di insostenibile leggerezza», scrive, ricordando le minacce di uscire dall’Unione. Sottolinea però l’inadeguatezza dell’Unione, colta di sorpresa dai movimenti migratori. «Oggi è evidente l’impotenza che deriva dalla sua assenza politica. Solo un’Europa unita avrebbe dato alla giusta scelta di appoggiare l’insurrezione giovanile nei paesi arabi un sostegno non inficiato da sospetti nazionali egemonici, mettendola in grado di usare il suo grande peso economico e politico per pilotarla verso un esito democratico».

La crisi di Tripoli è definita difficile dal  GIORNALE e Micalessin scrive: «Cento anni dopo i nostri soldati tornano a calcare le sabbie libiche la decisione annunciata ieri dal ministro delle Difesa La Russa è inevitabile risposta all’invio  di altrettanti istruttori militari comunicato da Londra e da Parigi. La risposta fa parte del gioco, anche se non è il nostro gioco. Anche se è un gioco orchestrato da alleati che si muovono più sulla linea della competizione politica e economica che dell’intesa militare. Proprio per questo non possiamo abbandonare la partita». Il Piano si chiama Eufor Libya. «L’ha messo a punto la responsabile per la sicurezza europea Catherine Ashton e prevede  il dispiegamento di mille soldati per aprire un corridoio umanitario e rompere l’assedio di Misurata. Il vero trappolone di quel piano è il comando offerto in precedenza al nostro Paese. Con il comando insediato a Roma e  la guida delle operazioni nelle mani di un ammiraglio italiano, il nostro Paese non potrebbe tirarsi indietro». IL GIORNALE  mette in evidenza  che «per il direttore Laurant Joffrin del Nouvel Observateur Berlusconi ha ragione perché i permessi temporanei ai Tunisi sono l’unica  soluzione sensata».

La notizia della morte di due fotoreporter a Misurata è nel sommario dell’apertura dedicata da IL MANIFESTO all’invio di istruttori militari da parte dell’Italia. «L’Italia annuncia l’invio di militari per addestrare gli insorti di Bengasi. Per lo stato maggiore è solo “un primo passo”. Tripoli: elezioni in cambio dello stop ai raid, ma Sarkozy ne vuole di più. Nell’assedio di Misurata uccisi i fotoreporter Tim Hetherington e Chris Hondros, uno candidato all’Oscar e l’altro al Pulitzer», il titolo recita: “Istruttori per l’uso”. Gli articoli sono a pagina 8: «Dieci istruttori italiani pronti a partire per Bengasi: le prime “truppe di terra” sono addestratori, altri ne mandano Francia e Gran Bretagna. Mentre la guerra miete vittime illustri: a Misurata un colpo di mortaio uccide Tim Hetherington, fotografo candidato all’Oscar per “Restrepo”» l’articolo dedicato agli aspetti bellici è intitolato “Anche l’Italia va: ora i consiglieri militari”. «Come ha ricordato qualche parlamentare britannico (conservatore e laburista), l’intervento Usa in Vietnam cominciò così: quando un presidente decise di inviare «consiglieri militari» nel paese del sud-est asiatico. (…) Ma se sull’umanitarismo dell’inglese Cameron e del francese Sarkozy non c’erano dubbi, la decisione del governo Berlusconi (ex-grande amico di Gheddafi), annunciata ieri dal ministro della difesa Benito La Russa, di inviare “un piccolo numero” di consiglieri militari italiani, è una sorpresa. E un’indecenza, visti i trascorsi degli antichi idoli di Benito La Russa in Libia, tipo il maresciallo Graziani. (…) Poi c’è anche l’Unione europea, che si dice pronta a fornire scorte armate ai convogli di aiuti dell’Onu… anche se l’Onu fa sapere di non avere bisogno di simili scorte. Insomma, sembra che ci siamo. Come dice il generale Biagio Abrate, capo dello stato maggiore della difesa, siamo al “primo passo” (…)». Al ti là di questo articolo l’apertura è dedicata alla società civile libica che “muove i primi passi”. Mentre a piè di pagina si trova l’articolo di Fausto della Porta sull’uccisione dei due fotoreporter di cui si ripercorre il curriculum, gli ultimi giorni di vita e gli ultimi lavori.

Il titolo “Roma, Parigi e Londra in aiuto dei ribelli” dipinge un fronte compatto che nella realtà fa dei distinguo sulla partecipazione alla guerra in atto in Libia. Il SOLE 24 ORE chiarisce la posizione dell’Italia: «La Russa ha riferito che l’Italia darà possibilità di rifornimento in volo agli aerei inglesi che passano dalla nostre basi. È stato inoltre deciso di estendere l’accoglienza degli assetti Nato nelle basi italiane. L’Italia non sta fornendo armi ai ribelli e al momento non è percorribile l’ipotesi di un attacco a terra in Libia». IL SOLE24ORE mette in evidenza anche «che Bruxelles è pronta a rafforzare pattuglie di Frontex e si è resa più  flessibile nella gestione dei fondi per i Paesi che sopportano gli sbarchi». Un pezzo informa  che «Gheddafi aggira le sanzioni. Secondo l’agenzia Reuters  le Champlink e Afrimar sarebbero coinvolte nella gestione del traffico  di petrolio per conto di Tripoli».

La notizia dei due giornalisti uccisi a Misurata è affidata a un piccolo richiamo in prima pagina di AVVENIRE. A pagina 15 l’articolo, di Barbara Uglietti, comincia con l’ultimo messaggio postato su Twitter dal reporter inglese  Tim Hetherington (centrato con l’americano Chris Hondros da colpi di mortaio): «A Misurata, città sotto assedio. Bombardamento indiscriminato da parte delle forze di Gheddafi. Nessun segno della Nato». Il regime libico critica l’invio di esperti militari stranieri, ma apre alla transizione politica. «Se cessano subito le azioni della Nato si può andare alle urne entro sei mesi». Un box sottolinea le parole del vicario apostolico di Tripoli, Martinelli che critica le «decisioni prese in modo avventato» e sostiene che «la crisi libica poteva essere evitata se si fosse offerta più attenzione alle esigenze dei giovani. Ma la guerra non risolve una crisi sociale come questa. Anzi, rischia di creare una spirale distruttiva da cui è difficile uscire».

«In questo dannato buco dell’inferno, ieri è stato ammazzato anche un giornalista»: comincia così dalla prima pagina de LA STAMPA il reportage di Mimmo Candito da Bengasi, amico del documentarista e fotografo Tim Hetherington caduto sotto le granate a Misurata. 41 anni, inglese di Liverpool, vantava pure una candidatura all’Oscar per un film-documentario su un’altra guerra, quella in corso in Afghanistan. Il giornalista de LA STAMPA racconta anche della «disperata resistenza che Misurata sta opponendo all’assalto delle truppe di Gheddafi che ormai dura da 60 giorni e che richiama alla mente l’assedio di Sarajevo e quello ben più distante nel tempo di Stalingrado. Città strozzate, strangolate, affamate dalla furia degli aguzzini. E in mezzo le bombe a grappolo, la pioggia dei mortai. Che sparano e colpiscono a casaccio».

E inoltre sui giornali di oggi:

ERITREI
AVVENIRE – “Eritrei, inferno Sinai” è il titolo di apertura che il quotidiano cattolico dedica a un interessante reportage in Israele tra gli esuli che fuggono dal Corno d’Africa e sognano l’Europa. L’odissea  dei profughi catturati, taglieggiati e violentati è un dramma ignorato e l’inviato a Tel Aviv Paolo Lambruschi racconta “l’andata e il ritorno dall’inferno” dei profughi eritrei: «Ci hanno tenuti in catene, senza darci né cibo né acqua. Pensavamo di morire tutti quanti». Scrive AVVENIRE: «I profughi inseguivano un sogno di libertà, lontano dalla povertà e dalla dittatura del loro Paese. Sono finiti nelle mani degli aguzzini, che hanno preteso onerosi riscatti dalle loro famiglie e hanno ucciso 6 ostaggi. Oggi gli africani vivono nel “limbo” Israele, dove la speranza langue dopo la chiusura delle coste libiche. Segnati per sempre dall’orrore e invisibili all’Occidente. Emblematica la storia di Zion, 28 mese di gravidanza, salvata dalle offerte italiane: terrà il suo bambino, sopravvissuto all’orrore e persino agli stupri». La giurista israeliana Sigal Rozen denuncia il “traffico da 100 milioni di dollari che nessuno vuole stroncare” e parla di una catena infinita di diecimila profughi in due anni. Raccolte anche le voci di chi opera a favore dei rifugiati: Suor Azezet Kidane, la religiosa che ogni giorno parte da Gerusalemme alla volta di Tel Aviv per aiutare soprattutto le donne (“A loro, costrette ad abortire, dico che risorgeranno come Gesù”) e Don Mosé Zerai, il sacerdote eritreo che rilancia con l’Agenzia Habeshia il grido dei senza voce (“Continuo a denunciare l’orrore. Ma nulla viene fatto per evitarlo»).

TREMONTI
CORRIERE DELLA SERA – A pagina 14: “Tremonti: basta oppressione fiscale. Semplifichiamo la vita alle imprese”. Scrive Mario Sensini: “Entro la fine di maggio arriverà il decreto del governo con l’attuazione delle prime riforme previste dal Piano Nazionale per la crescita sottoposto a Bruxelles. Le prime misure, ha detto ieri il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ascoltato in Senato, riguarderanno il nuovo Piano Casa, con la possibilità di demolire e ricostruire gli edifici con un premio volumetrico, l’accelerazione delle grandi opere pubbliche, il credito d’imposta al 90%per le imprese che affidano la ricerca alle Università o agli istituti pubblici, l’istituzione dei distretti turistici balneari. Nel frattempo il governo tenterà di concentrare e operare una regia sull’investimento dei fondi europei per il Sud, «che non necessariamente devono essere amministrati dalle Regioni» , ha detto Tremonti. E per venire incontro alle imprese, il governo promette una nuova semplificazione dei controlli, anche fiscali. «Abbiamo un quantum di controlli assolutamente incredibile ed eccessivo con costi come tempo perso, stress e occasioni di corruzione. È un tipo di meccanismo non di pressione, ma di oppressione fiscale che dobbiamo interrompere» ha detto il ministro dell’Economia, sollecitando proposte al Parlamento”. 

PD
LA REPUBBLICA – Intervista a Valter Veltroni: “Casini si allei con noi prima delle elezioni o Berlusconi rivince”. Sui sondaggi «il centrosinistra prevale per mezzo punto percentuale. Ma vanno considerati alcuni particolari. Nei sondaggi loro sono spesso sottostimati rispetto a noi… Berlusconi ha dimostrato una capacità di recupero nelle campagne elettorali. Non possiamo più permetterci di rischiare». «Superare Berlusconi significa liberare la vita pubblica del Paese».

NUCLEARE
IL MANIFESTO – Un richiamo in prima pagina a piè di pagina, nella striscia verde, è dedicato alla questione nucleare: “Il governo «supera» il referendum” il titolo che rinvia alle pagine 2 e 3. Sempre in prima il commento di Gaetano Azzariti: “Escamotage nucleare”. Dopo aver ricordato che spetterà all’Ufficio centrale presso la corte di Cassazione stabile se il referendum sul nucleare dovrà essere annullato Azzariti scrive: «(…) Ciò che si vuole evitare è che la maggioranza parlamentare introduca modifiche marginali ovvero adotti un escamotage normativo – come ben evidenziava l’intervento ieri del ministro per lo sviluppo economico Romani – al solo fine di impedire l’espressione della volontà popolare. (…) il punto più delicato sembra essere il carattere definitivo o meno della scelta contraria alla produzione dell’energia tramite la costruzione delle centrali termonucleari. È questo infatti il “principio ispiratore” su cui si fonda l’iniziativa referendaria. (…)» e conclude ricordando come quello messo in campo dal governo sia «uno stratagemma politico, dunque non in grado di impedire il referendum (…)». 


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