Non profit

Libia, caccia ai pescatori italiani

Spari contro una barca di Mazara, incidente diplomatico

di Franco Bomprezzi

Hanno passato davvero un brutto quarto d’ora i pescatori di Mazara del Vallo, sorpresi in acque libiche da una motovedetta che ha cominciato a sparare. Sorpresa: a bordo c’erano non soltanto militari libici, ma anche osservatori italiani della Guardia di Finanza. Un incidente che ha provocato immediate reazioni politiche e diplomatiche. Sotto accusa gli accordi con Gheddafi per combattere gli sbarchi.

“Mitragliati in mare dei libici”. È questa l’apertura del CORRIERE DELLA SERA di oggi. Domenica sera una motovedetta libica ha sparato contro un peschereccio di Mazara del Vallo. A bordo della nave di Tripoli, si è appreso in un secondo momento, c’erano anche sei militari italiani della Guardia di Finanza. «Certamente vi era un militare della Guardia di Finanza e del personale tecnico delle Fiamme Gialle – aveva spiegato in precedenza il ministro degli Esteri Franco Frattini  – come è stabilito dall’accordo originario italo-libico firmato nel 2007 dal governo Prodi e integrato da Maroni nel 2009. Ma il comando è degli ufficiali libici, i nostri uomini non hanno ovviamente preso parte all’operazione. Il comandante libico – ha aggiunto Frattini – ha ordinato di sparare in aria, poi invece è stata colpita l’imbarcazione. Oggi a seguito dell’azione della nostra ambasciata il comandante generale della guardia costiera libica ha espresso le sue scuse alle autorità italiane per l’accaduto». L’imbarcazione dalla quale sono partiti i colpi è una delle sei, appartenenti alle Fiamme Gialle, che il governo italiano ha consegnato alla Libia (lo scorso anno le prime tre e le altre quest’anno) nell’ambito dell’accordo per contrastare l’immigrazione clandestina. Tutte e sei le motovedette battono bandiera libica e sono ora a tutti gli effetti mezzi navali del Paese nordafricano. L’accordo prevede che per un periodo i nostri militari svolgano sulle motovedette la funzione di osservatori e consulenti tecnici.  Sulla vicenda del peschereccio mitragliato il ministro dell’Interno Maroni ha disposto l’apertura di un’inchiesta per accertare se emerga un’utilizzazione dei mezzi donati dall’Italia alla Libia non coerente con le previsioni del Trattato firmato nel 2007.  Un’inchiesta è stata aperta anche dalla Procura di Agrigento e Tripoli ha fatto sapere che anche «le autorità libiche hanno nominato un comitato d’inchiesta sui motivi dell’incidente, un comitato aperto anche agli italiani che vi potranno partecipare». La sparatoria non ha avuto comunque conseguenze sul peschereccio libico. All’interno il CORRIERE riserva le pagine 2 e 3. “Spari dalla vedetta dei libici. A bordo sei militari italiani” è il titolo di apertura. Mentre “L’imbarazzo del Viminale: trattato da ridefinire” è il retroscena firmato da Fiorenza Sarzanini a cui il quotidiano accoppia la testimonianza del comandante del peschereccio Ariete. Questi i passi salienti del racconto di Gaspare Marrone: «Un inferno di fuoco, i proiettili rimbalzavano dal ponte fino alla sala macchine – racconta – . Ci siamo distesi tutti a terra pregando che nessuno di noi venisse colpito». «Ci hanno intimato di fermarci – racconta il comandante – ma io, sapendo quello che ci aspettava, ho preferito proseguire spingendo i motori al massimo. A questo punto hanno aperto il fuoco, continuando a sparare a intervalli di circa un quarto d’ora-venti minuti». Il capitano racconta ancora che i libici li hanno inseguiti «fin quasi dentro le nostre acque territoriali. Solo all’alba – spiega -, quando eravamo in vista di Lampedusa, ci siamo sentiti in salvo».  I libici hanno spiegato che la loro reazione – riferisce la Sarzanini – si era resa necessaria per bloccare la pesca di frodo visto che il peschereccio era entrato in acque territoriali libiche.

Taglio medio per l’incidente marino su LA REPUBBLICA: “Sicilia, nave libica spara su un peschereccio italiano”. I servizi all’interno: pagine 8 e 9. Riferisce Alessandra Ziniti: «sparavano ad altezza d’uomo, inseguendoli in mare, mirando alla cabina di pilotaggio con una mitragliatrice». A bordo delle motovedette donate dall’Italia alla Libia, anche sei militari italiani della Guardia di finanza, due «osservatori» e 4 consulenti tecnici. Il peschereccio incrociava, e non pescava, a 30 miglia dalle coste africane: «eravamo in acque internazionali, non avevano alcun diritto di fermarci, tantomeno sparando» sottolinea il comandante Gaspare Marrone. L’episodio gravissimo mette in crisi i rapporti fra Italia e Libia suggellati dalla recentissima visita di Gheddafi. Maroni ha ordinato un’inchiesta e dalla Farnesina è partita una richiesta per una verifica delle regole d’ingaggio. Le opposizioni chiedono al governo di riferire in Parlamento. In appoggio intervista a Emma Bonino: “Quel trattato non ha mai sciolto il nodo delle acque internazionali”. Dice la vicepresidente del Senato: «è l’ennesimo episodio nefasto di un trattato, quello del 2008, di per sé sciagurato, voluto da destra e da sinistra con poche lodevoli eccezioni. Oltre ai radicali votarono contro solo Furio Colombo e pochi altri». Francesco Viviano invece racconta lo stato d’animo di armatori e pescatori: “E nel porto cresce la rivolta dei pescatori «Gheddafi sorride ma ci attaccano ogni giorno»”. «Sono anni che ci sparano addosso» dice un marinaio, sottolineando che per i libici la loro competenza territoriale non è limitata alle prime 12 miglia ma estesa alle 74 dalla costa. «Ma quelli sono i nostri mari, la vita nostra e delle nostre famiglie, lì abbiamo sempre pescato e continueremo a pescare nonostante i sequestri, gli inseguimenti, le sparatorie». A Mazara, il primo distretto di pesca italiano, sono 7mila gli occupati, per un volume d’affari di 450 milioni l’anno e 30mila tonnellate di pescato. Per Giovanni Tumbiolo, presidente del distretto produttivo della pesca, «è arrivato il momento di mettere fine a una vicenda ormai annosa e cioè quella dell’estensione unilaterale da parte libica delle proprie acque territoriali ben oltre le 12 miglia. Bisogna trovare un accordo economico-scientifico e produttivo con le autorità libiche e dare seguito al trattato firmato nel 2008».

“I libici ci sparano addosso con le nostre navi” è il titolo a pagina 17 (con lancio in prima), che IL GIORNALE dedica alla vicenda dell’imbarcazione italiano attaccata dai libici. Finita quindi la luna di miele fra Italia e Gheddafi, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri punta il dito contro Tripoli. Secondo il capitano della nave Marrone, l’unità della marina libica che ha aperto il fuoco potrebbe infatti essere una delle imbarcazioni regalate (sei in tutto) dall’Italia alla Libia, nell’ambito dell’accordo per il contrasto all’immigrazione clandestina. «Dunque – scrive Gabriele Villa, autore dell’articolo – vediamo di capirci: Amiconi o burloni i nostri vicini di casa libici? Qualcosa non torna». E cita ampi stralci delle dichiarazione dell’equipaggio italiano: «Era una motovedetta molto nuova – dice il comandante dell’Ariete – e questo mi fa pensare che possa essere una di quelle donate dall’Italia alla Libia per il servizio di respingimento. Inoltre ho il dubbio che vi potesse essere un italiano a bordo di quella motovedetta perché l’intimazione a fermarsi ci è arrivata da un uomo che parlava con un accento italiano impeccabile. Ci ha urlato: «Fermatevi o questi vi sparano». Al danno, infatti, la beffa. Se fosse stata una di quelle navi regalate alla Libia, a bordo si sarebbero dovuti trovare uomini della guardia di finanza italiana.

Solo un piccolo richiamo in prima pagina su IL MANIFESTO e un articolo di spalla a pagina 6 dedicati alla disavventura del motopeschereccio Ariete. Al giornalista Stefano Liberti il capitano conferma che a bordo della motovedetta libica c’erano degli italiani e racconta di non essersi fermato all’alt e di aver scelto la fuga “per non fare la fine delle altre barche”. Normalmente, infatti, i libici tengono diversi mesi sotto sequestro i pescherecci intercettati nel golfo della Sirte, in quelle che ritengono loro acque territoriali. «Il paradosso di quest’ultimo episodio», scrive Liberti «è che l’Ariete si è reso protagonista in passato di vari salvataggi di migranti in difficoltà, tanto da ottenere il premio “Per mare” istituito dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Oggi proprio quella nave modello è stata mitragliata da una delle sei motovedette che il nostro governo ha ceduto alla Libia in modo da “salvare molte vite umane”, come disse l’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato».

Strillo in prima per il SOLE 24 ORE sulla questione del peschereccio “Colpito un peschereccio di Mazara. Sei militari italiani sulla nave libica”. Il servizio di Carlo Marroni è a pagina 17, che ricostruisce la dinamica del fatto: «L’unità navale libica è un mezzo navale della classe Bigliani in dotazione alla Guardia di Finanza e donato dall’Italia alla Libia per il contrasto all’immigrazione clandestina. A bordo dell’unità navale c’erano sei militari italiani: due «osservatori» e quattro consulenti tecnici, che non hanno «assolutamente partecipato all’azione», come ha precisato il comando della Gdf, che ha escluso la presenza di un ufficiale. (…) Da anni le autorità libiche rivendicano la loro giurisdizione sull’intero specchio del Golfo della Sirte, sequestrando spesso le imbarcazioni mazaresi sorprese a pescare in quel tratto di mare. Ma il capitano assicura che l’Ariete, al momento del tentativo di abbordaggio, stava navigando in acque internazionali, e si è accorto della presenza di connazionali perchè qualcuno da bordo in italiano ha gridato “fermatevi o questi vi sparano”». Alla questione è dedicato anche uno dei commenti anonimi di pagina 14, “Non sparate sugli accordi” «Capire le ragioni della realpolitik è una qualità della ragion pratica. Se poi il realismo politico ha sullo sfondo le ragioni dell’economia, questo sarà sempre apprezzato in un giornale attento alle ragioni delle imprese e del lavoro come Il Sole 24 Ore. Ma una cosa è la realpolitik, un’altra la molle ruffianeria diplomatica andata in scena in occasione della recente visita di Gheddafi in Italia. Sarebbe un errore legare l’episodio di ieri, con la motovedetta italiana regalata alla Libia che spara contro il peschereccio italiano, alle discusse celebrazioni di Roma dell’amicizia con Tripoli. Ma di certo non va tollerato che, sotto le insegne dell’amicizia, si sviluppi sull’altra sponda del Mediterraneo un’arroganza diplomatica figlia di un malinteso senso d’impunità. Tocca al presidente del Consiglio far sentire con chiarezza la voce dell’Italia. Episodi del genere non sono tollerabili. E non servono certo i goffi comunicati ministeriali che fanno sapere che l’accordo con la Libia sulle motovedette è stato firmato dal precedente governo: quando quell’accordo serviva a frenare gli sbarchi, non c’era traccia della stessa sollecitudine».

AVVENIRE sceglie fotonotizia in prima sulla motovedetta libica con finanzieri a bordo che spara su una barca italiana. A pagina 9 Andrea D’Agostino fa la cronaca della notte di terrore e raccoglie l’accusa del capitano e dei marinai del peschereccio italiano: «Siamo vivi per miracolo. Hanno sparato all’impazzata, poi ci hanno inseguito finché non abbiamo avvistato Lampedusa. Stavamo navigando; non avevano il diritto di fermarci». Il mezzo che ha aperto il fuoco era uno di quelli che il governo italiano ha consegnato a Tripoli nell’ambito del trattato siglato due anni fa, e che prevede la presenza di uomini delle Fiamme Gialle come osservatori. Vincenzo Spagnolo analizza invece il trattato Italia-Libia e rileva che «nelle prime righe ribadisce l’impegno di ciascuna parte a non compere atti ostili… Alla luce di tale impegno, esplicito e formale, com’è da interpretarsi la raffica di mitraglia diretta dalla vedetta libica contro il motopesca battente bandiera italiana?». Il taglio basso si occupa della tempesta politica: critiche delle opposizioni all’accondiscendenza del Governo nei confronti di Gheddafi da parte di Pd, Udc e Idv che chiedono una risposta “forte”. Secondo il sindaco di Mazara del Vallo Nicola Cristaldi, che è anche deputato del Pdl «non si comprende l’atteggiamento aggressivo dei libici nei confronti della marineria mazarese, nonostante i recenti accordi. Questo episodio vanifica il grande lavoro fatto a Mazara e fa risvegliare dal letargo gli scettici della multiculturalità e multietnicità. Il governo libico dovrà rendere conto di questa gravissima azione». 

LA STAMPA dedica alla questione dell’incidente nelle acque del Golfo della Sirte l’apertura della prima pagina (“Finanzieri sulla nave libica che spara a un peschereccio”) e le due prime due pagine. Oltre al pezzo di cronaca di Guido Ruotolo («“La caccia è durata per diverse ore. Loro, le prede, una decina di pescatori di Mazara del Vallo, erano terrorizzati: «”E’ stato un inferno, i proiettili rimbalzavano dal ponte fino alla sala macchina”». I sei uomini della Guardia di finanza, che erano a bordo della motovedetta (italiana) ceduta ai libici, con il ruolo di osservatori e consulenti tecnici, assistevano impotenti a quelle raffiche di mitragliatrice che invece di colpire a vuoto – in aria per intenderci, secondo l’ordine impartito dal comandante della Guardia costiera libica – viaggiavano ad altezza d’uomo»), intervista all’ambasciatore della Libia in Italia, Hafed Gaddur: «Siamo profondamente dispiaciuti per quello che è accaduto. Abbiamo deciso di istituire una commissione d’inchiesta alla quale potranno partecipare anche rappresentanti italiani».

E inoltre sui giornali di oggi: 

POLITICA
ITALIA OGGI – “La sfida dei grillini riparte da Cesena”, titola ITALIA OGGI a pagina 6, introducendo l’incontro nazionale che il Movimento 5 stelle guidato dal comico Beppe Grillo terrà il 25 e 26 settembre a Cesena. Durante l’evento, che è stato chiamato ‘Woodstock 5 stelle’, Grillo lancerà il suo programma. L’articolo, oltre a riportare l’anticipazione che l’intervento del comico conterrà “strali dal palco su Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini” ma anche su “Massimo D’Alema” (“gente”, secondo Grillo, “responsabile dello sfacelo del paese”), affronta il grande dilemma che dovranno affrontare i grillini: “allearsi o no con il Pd? Il leader è propenso a rifiutare l’offerta di Pierluigi Bersani ma i suoi uomini nelle città appaiono più possibilisti”.

RELIGIONE
CORRIERE DELLA SERA – Una scuola cristiana è stata incenerita nel Kashmir indiano procurando 18 morti. A scatenare la violenza sarebbero state le immagini messe in onda da una Tv iraniana (Press Tv)  che avrebbe fatto vedere un Corano strappato «da qualche parte nei lontani Stati uniti». Sulla vicenda Paolo Salom raccoglie la testimonianza di Anita Nair, scrittrice indiana. Che dice: «”È un mondo sull’orlo del precipizio. Basta un nulla per far scoppiare le violenze»”. E aggiunge: «In Kashmir la gente si sente senza radici, non sa di che paese fa o farà parte. La religione è l’unica ancora, l’unica ragione forte di identità quando il resto è fragile».  

LA REPUBBLICA – Corano, Scontri nel Kashmir scuola cristiana a fuoco, 18 morti. Incitati dalle immagini di una Tv iraniana, dei fanatici hanno preso d’assalto una chiesa causando 18 vittime. Una situazione incendiaria e pericolosa sulla quale interessante la presa di posizione dell’imam newyorkese che ha proposto di costruire a Ground Zero un centro di dialogo che prevede anche una moschea: “Pur di battere gli integralisti sono pronto a bloccare la moschea” è il titolo. Nell’intervista l’imam Feisal Abdul Rauf sottolinea che una struttura dedicata al dialogo farebbe onore agli Stati uniti e consentirebbe di far sentire le voci dell’Islam moderato.

AVVENIRE – Il quotidiano cattolico apre sul “Fuoco anti-cristiano” degli estremisti islamici all’attacco in India e Pakistan: 18 morti nell’assalto a una scuola missionaria in Kashmir e chiese incendiate nel Punjab e in Pakistan. Il peggiore atto di violenza dopo le polemiche scatenate negli Usa dal pastore Jones. I pogrom sono stati innescati dalle immagini trasmesse da una tv iraniana di due americani, che sabato hanno profanato il Corano davanti alla Casa Bianca. A pagina 5 Pier Luigi Fornari firma un’intervista al ministro pachistano per la tutela delle minoranze Shahbaz Batti in visita in Italia che sostiene: «La politica del governo non è assolutamente discriminatoria, quindi le notizie di diversità nei trattamenti delle popolazioni delle varie fedi o sono false, o sono da attribuire all’azione di qualche individuo isolato».

SCUOLA
IL MANIFESTO – “School de sac” il titolo di apertura sulla scuola italiana “che cade a pezzi con meno insegnanti, classi sovraffollate, precari lasciati a casa e famiglie chiamate a pagare i servizi elementari”. Alle pagine 2 e 3 sotto il titolo “Li fate ignoranti” Luca Fazio intervista Tullio De Mauro secondo cui “siamo un paese che punta a una scuola senza qualità. E in classe dovrebbero tornare anche gli adulti”.

IL SOLE 24 ORE – “La riforma coi fichi secchi”, è il titolo di un commento di Sergio Luzzatto sulle novità dell’anno scolastico: «È fin d’ora possibile distinguere fra alcuni ambiti d’intervento in cui la riforma promette di riuscire efficace, e altri in cui appare penalizzata in partenza, per il modo in cui i tagli finanziari imposti dal governo sono destinati a incidere sulla qualità dell’insegnamento nella scuola pubblica». Luzzatto boccia la questione orari e il rapporto con gli insegnanti, promuove la riforma di indirizzi e materie, “rimanda” il tema “stranieri e assenteisti”: «Condivisibile in molte sue linee direttrici, la riforma della scuola del ministro Gelmini si scontra con una logica che prescinde dal potere d’intervento del ministro stesso, e che riguarda l’entità drammatica dei tagli imposti al sistema dalle manovre finanziarie del governo.  Sui banchi delle nostre scuole, si vanno celebrando le proverbiali nozze con i fichi secchi».

ITALIA OGGI – Nella sua rubrica dedicata al

la ‘Azienda scuola’, a pagina 35, apre con il titolo “Un paracadute per i neo licenziati”, e anticipa l’arrivo di un decreto a firma del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, che dovrebbe essere firmato oggi e che “allarga il cosiddetto ‘salvaprecari'”: nelle graduatorie prioritarie di accesso alle supplenze brevi e ai corsi cofinanziati dalle regioni saranno inseriti anche “i docenti che nell’anno scolastico 2009-2010 hanno lavorato con un contratto a tempo determinato di durata annuale oppure per una supplenza di almeno 180 giorni in un’unica scuola. E che quest’anno, causa tagli delle cattedre, hanno perso il posto”. Questo decreto in arrivo estende la coperta della legge attuale, che per le liste prioritarie “impone che il requisito della perdita del posto di lavoro si sia verificato nel 2008-2009”. I docenti interessati dal decreto dovrebbero essere 2mila secondo il ministero, 20mila per i sindacati.
Nella stessa pagina si riporta uno studio effettuato dallo stesso quotidiano sulle assunzioni graduali dei precari annunciate dalla Gelmini: “Il ministro: precari assunti in 7 anni. Ma i dati non dicono così” è il titolo dell’articolo, che spiega: “I pensionamenti non libereranno 220mila posti, e non si tiene conto dell’effetto di tagli e concorsi”.

FAME NEL MONDO
LA STAMPA – “2010:  meno fame nel mondo”. Una pagina dedicata agli obiettivi del millennio, in vista del vertice di New York: «Quella che oggi verrà ufficialmente comunicata nel corso di una conferenza stampa a Roma dei tre organismi che si occupano di fame e alimentazione – FAO-IFAD-WFP – va considerata na buona, se non addirittura ottima notizia. In pratica, nel giro di un anno gli affamati sulla Terra sono diminuiti di circa 95 milioni di unità, da 1 miliardo e 20 milioni stimati nel 2009 a 925 milioni stimati per il 2010. Una riduzione molto importante in cifra assoluta, ma significativa anche in termini relativi. Basti pensare che il calo segnato nel giro di dodici mesi è del 9,3%. Sempre secondo i dati della FAO, il numero degli affamati era di 825 milioni nel 1995-1997, di 857 nel 2000-2002, di 873 nel 2004-2006, di 963 milioni di persone nel 2008. Dunque, una buona notizia. Che naturalmente va temperata dalla consapevolezza che attualmente ben il 13,4% della popolazione mondiale (poco più di 6,9 miliardi di persone) vive una realtà fatta di sottonutrizione, in cui si mangia il minimo indispensabile per tenersi in vita e si va a dormire non sapendo se il giorno dopo si riuscirà a mangiare abbastanza».

SOLIDARIETA’
AVVENIRE – “Italia, la crisi non ferma le donazioni” è il titolo in prima che richiama i servizi di pagina 12 dedicati all’indagine Focsiv-Doxa sulla solidarietà che verrà presentata oggi. Gli italiani si confermano un popolo generoso: partecipano alle raccolte fondi per i popoli colpiti dalle calamità naturali, sottoscrivono progetti a favore della ricerca, soprattutto nella sanità, aderiscono alle cause promosse da associazioni e ong. Un italiano su due effettua una donazione e per la prima volta da 10 anni la fiducia nelle organizzazioni italiane supera quella verso i soggetti internazionali.

CARCERE
LA STAMPA – “L’uomo che fa evadere il made in carcere”. La storia di Paolo Massenzi, che si è inventato il Jail tour: «Un tour per le carceri a bordo di un camper Anni 80, acquistato a giugno per 6500 euro alla faccia dei 99 milioni di lire di listino nel 1983. Guai a dubitare sull’affidabilità del mezzo: Paolo Massenzi è orgoglioso della sua casa a quattro ruote. E i numeri gli danno ragione: 15 mila km percorsi in un paio di mesi, da quando ha dato via al «Jail Tour 2010». Un viaggio lungo lo Stivale per raccogliere, censire e mettere in mostra biscotti, abiti, collane, pasta, formaggi, mobili e tanti altri prodotti realizzati esclusivamente da detenuti. “Il 22 ottobre 2009 ero in macchina e la radio mi ha dato la notizia della morte assurda di Stefano Cucchi – spiega -. Lì è cambiata la mia vita: ho immaginato che Cucchi potevo essere io, o poteva essere un mio figlio tra qualche anno. Mi è nata l’esigenza di scoprire se nel carcere c’era qualcosa di buono. Ho visitato alcuni istituti e, probabilmente sollecitato dalla mia professione di project manager, ho scelto di dedicarmi alla valorizzazione di ciò che viene creato con arte e professionalità nelle prigioni italiane”. Massenzi abbandona così il lavoro e apre il portale www.recuperiamoci.org, che diventa un punto di riferimento per fare rete tra le cooperative di detenuti ed ex detenuti. L’obiettivo è stilare una mappatura delle realtà che operano nelle carceri per tentare di aprire entro Natale un emporio a Roma, dove mettere in vendita prodotti made in carcere».

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