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Libia, attacco a Gheddafi
Pronti i raid aerei, Bengasi sotto assedio, l'Italia è cauta
Torna di prepotenza in primo piano la crisi libica, dopo il tentativo di Gheddafi di domare militarmente la rivolta popolare, attaccando Bengasi, roccaforte degli insorti. Il suo proclama ha compattato il consiglio di sicurezza dell’Onu che ha dato il via libera a una risposta forte, con raid aerei. I giornali in edicola hanno cambiato le edizioni per aggiornare sugli sviluppi della situazione.
- In rassegna stampa anche:
- NUCLEARE
- VOLONTARIATO
- POVERI
- FAMIGLIA
“L’Onu dà il via all’attacco a Gheddafi” è il titolo a tutta pagina sulla prima del CORRIERE DELLA SERA. In sommario: “Francesi e inglesi: raid subito. A Roma vertice della notte fra premier e capo dello Stato”. Il Consiglio di sicurezza ha votato una risoluzione che ordina il cessate il fuoco immediato e, con l’obiettivo dichiarato di proteggere i civili, vieta il volo agli aerei del regime. Il Colonnello minaccia attacchi contro aerei e navi nel Mediterraneo, giura di sterminare i ribelli di Bengasi, poi fa sapere di essere disposto a trattare. Il fondo è affidato a Franco Venturini: “L’errore del rais”. Eccone un passaggio: “Alla fine, Obama deve essersi reso conto che Gheddafi non poteva vincere sul campo dopo che lui, il presidente degli Stati Uniti, aveva pubblicamente chiesto un suo immediato allontanamento dal potere in Libia. Si poteva al massimo mantenere una certa prudenza nel grado di coinvolgimento, lasciar fare il più possibile agli altri. Ed è così che una Europa più che mai divisa è riuscita in realtà a svolgere un ruolo di primo piano, almeno nelle componenti britannica e francese (non certo in quelle, assai scettiche, italiana e tedesca). Per Parigi si trattava oltretutto di evitare una pessima figura a Sarkozy, che aveva «riconosciuto» i ribelli e più di tutti aveva invocato le maniere forti contro Gheddafi. E gli inglesi, tra gli Usa e la Francia, non potevano certo rimanere alla finestra. Quanto all’Italia, come preannunciato «farà la sua parte» ora che un chiaro mandato internazionale esiste. Ma resta da vedere se si tratterà soltanto di concessione di basi o di una più attiva (e auspicabile) partecipazione alle operazioni”. I servizi alle pagine 2 e 3, unite da una grande cartina geopolitica con il teatro della crisi, comprese le possibili basi di partenza dei raid aerei Nato, e dunque, in Italia, Sigonella. Maurizio Caprara segue gli sviluppi diplomatici italiani, con il vertice notturno del governo assieme al presidente Napolitano. Guido Olimpio riferisce le decisioni delle Nazioni Unite, mentre di spalla Lorenzo Cremonesi, inviato a Bengasi, racconta: “Nelle province orientali della Libia scoppia la gioia. La decisione delle Nazioni Unite sull’imposizione della no fly zone e addirittura la possibilità di un intervento armato a sostegno delle forze rivoluzionarie ha completamente cambiato l’umore popolare. Fino a ieri sera era altamente diffusa l’impressione che il Paese potesse essere riconquistato da Gheddafi. Dalla mezzanotte non più. Da Tobruk a Bengasi il cielo si è illuminato di spari, fuochi artificiali, esplosioni e botti, in un tripudio di gioia irrefrenabile. Nel porto di Tobruk le navi hanno suonato le sirene a festa. Per le strade la popolazione piange, si abbraccia, sventola le bandiere, ringrazia Allah e soprattutto la comunità internazionale. «Non siamo più soli. Il mondo lotta con noi per la libertà» , dicono in tanti. Non era cominciata così la giornata ieri mattina. Per prima volta dall’inizio della «Rivoluzione del 17 febbraio» le bombe dei jet di Gheddafi colpiscono Bengasi. E come è già avvenuto nelle altre località dove è intervenuta l’aviazione, sono stati per lo più raid di avvertimento. «Volevano spaventare. Tanto rumore e nessun danno» , ci ha detto per telefono uno dei portavoce del governo provvisorio”. Mentre in apertura di pagina 3 Fabrizio Caccia parla della grande paura dopo le minacce del rais: “Era un tranquillo giovedì sera, poi l’aria è cambiata in un istante: «E’ deciso, Bengasi, stiamo arrivando» . Era la voce di chi non dà speranza. La voce di Muammar Gheddafi in diretta alla radio e alla tv di Stato: «Arriveremo stanotte e non avremo pietà per nessuno. Il discorso del Raìs poco prima delle nove (le 20 in Italia, ndr) ha strozzato in un minuto il respiro di Tripoli: la città ipnotizzata davanti ai televisori, niente più teatrini per strada, abortiti spontaneamente i caroselli della propaganda, perché sull’euforia posticcia ha prevalso all’improvviso una naturale paura e la maggioranza s’è chiusa in casa aspettando la notte più lunga, quella che ha unito per la prima volta Bengasi e Tripoli nell’angoscia, entrambe con gli occhi al cielo per scrutare l’arrivo dei bombardieri. La notte della resa dei conti e della no-fly zone”.
LA REPUBBLICA torna su Gheddafi: “L’Onu: sì ai raid sulla Libia” e nel sommario riferisce: “La Francia: colpiamo subito. Tripoli: pronti al cessate il fuoco”. Tre pagine all’interno. Comincia Angelo Aquaro da New York: il documento votato ieri sera alle nazioni Unite autorizza «tutte le misure necessarie». Il che vuol dire attacchi aerei. La Francia ha spinto in questa direzione (è l’unico paese al mondo che ha riconosciuto gli insorti). Dal canto suo il Pentagono ha detto di avere «mezzi sufficienti sul posto per cominciare quasi immediatamente». Ci stanno anche gli inglesi. La risoluzione prevede la protezione di Bengasi e della Cirenaica. Una svolta dopo settimane di incertezze, resa possibile anche dall’astensione di Cina e Russia (che hanno diritto di veto) e di altri paesi come India, Brasile e Germania. E resa possibile dal fatto che «di fronte al rischio di un intervento più deciso è prevalso alla fine il rischio che restare a guardare può portare». Quanto all’Italia parteciperà alla missione: nella notte un vertice Berlusconi, La Russa – alla presenza di Napolitano – per decidere che l’Italia offrirà alla missione le basi per gli aerei e non solo. Il governo invierà navi e aerei. Dalla Livia, Vincenzo Nigro spiega l’ultimo trucco del Raìs: «Accettiamo la risoluzione dell’Onu, siamo pronti a rispettare un cessate il fuoco, aspettiamo i dettagli tecnici della risoluzione. Ma speriamo che l’Italia si tenga fuori da questa iniziativa», ha detto ieri il vice-ministro degli Esteri. Appena poche ore prima Gheddafi aveva detto agli insorti di Bengasi: «Preparatevi. Arriveremo stanotte», e il suo ministro della Difesa aveva lanciato un altro ricatto: «tutte le operazioni ilitari contro la Libia esporranno il traffico aereo e marittimo nel Mediterraneo al pericolo». Infine il reportage da Tobruk, firmato da Bernardo Valli. «La guerra psicologica alimentata dalla propaganda delle due parti, mette a dura prova i nervi della popolazione.. anche grazie a false notizie… Mentre arrivavo a Tobruk, voci insistenti davano per certa la presenza di mercenari con le bandiere verdi di Gheddafi. Ed era un falso». Gheddafi guadagna terreno, ma con difficoltà e forse la partita non è chiusa. Nel suo commento (“L’ultimo credito dell’Occidente”), Vittorio Zucconi: la risoluzione potrebbe arrivare tardi ma ora i paesi occidentali e quelli arabi che l’ hanno sottoscritta «hanno impegnato la propria credibilità, e fatto la scelta di contribuire a rimuovere Gheddafi, perché questo vuol dire la decisione. È una grande, dovuta responsabilità. Se Gheddafi dovesse sopravvivere, sarebbero le Nazioni Unite, l’Europa, l’America a essere sconfitte».
«Via alle bombe su Gheddafi», titola IL GIORNALE in prima pagina. Nell’occhiello: «Venti di guerra alle porte d’Europa». L’argomento viene approfondito alle pagine 14 e 15: «L’Onu: stop agli aerei del rais» è il titolo dell’articolo di Roberto Fabbri. «Allora non scherzava. Anche perché temeva che il Consiglio di sicurezza dell’Onu avrebbe dato il via libera, come poi ha fatto, all’intervento». Il riferimento è a «Muhammar Gheddafi, nell’intervista esclusiva concessa al Giornale, aveva minacciato in caso di attacco internazionale alla Libia l’uscita della coalizione contro il terrorismo islamico e addirittura un capovolgimento di fronti». Le conseguenze delle decisioni del consiglio di sicurezza delle Nazioni unite: vengono analizzate da Gian Micalessin: «Ma forse è troppo tardi si rischia un’altra Sarajevo». Secondo il commentatore, la comunità internazionale ha commesso degli «errori», è «pavida e incerta». Adesso «la capitale degli insorti è perfetta per diventare una nuova vergogna». Critiche anche per Obama, perché «alzando l’asticella dell’intervento, il presidente Usa ha reso ancora più problematico il voto del Palazzo di Vetro». La conclusione è che ci si trova di fronta a 1un’avventura militare dagli esiti estremamente incerti».
In una prima pagina de IL MANIFESTO dominata anche oggi dal Giappone, la Libia ha un piccolo richiamo intitolato “«Ora a Bengasi» E l’Onu vota la no-fly zone” con il rinvio alle pagine 8 e 9 accomunate dal marcapagine «Medio Oriente in fiamme» e da un sommario che recita: «Abbattuti due caccia del Colonnello sul cielo della capitale della Cirenaica e della rivolta. Gheddafi minaccia; “Arriveremo stanotte e non avremo pietà. Ma chi non è armato non ha nulla da temere”. La città lo aspetta» il titolo all’articolo dell’inviato a Bengasi riassume “«Arrendetevi» Bengasi resiste”. Ad aprire le due pagine è un articolo di Immanuel Wallersetin «Chavez sbaglia, il problema è il colonnello», articolo che analizza il caso Libia dal punto di vista della sinistra mondiale: «C’è così tanta ipocrisia, e così tanta confusione nell’analisi di quello che sta succedendo in Libia che non si sa da dove cominciare. E l’aspetto più sottovalutato della situazione è la divisione profonda nella sinistra mondiale. Una quantità di stati latino americani di sinistra, e soprattutto il Venezuela, è decisamente schierata col Colonnello Gheddafi, ma i portavoce della “sinistra mondiale” in Medio Oriente, Asia, Africa, Europa e anche nell’America del Nord decisamente non sono d’accordo. (…)» E continua, dopo aver analizzato la posizione di Chavez osservando che: «La Libia e il mondo occidentale non hanno fatto altro che stringere un accordo proficuo dopo l’altro. Quanto a me ho difficoltà a vedere Gheddafi come un eroe del movimento mondiale anti-imperialista, almeno nell’ultimo decennio. Il secondo punto che è sfuggito a Hugo Chavez nella sua analisi è che non ci sarà nessun significativo intervento militare del resto del mondo in Libia (…)». A questa analisi che si conclude definendo Gheddafi «un grosso ostacolo per la sinistra araba, anzi mondiale» fa il paio l’articolo sul voto al consiglio di sicurezza dell’Onu sulla no-fly zone che si chiede, fin dal titolo «via alla nuova guerra umanitaria?». Si legge nell’articolo – scritto comunque prima del voto dell’Onu che viene dato per scontato – si legge « (…)è inutile nascondersi dietro le foglie di fico umanitarie. Non solo di un’azione di interdizione si tratta – la no-fly zone -, ma di una guerra vera, e dichiarata. Infatti, secondo la bozza di risoluzione letta dal ministro degli esteri britannico William Hague, il testo impone «l’immediato cessate il fuoco, la fine completa della violenza, la proibizione dui tutti i voli nello spazio aereo libico ad eccezione dei voli umanitari», e il concomitante divieto per gli aerei libici di decollare, atterrare o sorvolare il territorio di qualsiasi stato membro dell’Onu (quindi in pratica del mondo). (…)».
“Via libera ai raid in Libia” è il titolo in prima e in apertura scelto da IL SOLE 24 ORE per seguire gli ultimi eventi in Libia. I servizi interni sono a pagina 5 dove, da Washington l’inviato Mario Platero ci racconta che gli Stati Uniti hanno ottenuto ieri il passaggio di una risoluzione storica contro la Libia al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Con una maggioranza di 10 voti e l’astensione di cinque paesi, tra cui Cina e Russia, l’Onu ha autorizzato l’uso di tutte le misure necessarie, inclusa la no fly zone, per proteggere da subito la popolazione civile in Libia: «All’Italia non viene chiesto solo di partecipare alle operazioni militari attive, ma di svolgere un ruolo molto importante nella fase della ricostruzione. Il funzionario del dipartimento di Stato ha osservato che finora il nostro paese ha giocato un ruolo chiave: “Noi manchiamo dalla Libia da troppi anni – ha detto – in pochi conoscono la Libia come gli italiani, sia per le relazioni personali politiche e di affari. I diplomatici italiani ci hanno dato una finestra di grande valore su realtà così importanti in questo momento, per questo ci siamo sentiti tanto spesso”». Intanto i mercati sono in fibrillazione. Dopo la risoluzione Onu c’è chi teme i venti di guerra possano turbare oltremodo i rapporti commerciali con il paese libico. Se da un lato le principali piazze europee e americane hanno potuto beneficiare ieri di un rimbalzo dopo le forti vendite innescate dalla crisi nucleare in Giappone (si veda il servizio a pagina 9), nel corso della notte la tensione degli operatori è tornata a salire, sulle prospettive di uno scontro armato tra le forze fedeli a Gheddafi e il fronte Onu a sostegno dei ribelli. Il commento è affidato a Roberto Bongiorni da Bengasi: «Al di là della propaganda, le forze di Gheddafi (fino alle 23 di ieri) non sono riuscite a sfondare la roccaforte di Ajdabiya, 160 km da Bengasi. Ma potrebbero farlo nei prossimi giorni. Il divario tra l’anarchica e male equipaggiata armata dei rivoluzionari e le milizie di Gheddafi è ancora grande».
“La Libia è un’altra debacle dei servizi segreto Usa” scrive ITALIA OGGI. Bacchettata all’intelligence americana da parte di Serena Gallo Cavallo a pag 9 sulla «evidente decadenza dei servizi segreti americani e britannici, che alla prova dei fatti, erano in possesso delle stesse non verificate informazioni, prodotte nel campo dei rivoltosi, cui si è ispirata la stampa internazionale prendendole per oro colato». L’abbaglio, sostiene il pezzo «è derivato dall’insana passione per ogni rivolta popolare da considerarsi a priori come un grande evento democratico, anche in paesi dove una spinta autenticamente ispirata a principi democratici è quanto di più improbabile».
AVVENIRE, sul voto del Consiglio di sicurezza dell’Onu che ha deciso il sì alla “no fly zone” prevede un richiamo a centro pagina in prima e servizi a pagina 7. Nell’articolo “Libia: l’Onu decide, la Nato scalda i motori” Loretta Bricchi Lee da New York spiega che «gli Usa sono preoccupati che Gheddafi, se riuscisse a schiacciare la rivolta, “torni al terrorismo e all’estremismo violento” e – giustificando l’apertura verso una linea dura con il mutamento della situazione sul terreno – Washington è ora pronta ad appoggiare misure che “vadano oltre all’interdizione aerea” ma non a inviare truppe di terra». Francia e Gran Bretagna sono “pronti a raid aerei”, mentre Berlino e Mosca sono prudenti e la Cina tace. In Italia il ministro La Russa ha precisato che se l’Onu imporrà una no fly zone «non ci sottrarremo ai nostri doveri». Nella base di Sigonella, intanto, sono state aumentate le misure di sicurezza mentre numerosi aerei F18 da attacco al suolo sarebbero giunti da Aviano in Friuli. AVVENIRE scrive anche che il segretario generale Nato Rasmussen ha messo in guardia sostenendo che «Il tempo per un intervento internazionale sta “rapidamente finendo”». Da Tripoli, che definisce un eventuale intervento “illegale”, l’avvertimento è stato pesante: «Qualsiasi attacco straniero alla Libia esporrà tutto il traffico aereo e marittimo del Mediterraneo – sia civile che militare – al contrattacco, ha annunciato un comunicato libico, sostenendo che l’area diventerebbe a rischio». E Gheddafi, comparso in tv prima dell’inizio dell’attacco finale a Bengasi, capitale dei ribelli libici, ha dichiarato: «Stiamo arrivando, e non avremo pietà per nessuno».
“Gheddafi marcia su Bengasi. Il mondo pronto a fermarlo” è il titolo a tutta pagina de LA STAMPA sovrastato dalla foto di un grosso cingolato. “Gheddafi minaccia. La Nato: pronti al blitz” di Maurizio Molinari fa il punto della situazione e spiega «accordo sulla Risoluzione Onu con l’assenso della Lega Araba». Antonella Rampino sottolinea la posizione dell’Italia “Frattini: daremo le basi ma non i nostri aerei”. «L’Italia, in considerazione anche della sua posizione particolarmente esposta nel Mediterraneo, per la presenza sul campo di operatori umanitari, nonché per la speciale conoscenza di tutti gli attori che operano sul terreno della crisi libica, è stata costantemente informata delle decisioni – che al momento in cui scriviamo sono ancora a geometria variabile – prese all’Onu a New York e, soprattutto, al Dipartimento di Stato a Washington e al quartier generale del Patto Atlantico a Bruxelles. Di più: all’Italia è stato chiesto quali misure avrebbe voluto veder inserite nella risoluzione Onu. Alla telefonata di Hillary Clinton, che era al Cairo, ha risposto un Franco Frattini appena uscito dal vertice di Palazzo Chigi sulla Libia mercoledì sera. Il ministro ha ricordato che «l’obiettivo deve essere il cessate il fuoco», e che l’Italia consiglia «il blocco navale, per motivi di sicurezza e per il rischio immigrazione», oltre che per poter fermare le navi operando in modo che l’embargo venga rispettato. E la no fly zone, da istituire comunque sotto egida Onu, «va portata avanti in un quadro di legittimazione regionale». Giordano Stabile, inviato a Il Cairo firma “Bengasi resiste al Colonnello”. «È nell’aria che si deciderà la battaglia per Bengasi. La risoluzione dell’Onu sulla No Fly zone, se approvata, potrebbe aver già scatenato nella notte i caccia francesi contro le avanguardie gheddaffiane che puntano sulla città roccaforte degli insorti. Che intanto hanno costituito una loro rudimentale difesa aerea. Con il mondo che si sta alla fine muovendo, il raiss ha capito che gli resta poco tempo per chiudere la partita». C’è anche un’intervista di Alessandro Alviani al ministro degli Esteri Guido Westerwelle “Nessun soldato tedesco combatterà in Libia. Perché, spiega il ministro «la Germania dice no ai raid. La nostra linea privilegia l’applicazione di sanzioni finanziarie e economiche».
E inoltre sui giornali di oggi:
NUCLEARE
IL SOLE 24 ORE – Paginata – la 6 – dedicata al tema del nucleare. Riflessioni e ripensamenti del governo per bocca del ministro allo Sviluppo, Paolo Romani. Intanto le Regioni dicono di no, non vogliono centrali sul prorpio territorio. Tranne alcune: fra queste – a sorpresa – l’Abruzzo.
IL MANIFESTO – «Balle atomiche» è questo il titolo scelto dal MANIFESTO per seguire il caso Giappone perché «Su Fukushima il mondo non crede al Giappone (…)». Sempre in prima inizia il commento di Giorgio Amitrano “La cognizione del dolere”, in cui si legge: «(…) spero che tutti coloro i quali seguono ipnotizzati le immagini della tragedia percepiscano, dietro la dignità e la compostezza, il dolore. I giapponesi lo soffrono come ogni altra popolazione del mondo, né le loro emozioni sono meno profonde e sconvolgenti di quelle degli altri. (…) In questi giorni seguo costantemente le notizie sul canale satellitare della Nhk, la televisione di stato giapponese. La dignità e la compostezza resistono, ma nelle zone colpite e in più adesso soggette al pericolo nucleare, quando i soccorsi tardano o i viveri sono insufficienti, si cominciano a registrare segni di insofferenza e rabbia. Dicevo prima della matrice confuciana del comportamento giapponese, e del preciso senso dei propri doveri verso la società. Ma in Giappone, e questo in Occidente spesso lo si dimentica, è altrettanto vivo il senso dei propri diritti e di ciò che ci si deve attendere dagli altri e da chi governa. (…)». Alla questione nucleare sono poi dedicate 4 pagine (dalla 2 alla 5). A pagina 3 si parla del Mox, ovvero del combustibile al plutonio della centrale 3, molto più pericoloso del semplice uranio. S ricorda come, lo scorso anno, quando il reattore fu caricato con questo combustibile Greenpeace avesse lanciato un allarme inascoltato «(…) Ha denunciato inoltre che il Mox favorisce la proliferazione delle armi nucleari, in quanto se ne può estrarre più facilmente plutonio: con quello della spedizione del 2009 si potrebbero fabbricare 225 armi nucleari. Quasi nessun governo ha prestato attenzione all’allarme lanciato da Greenpeace» e conlcude: «Né i governi italiani si sono preoccupati del fatto che l’impianto francese di Marcoulle, in cui si fabbricano le barre al plutonio, dista appena 180 km dal nostro confine e 300 km da Torino. Anzi il governo Berlusconi vuole acquistare centrali nucleari francesi. Magari con lo stesso combustibile al plutonio del reattore di Fukushima». Le pagine 4 e 5 sono dedicate invece alla situazione europea e alla situazione italiana cui è dedicato l’articolo a piè di pagina 5 «Paura (elettorale) atomica. E il governo ingrana la retromarcia» ricordando «La ministra Prestigiacomo: “È finita, non possiamo rischiare le elezioni per il nucleare”. Berlusconi: “Priorità alla sicurezza”».
VOLONTARIATO
LA REPUBBLICA – Enrico Franceschini, da Londra, riferisce di alcuni studi secondo i quali il volontariato e i figli allungano la vita.«Coloro che si dedicano ai familiari, al prossimo, al lavoro ben fatto, secondo le statistiche, hanno mediamente una vita più lunga, una salute migliore e una felicità più piena, rispetto a chi rincorre un quotidiano piacere edonistico».
POVERI
CORRIERE DELLA SERA – A pagina 31: “Una credit card ai poveri per i pasti ritirati al bar”. Idea di Qui Group e Caritas per evitare sprechi di cibo. In pratica il Pasto Buono per chi ne ha diritto (soglia di povertà) può essere ritirato direttamente presso gli esercenti e non alle mense dei poveri. I pasti potranno essere dunque portati a casa, evitando l’imbarazzo di doversi recare nelle mense dei poveri.
FAMIGLIA
AVVENIRE – Dimissioni rientrate per Giovanardi. A pagina 13 un articolo riporta le dichiarazioni del sottosegretario con delega alla famiglia che dopo un incontro con Silvio Berlusconi e Gianni Letta ha avuto precise rassicurazioni: «Mi hanno promesso fondi per la famiglia nel decreto in arrivo». Ora Giovanardi attende gesti concreti: «Tre anni fa il fondo famiglia era dotato di 300 milioni, ora ne restano poco più di 20 e neanche si capisce se siano solo fondi veri o da andare a reperire nei meandri dei bilanci regionali», lamenta il sottosegretario che martedì era arrivato a concludere , amaramente: «Non c’è più nulla da cui dimettersi». Nessuna schiarita, però, per ora solo spiragli: «Mi è stato assicurato che nel decreto che il governo sta apportando per far fronte ad alcune misure urgenti si terrà conto anche del dipartimento famiglia. Ma sia chiaro – ribadisce Giovanardi – sono il minimo indispensabile per operare. Si tratta dei rimborsi alle famiglie per le adozioni internazionali, del fondo nuovi nati, dei progetti di conciliazione lavoro-famiglia, delle spese per il funzionamento degli Osservatori sulla famiglia e sui minori. In queste condizioni, senza nuovi interventi, il mio dipartimento non sarebbe più in grado di operare».
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