Recita il comunicato della Fnsi del 18/9/09: “La Giunta Esecutiva della Federazione della Stampa Italiana, riunita oggi a Roma, ha confermato la manifestazione per la libertà di informazione, per una stampa che non vuol farsi mettere il guinzaglio da nessuno, che si terrà a Roma il 3 ottobre prossimo, in Piazza del Popolo, con inizio alle 15.30″. In verità (vedremo quanto il principio di verità sia questione importante per chi fa informazione), la mobilitazione è nata tutta dentro redazione di La Repubblica, che dopo essersi (a ragione visto il deserto politico) assunta il ruolo di partito di opposizione, ora prova a guidare la mobilitazione di piazza, se non di popolo almeno di categoria. Come è noto, tutto nasce dalle famose 10 domande al premier sul caso Noemi che dal giugno scorso vengono ogni giorno ossessivamente ripetute dal quotidiano e dal suo sito e dalla conseguente citazione in giudizio di La Repubblica fatta dal premier lo scorso agosto. A quel punto, tre famosi collaboratori del quotidiano (Franco Cordero, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky) scrivono un appello e viene lanciata (a fine agosto) la mobilitazione virtuale (oltre 400mila firme sottoscrivono l’appello su repubblica.it) e reale (grazie alla mobilitazione del sindacato). Insomma, siamo al capovolgimento delle logiche conosciute: Repubblica lancia la mobilitazione con tanto di countdown quotidiano (oggi siamo al – 1) e il sindacato dei giornalisti fa da partner. Ebbene, io non ho partecipato alla mobilitazione virtuale e non parteciperò a quella reale. Ecco perchè.
Prima questione. Esiste in questo Paese un problema di libertà di informazione? Possiamo rispondere chiaro e tondo: no. Come sostenerlo quando oggi chiunque si può sintonizzare con circa 40 canali via etere, se poi si possiede un’antenna parabolica si possono raggiungere altri 268 canali e con il digitale terrestre possiamo moltiplicare per quattro di questi numeri? Come possiamo affermarlo quando in qualsiasi zona d’Italia ci si trovi ci si può sintonizzare mediamente con una trentina di canali radiofonici – in Italia, questi sono in tutto 1200-1300 – e nelle edicole, malgrado la profonda crisi, potete scegliere tra oltre 2000 testate di quotidiani e periodici? Come possiamo affermarlo quando negli ultimi tre mesi sono nati (evviva) ben due quotidiani decisamente collocabili nell’area dell’opposizione al governo quando non della rivolta sociale (L’Altro e Il Fatto quotidiano)? Come possiamo affermarlo quando persino il duopolio Mediset-Rai è definitivamente tramontato con un gruppo come Sky che macina utili, abbonati, share e contenuti?
Seconda questione. Allora discutere di libertà di informazione in questo Paese e oggi “è una farsa”, come ha detto il premier? No, discuterne, rivendicarla non è mai una farsa. Non è una farsa, però, a una condizione: bisogna trattarla come una questione è seria e non come clava da agitare in faccia ad avversari politici o per i propri interessi di reddito e di potere. Che volete che vi dica, scendere in piazza per Santoro-Travaglio-Dandini o per prender parte a una feroce lotta tra poteri economico-ploitici che danno una rappresentazione del Paese falsa e artefatta a proprio uso e consumo usando le peggiori cose e i peggiori linguaggi, proprio non mi va. Anzi, mi stupisce che parte delle organizzazioni della società civile si siano fatte fagocitare in tutto questo.
La questione è seria, però. Ancora più seria di come la definiva Kierkegaard nel 1848 ponendo la questione della libertà di informazione in rapporto al tema del principio di verità (bella questione, ripresa poi anche da Michel Foucault). Scriveva Kirkegaard nei suoi Diari: “Il giornalista rende gli uomini ridicoli in due modi: prima, col far loro credere ch’è necessario avere un’opinione (…) Poi, con il noleggiare un’opinione che, malgrado la sua qualità ventosa, però si indossa e si porta come – un articolo di necessità!”, ne concludeva, Kirkegaard, che per il loro non confrontarsi mai con il principio di verità i giornali sono “il sofisma più funesto che sia mai apparso”. La questione, che è poi quella di cui avevo ragionato in un precedente blog dal titolo “La libertà di dire parole non libere”) è oggi ancor più grave non solo per la moltiplicazione degli strumenti e quindi dei sofismi, ma perchè il giornalista non si confronta più non solo con il principio di verità (e vabbé, viviamo in un’epoca confusa), ma neppure più con il principio di realtà. Ed è questo un vero guaio, per tutti. In particolare per giornalisti. Ma ne ragioneremo un altra volta. Sempre che qualcuno abbia voglia di ragionare e non solo di “noleggiare” opinioni.
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