Non profit

Liberia, sino a quando resisteremo?

La drammatica testimonianza diretta di due cooperanti italiani dal Paese africano (Lucio Melandri e Paola Retaggi). Ed una breve introduzione di Giuseppe Frangi.

di Lucio Melandri

In Liberia si sta consumando l?ultimo terribile dramma africano. E anche in Liberia lavorano alcuni cooperanti italiani. Tra loro Lucio Melandri e Paola Retaggi, di Intersos, che ci hanno fatto pervenire questa testimonianza, semplice e drammatica. Giuseppe Frangi In Monrovia riusciamo a circolare solo in ambulanza, anche se si sta ormai restringendo lo spazio di sicurezza. Il pericolo maggiore viene dai molti ragazzi armati, alcuni veri e propri bambini. Anche dall?aeroporto, dove è venuto a prenderci padre Antonio, siamo giunti in città superando tutti i posti di blocco grazie all?ancora rispettato mezzo dell?ambulanza e soprattutto grazie al rispetto verso il lavoro che Antonio sta svolgendo con i suoi confratelli spagnoli all?ospedale St. Joseph. Siamo due volontari di Intersos a Monrovia, la capitale della Liberia: speravamo in un momento di tregua in attesa della fuoriuscita del presidente Taylor, ma proprio in questi ultimi giorni la guerriglia ha sferrato un attacco su larga scala alla capitale, sino alla drammatica giornata di lunedì 21, quando 600 morti civili sono rimasti sul terreno. Ci troviamo all?ospedale St. Joseph, di fronte all?oceano: 140 letti, che diventano più di 200 nei momenti degli scontri, sempre in piena attività con interventi nelle diverse patologie e offrendo i servizi di medicina interna, chirurgia generale, ostetricia e ginecologia, pediatria, oftalmologia. La maggioranza dei pazienti sono bambini sotto i 5 anni con seri problemi di anemia, malnutrizione, polmoniti, diarree, malaria. Nel momenti di alta affluenza si è costretti ad accogliere due o tre bimbi in un letto da adulto. Sono giorni di ampie e forti sparatorie nella capitale. Anche per i malati e i feriti è difficile raggiungere l?ospedale. Su 3 milioni di liberiani, più di un milione vive a Monrovia. Oltre 400mila gli sfollati, fuggiti dalle zone più pericolose. Altre centinaia stanno cercando riparo nella parte meridionale della città, proprio nella direzione dell?ospedale St. Joseph. Salvo necessità estrema, nessuno più si muove e si rimane in attesa di eventi di cui è difficile prevedere solo l?entità. Altre organizzazioni umanitarie hanno garantito qui una presenza continuativa con dedizione e coraggio: Medici senza frontiere di Belgio e Francia, la britannica Merlin, la francese Action contre la faim, il Cicr-Comitato internazionale della Croce Rossa. Intersos ha iniziato a sostenere l?ospedale St. Joseph coordinandosi con Afmal, l?ong legata al Fatebenefratelli di Roma. I due ospedali sono infatti gestiti dalla stessa congregazione. Anche la situazione degli sfollati, desta molta preoccupazione: scarseggiano cibo e acqua e le condizioni igieniche sono molto precarie. Se la situazione, come prevediamo, continua a peggiorare e non sarà possibile sviluppare le attività di assistenza previste, anche noi dovremo, con gli altri operatori internazionali, trovare rifugio ad Abidjan, nella vicina Costa d?Avorio. I religiosi del St. Joseph per ora intendono rimanere: “Sono qui da quarant?anni”, ci dice uno di loro, “per noi lasciare il Paese assumerebbe un altro significato”.

Lucio Melandri e Paola Retaggi

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