Negli ultimi anni alcune cooperative agricole trentine (ma credo non solo di questa provincia) hanno investito nelle regioni del Sud Italia. Non sembra sia andata benissimo e non solo per questioni di redditività dell’investimento. Proprio in questi giorni i giornali locali parlano di inchieste dove si paventano anche inquinamenti mafiosi. Le indagini sono in corso e la questione è delicata. Ma qualche considerazione generale è necessaria e riguarda il modello di sviluppo adottato da queste cooperative per allargare la loro attività in altri contesti. Si parla molto di internazionalizzazione dell’impresa sociale e cooperativa, ma prima di lanciarsi su scala globale è utile valutare cosa è successo in operazioni a medio raggio. Un primo aspetto riguarda il modello organizzativo e societario adottato nei territori di espansione. Non sembra infatti che si sia investito più di tanto sul modello cooperativo in loco, realizzando così uno dei “comandamenti” del movimento cooperativo che afferma come tratto identiario “la cooperazione tra cooperative” . Sembrano operazioni più o meno simili a quelle portate avanti da imprese tradizionali. Il secondo aspetto, cruciale nelle regioni del Sud Italia, riguarda la legalità. Tema che in Trentino è un dato per scontato (magari non troppo considerando altri fatti recenti), mentre invece in quei territori il confine tra legale e illegale va tracciato con molta chiarezza, soprattutto da parte di organizzazioni “sociali” come le cooperative. Non è una cosa facile. Forse serviva un aiuto, per investire, oltre al capitale economico, anche il capitale sociale, quello buono però (bridging), quello che crea relazioni con le espressioni economiche e sociali sane del territorio. Una soluzione? Affidarsi a organizzazioni come Libera Terra che in fatto di decontaminazione delle terre della “comunità maledetta” (leggi organizzazioni mafiose) la sanno lunga. Si poteva fare siglando una partnership commerciale: quelli di Libera fanno da “antenna” sul territorio rispetto alla legalità e per questo vengono retribuiti assegnando una quota di terreni di proprietà delle coop trentine, o favorendo la commercializzazione dei loro prodotti. Certo il processo è complicato e magari non perfettamente fasato sui tempi del business. Ma forse avrebbe evitato (o almeno limitato) il rischio di ritrovarsi in una situazione spiacevole come quella attuale.
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