Mondo

Libano, sipario sui progetti

Dalla gestione delle acque all’assistenza nei campi profughi. La cooperazione italiana era molto attiva nel paese dei cedri. Ecco le testimonianze

di Emanuela Citterio

«Abbiamo lasciato un paese impaurito, che in pochi giorni è precipitato indietro di vent?anni». Emilio Minandi è uno dei cooperanti italiani rientrati dal Libano. Non ha aspettato l?evacuazione ufficiale tramite ambasciata. Dopo la notte di bombardamenti del 13 luglio, ha caricato sull?auto i suoi tre figli di cinque, quattro e un anno. E con la moglie all?ottavo mese di gravidanza ha deciso di percorrere la ?via di Damasco?, l?arteria principale che porta fino alla capitale della Siria. Da qui ha preso un volo per la capitale della Giordania e quindi per l?Italia. Ingegnere gestionale di Milano, 35enne, Minandi era in Libano da sette anni come cooperante dell?ong italiana Avsi. «Mi occupo di un progetto finanziato dall?Unione europea per migliorare la gestione dell?acqua nella valle della Bekaa, lungo il fiume Litani, che è la zona agricola potenzialmente più fertile del paese», spiega. «Un programma regionale in collaborazione con il governo libanese e con quello della Giordania, che finora ha dato buoni risultati: tre anni fa abbiamo creato un centro per la formazione dei duemila agricoltori della valle sulle nuove tecniche di irrigazione e di gestione dei terreni agricoli». Delle nuove infrastrutture e delle innovazioni agricole avrebbe dovuto beneficiare tutta la popolazione della valle, circa 50mila persone. Ora invece «la vita quotidiana dei libanesi è di nuovo scandita dai bombardamenti», dice amaro. Sono 13 le ong italiane in Libano. Otto (Arcs, Avsi, Cisp, Coopi, Ctm, Icu, Movimondo, Ricerca e cooperazione e Vis) con progetti in corso finanziati dal Mae (il ministero degli Esteri) e dalla Ue. Si tratta per lo più di interventi in ambito educativo, sanitario e agricolo, e di assistenza alla popolazione palestinese nei campi profughi. Tutte le ong hanno fatto rientrare il proprio personale espatriato e hanno sospeso per il momento i progetti in attesa dell?evolversi della situazione. «Non siamo andati via dal Libano, anche se abbiamo dovuto far rientrare i nostri cooperanti per ragioni di sicurezza», chiarisce Silvia Stilli, responsabile dei progetti in Medio Oriente dell?ong Arcs – Arci cultura e sviluppo. «Continuiamo a seguire i progetti attraverso le associazioni libanesi nostre partner nei progetti. Come la Renée Moawad Foundation, ong libanese d?ispirazione cristiana che lavora con noi per l?educazione interculturale e la convivenza dei diversi clan nel quartiere sunnita della città di Tripoli, nel nord del Libano». Con un finanziamento del Mae, Arcs ha creato un centro educativo per il supporto dei minori lavoratori e la scolarizzazione delle ragazze. In Libano l?ong si occupa anche di assistenza alla popolazione palestinese che vive nei campi profughi. A lavorare nei campi palestinesi c?è poi l?ong romana Ricerca e cooperazione, che ha rimpatriato cinque persone fra cooperanti ed esperti, e il Cisp, che presta assistenza sanitaria in collaborazione con la Croce rossa e la Mezzaluna rossa libanesi. «Siamo presenti in Libano dal 1996», dice Gianluca Falcitelli, responsabile dei progetti in Medio oriente del Cisp. «In questo momento è tutto fermo. I bombardamenti colpiscono i ponti, le vie di comunicazione, le centrali elettriche: è difficile muoversi e cominciano a scarseggiare i beni di prima necessità. Con le altre ong italiane stiamo puntando a creare un tavolo di coordinamento comune per gli aiuti di emergenza».


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