Le elezioni in un grande paese europeo sono sempre una ghiotta occasione per trarre lezioni per la competizione politica nostrana. A volte il confronto è un po’ troppo “tirato”, spesso si ignorano i risultati “quantitativi” altre volte si tende a vedere solo un pezzettino del risultato, quello che fa più comodo alla propria parte politica o al ragionamento. Quindi, cercherò di basare questa sintetica analisi il più possibile sui dati e cercherò di interpretarli alla luce di tre temi che sono al centro del dibattito politico italiano: la capacità di un certo sistema elettorale di garantire governabilità e rappresentanza, il ruolo dei partiti anti-sistema, il posizionamento del PD guidato da Renzi.
Iniziamo subito osservando che i Conservatori inglesi ottengono la maggioranza assoluta dei seggi (331 su 650), conquistando il 36,9% dei voti. Nella democrazia più antica del mondo nessuno ha gridato allo scandalo per questo. Tra l’altro, la partecipazione è stata pari al 66,1%, il che significa che i Conservatori con il 24,4% dell’elettorato, adesso hanno la maggioranza assoluta in Parlamento. I problemi del sistema uninominale secco sono altri, come vedremo.
Le elezioni inglesi dimostrano che l’uninominale secco non è in grado di garantire la semplificazione del sistema partitico (12 partiti presenti in Parlamento) e, di conseguenza, la governabilità nell’alternanza. Il fatto che subito dopo lo spoglio si potesse sapere chi ha vinto (meglio sarebbe dire: chi può formare un governo) appare quasi un miracolo. Il sistema a doppio turno contenuto nel nostro Italicum è sicuramente superiore sotto questo punto di vista.
E, se guardiamo alla composizione parlamentare, i risultati dell’uninominale all’inglese appaiono aberranti nella rappresentazione delle preferenze dell’elettorato nazionale, favorendo il localismo e penalizzando gli interessi diffusi. La coalizione di governo, Conversatori e Liberali Democratici, perde il 14,7% dei consensi e 21 seggi, a causa del tracollo dei LibDem (-15,2% e – 49 seggi) solo parzialmente compensato dai Conservatori (+0,5% e + 28 seggi). Il Labour guadagna 1,5% di consensi ma perde 25 seggi, quasi il 10% della sua precedente rappresentanza parlamentare. Ma il caso più eclatante di aberrazione è quello dello UKIP, in negativo, e dello Scottish National Party, in positivo. Lo UKIP conquista il 12,6% dei consensi (+9,6%) ma rimane in Parlamento con 1 solo seggio (-1). Lo SNP con il 4,7% dei consensi (+3,1%) conquista 56 seggi (+50 !).
In un contesto del genere dire che gli elettori abbiano promosso a pieni voti il governo uscente appare un po’ forzato. Il fatto che i Conservatori, un partito storico e noto, abbiano “vinto” nasconde una realtà molto più preoccupante che i numeri però evidenziano in tutta la sua portata: la crescita dei partiti anti-sistema. Il 30% circa dell’elettorato è su posizioni nettamente contrarie all’unità del Regno e/o alla Unione Europea, costi quel che costi. E anche il 37% dei Conservatori vede nella UE solo la prospettiva commerciale del mercato unico. Se non fosse per il rischio di perdere il contributo della Finanza al PIL inglese, probabilmente i Conservatori la loro scelta radicale la avrebbero già fatta da tempo.
Anche in questo caso una doppia lezione per l’Italia, con i partiti anti-sistema che, almeno nei sondaggi, hanno consolidato le loro posizioni su livelli simili o leggermente superiori a quelli inglesi. Dove la seconda parte della lezione per i partiti tradizionali è : “speriamo che non crescano nel mio giardino”. Il Labor quest’anno è stato oltremodo penalizzato dalla crescita dell’SNP, senza che lo UKIP facesse altrettanto nei confronti dei Conservatori.
Infine, il posizionamento del PD di Renzi. Sul tema hanno scritto, direttamente o indirettamente, un po’ tutti. Per ultimo anche Tony Blair oggi su La Repubblica. Quindi, non mi dilungherò più di tanto. Per farla breve, l’ultima lezione è che vince chi è in grado di andare a pescare nell’elettorato altrui senza lasciare sguarnito il proprio naturale bacino elettorale. Difficile dire se Milliband abbia peccato su entrambi i fronti. Forse, non poteva fare nulla contro il nazionalismo scozzese. Ma molti, tra cui l’astro nascente del Labour, il trentaseienne Chuka Umunna, ritengono che avrebbe potuto fare molto di più per convincere l’elettorato di centro-destra.
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