Welfare

Lezioni di piano

di Flaviano Zandonai

Alla tastiera architetti e urbanisti (spalleggiati da qualche sociologo) che hanno redatto il piano dei servizi della città di Milano. Un’esperienza ricca di spunti, soprattutto per operatori sociali che annaspano tra gigabyte di piani di zona, documenti di programmazione, bilanci sociali, ecc. Di seguito qualche appunto.

1) Dritti al cittadino: molta pianificazione sociale macina solo (o quasi) dati di seconda (o terza) mano. A Milano si sono fatti una bella sfacchinata di 150 incontri nei quartieri. E con una base informativa in presa diretta hanno potuto utilizzare meglio i sistemi esperti delle varie tipologie di servizi, evitando di farsi irretire da meccanismi interpretativi e da soluzioni preconfezionate.

2) Creatività nelle fonti: per redarre il piano hanno utilizzato fonti come una rassegna stampa mirata sui servizi del comune e gli sms mandati all’edizione cittadina del Corriere della Sera. Ci sono molte fonti che attendono di essere scoperte, non serve sempre e comunque crearle ad hoc. Qualche giorno fa un imprenditore dell’informatica che lavora per molte cooperative sociali mi diceva che è in possesso di un database localizzato con tutti gli accessi e le prestazioni di assistenza domiciliare per anziani degli ultimi sette anni. Non male, no?  Dunque creatività, ma con un trattamento scientificamente rigoroso.

3) Matrice che stringe: uno dei maggiori rischi per chi pianifica è l’eccesso di informazioni e la loro eterogeneità. La soluzione proposta in questo caso è semplice, quasi brutale. Una matrice a doppia entrata che incrocia domanda (bisogni) e offerta (soluzioni e spazi). Può essere estesa fin che si vuole, ma l’architettura deve rimanere facilmente gestibile, anche perché il gioco a incastri serve per identificare cluster di soluzioni allo stesso problema, ponendosi quindi in rapporto diretto e interattivo con la programmazione strategica.

4) Rappresentazione del dato: qui viene il bello (anche in senso estetico). Di solito la programmazione si chiude con la redazione di un rapporto ad uso e consumo, quando va bene, dei committenti e di soggetti con interessi e competenze elevate. Un cerchio ristretto che peraltro esclude quasi sempre lo stekeholder principale, cioè la cittadinanza. In questo caso, il valore aggiunto dei gestori del piano servizi milanese è ben visibile nei supporti e nelle modalità di trasmissione dei dati e dei contenuti emersi, utilizzando ad esempio immagini, rappresentazioni grafiche, video, ecc. Un’attività che sconfina abbondantemente nella comunicazione.

5) Localizzazione: il piano riguarda una metropoli e quindi per una restituzione adeguata bisogna identificare ambiti territoriali con identità propria e con capacità di attivazione rispetto alle sollecitazioni proposte, sia sul lato dei bisogni che delle risorse. Altrimenti la pianificazione richierebbe di volare troppo alto, o se si preferisce, di scivolare via. A tale scopo sono stati individuate ottanta e passa aree denominate, non a caso, NIL (Nuclei di Identità Locale) che sono diventate i soggetti della restituzione delle informazioni attraverso uno strumento molto semplice e sintentico che quelli che si occupano di monitoraggio chiamerebbero balanced scorecard. Un cruscotto dove è possibile conoscere i principali parametri territoriali e posizionarsi rispetto alla tendenza cittadina e delle aree limitrofe.

6) Automazione del processo: fase assai delicata. Il progetto è stato approvato dal consiglio comunale e ora si sta lavorando al rilascio dell’impianto metodologico, in gran parte informatizzato, affinché il documento possa essere aggiornato con consistenti economie di scala e con uguale efficacia. Altrimenti, si sà, il rischio è di vederlo morire dopo qualche edizione.

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