L’evoluzione della specie

di Daniela Bianchi

E’ nelle cose della vita. Chi si ferma è perduto. E così se non si vuole soccombere ci si adatta, a volte migliorando altre volte perdendo qualcosa. E’ questione di habitat o di deriva genetica, non saprei dirlo…non sono una scienziata.

E’ capitato per esempio ad un’ oca di virare verso il 2.0 nel giro di un paio di settimane, per segnare uno o più gradi di separazione da altre oche ..perché poi le oche sono come le formiche, anche loro nel loro piccolo si incazzano.

Ci pensavo questa mattina a questa faccenda dell’evoluzione, dell’adattamento e della deriva genetica, mentre leggevo su Vita  delle 50 donne del non profit in Italia. Mentre l’altra parte del paese questiona su quote rosa e riserve indiane, il non profit marca la differenza e lo fa con i numeri: l’occupazione femminile nel mondo delle cooperative sociali è nettamente superiore rispetto a quella maschile e la differenza la si avverte anche a livelli di vertice, sia quali componenti di CdA sia in posizioni apicali.

Come aveva già detto Maurizia Iachino in una recente intervista  

“C’è un aspetto fondamentale che caratterizza il non profit, ovvero la continuità nel portare avanti obiettivi e mission. Io penso che questa capacità di continuità, questa particolare dote, faccia parte proprio del dna delle donne”.

Sarà vero? Ci piace crederlo, ovvio che sì…eppure ci deve essere anche qualche altro motivo se negli stessi giorni, nell’altro mondo, quello del profit, l’ABI organizza un convegno “Banche donne e sviluppo: l’Italia che cambia passo per crescere’ , per avviare un momento di riflessione sui percorsi di carriera, i divari retributivi, l’imprenditorialità femminile. Dati drammatici. Sia per quanto riguarda l’occupazione, sia per quanto riguarda le posizioni di vertice.

E se oltre la capacità di obiettivi e vision fosse l’informalità il vero discrimine tra un mondo e l’altro?

Forse tutta quella faccenda di obiettivi, budget, dieci venti trenta punti di programma, mercati, regole (?!?), dignità, indignità, mangia tu che mangio anche io, rigore e chissà quant’ altro, e questa visione ancorata alla (fittizia) distribuzione del lavoro e al raggiungimento del profitto ha finito per ingessare il profit…e non solo in un elegante vestito…e ingessandosi, quel mondo, ha finito con il soccombere a se stesso

Mentre di là, la continua capacità di adattamento dettata da: mancanza di fondi, capacità di darsi un modello organizzativo e  neanche uno straccio di riforma del  titolo II del libro I del codice civile a dare unità alla forma giuridica degli enti non profit e stabilità alla disciplina civilistica del settore, risposte da dare e pure con sollecitudine alle istanze della società, hanno allenato tutte e tutti (o almeno la maggior parte !!!) alla concretezza e all’operatività senza spartizione di acque…

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