Politica
L’eurottimismobè una ragionevole virtù
Vecchio (?) continente Ferdinando Riccardi, da 50 anni giornalista a Bruxelles
di Redazione
La scommessa è tutta nell’approvazione del Trattato di Lisbona da parte di tutti gli Stati. Sino a che non passa avremo una politica in altalena. Se la guida è affidata a un Paese forte come la Francia, le cose vanno. Se invece il timone passa a un Paese debole o euroscettico, ci si impantana…
M ezzo secolo. Tanto è “bastato” a Ferdinando Riccardi per diventare una memoria vivente delle istituzioni europee. Un’istituzione nelle istituzioni, protagonista di un’impresa che non ha precedenti a Bruxelles: «Tra i colleghi che hanno assistito alla prima conferenza stampa organizzata dalla Commissione europea nel 1958, oggi sono l’unico sopravvissuto». All’epoca Riccardi aveva appena 28 anni. È l’inizio di un’avventura giornalistica straordinaria nata per caso, dopo che il Conte Riccardi, fondatore dell’Agenzia di informazione Europe e dell’omonimo bollettino, decide di trasferire l’ufficio redazionale da Lussemburgo a Bruxelles e consegnarne le chiavi a Ferdinando Riccardi per seguire i primi passi della Cee, la Comunità economica europea. Trascorrono 50 anni, ma l’entusiasmo dell’editorialista dell’agenzia Europe rimane intatto.
Vita: Per alcuni osservatori, la presidenza francese ha consentito all’Unione Europea di presentarsi in posizione di forza per affrontare le sfide complesse che ci attendono nel 2009. È d’accordo?
Ferdinando Riccardi: È evidente che la presidenza francese ha ottenuto dei grandi successi consentendo all’Unione Europea di intervenire nelle due crisi principali del 2008, ovvero il conflitto in Georgia e la crisi finanziaria. Bisogna tuttavia riconoscere che questi successi sono in gran parte dovuti a quello che definisco “il caso del calendario”. Se invece che alla Francia la presidenza di turno Ue fosse toccata a una potenza minore come la Repubblica Ceca o la Slovenia, l’Europa non avrebbe potuto fare niente rispetto a quello che è riuscita invece a fare negli ultimi sei mesi.
Vita: Perché?
Riccardi: Basta un esempio. Quando nell’agosto scorso è esploso il conflitto in Georgia, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha immediatamente chiamato Putin. Quest’ultimo ha dato retta all’Europa per due motivi: il primo, perché a chiamarlo è stato Sarkozy e non un presidente europeo qualsiasi; il secondo, perché Sarkozy, e qui dobbiamo ringraziare lo spirito di grandeur dell’inquilino dell’Eliseo, ha voluto trattare con Putin a nome dell’Europa e non della sola Francia. Scusi, ma lei se lo immagina il presidente sloveno alzare il telefono e chiedere al presidente russo di incontrarlo in nome dell’Ue?
Vita: Scusi Riccardi, lei è un europeista della primissima ora, eppure ascoltandola sembra che affossi Bruxelles tessendo le lodi di Sarkozy. Non le sembra paradossale?
Riccardi: No, anzi è vero il contrario. Da europeista convinto, questo paradosso – come lei lo definisce – mi spinge dritto al cuore della sfida principale che Bruxelles dovrà affrontare nel 2009, e cioè la trasformazione istituzionale dell’Ue. Sino a quando il Trattato di Lisbona non verrà approvato da tutti gli Stati membri, l’Europa rimarrà impotente.
Vita: Proviamo a dire in poche parole quello che l’Ue non è riuscita a fare negli ultimi due anni. Perché questo Trattato è così importante per il futuro dei cittadini europei?
Riccardi: Il primo punto fondamentale del Trattato è la presidenza del Consiglio europeo, ovvero l’organo in cui si riuniscono i capi di Stato e di governo. Fino ad oggi, questa presidenza è di turno, il che significa che ogni sei mesi tocca al presidente di uno dei 27 Stati membri assumerne la guida. Con Sarkozy ci è andata bene, ma il prossimo semestre toccherà alla Repubblica Ceca. Essendo il presidente ceco un noto euroscettico, saranno guai. Con il nuovo Trattato, la presidenza del Consiglio europeo durerà due anni e mezzo rinnovabili. Questo consentirà all’Unione di affrontare una crisi come quella finanziaria in modo molto più coerente. Il secondo punto importante sono i poteri co-decisionali che verranno assegnati al Parlamento europeo, e quindi ai cittadini europei. Finora la Commissione conserva l’esclusività del diritto di iniziativa, gestendo alcune politiche comuni senza la partecipazione del Parlamento. Tanto per fare un esempio, sulla politica agricola comune il Parlamento non ha nessun potere decisionale, al massimo esprime un parere, ma nulla di più. Terzo punto è il voto a doppia maggioranza all’interno del Consiglio europeo, che sarà calcolata in base agli Stati e al peso della popolazione di ogni Stato votante. L’ultimo punto è la riduzione del numero di commissari europei. Come vede, contrariamente a quanto si sente dire in giro il Trattato di Lisbona è uno strumento giuridico che rafforza la stabilità politica dell’Ue, il suo funzionamento interno e la sua democraticità:
Vita: Una delle sfide che ci sta a cuore è il continente africano. Che futuro prevede per le relazioni Ue-Africa?
Riccardi: La penetrazione crescente della Cina, dell’India, del Brasile e dei Paesi arabi offre ai governi africani l’opportunità di diversificare le loro partnership politiche e commerciali. Insomma, l’Ue ha perso quello che un tempo era un rapporto di esclusività con l’Africa. Il Congo ha ceduto alla Cina i diritti su una parte essenziale delle sue enormi risorse minerarie in cambio di prestiti sostanziali da parte di Pechino. È solo un esempio che vede la Cina farla da padrone in Sudan con il petrolio oppure in Senegal con la pesca. Nel frattempo, Pechino ha sostituito l’Ue come primo fornitore di prodotti manifatturieri. Purtroppo, i tempi di reazione dell’Unione Europea sono molto lenti. Come se non bastasse, Bruxelles si deve confrontare con il rifiuto da parte di molti Paesi africani di sottoscrivere gli Accordi di partenariato economico (Epas).
Vita: Che rischi intravede?
Riccardi: Le faccio due esempi. Alcuni accordi con la Cina, costruiti su dei prestiti a lunga scadenza, presto o tardi riporteranno a galla il problema del debito, considerato una delle piaghe più terribili per l’economia e il progresso sociale dell’Africa. La penetrazione cinese solleva un altro problema: la condizionalità degli aiuti. Per Pechino, i rapporti commerciali non possono essere vincolati ai diritti umani e alla democrazia. Per l’Ue è il contrario. E questo pone alcuni Paesi africani di fronte al rischio di veder diminuire i fondi europei legati al principio di condizionalità.
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