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l’Europa toglie l’iva,bl’italia ce la mette

sport Due diverse pronunce sui corsi sportivi per dilettanti

di Redazione

I corsi didattici effettuati da associazioni sportive dilettantistiche non sono esenti Iva perché «non riconosciuti da un soggetto pubblico» né «approvati e finanziati da enti pubblici». Questo il contenuto della risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 382/E del 14 ottobre. Il 16 ottobre, la Corte di giustizia dell’Ue ha stabilito che «sono esentate (da Iva, ndr) le prestazioni di servizi fornite da un’organizzazione senza scopo lucrativo, strettamente connesse con la pratica dello sport e indispensabili al suo svolgimento». S u Iva e sport, Roma e Bruxelles non vanno d’accordo. L’Iva è un tributo disciplinato, oltreché dalla legge statale, anche dall’Unione europea. In teoria la norma comunitaria dovrebbe prevalere su quelle nazionali, emanate dai Parlamenti dei vari Paesi aderenti alla comunità.
Il problema è che se il concetto è chiaro sulla carta, un po’ meno lo è nella pratica, visto che non di rado il nostro legislatore si “dimentica” del dettato normativo di fonte comunitaria.
Cosa ne deriva? Innanzitutto una gran confusione nell’applicare la legge e, quindi, nel rispettarla. E, per quanto a noi interessa, anche il mondo del non profit non sfugge a tale anomalia nostrana. A ricordarcelo, nei giorni scorsi, sono state due pronunce arrivate a breve distanza l’una dall’altra: una di origine nazionale (dal ministero dell’Economia, attraverso i suoi uffici fiscali, rappresentati dall’Agenzia delle Entrate) e l’altra proveniente da Lussemburgo (sede della Corte di Giustizia dell’Unione europea).
Il tema è di fondamentale importanza dato che investe tutto il mondo dello sport dilettantistico. Ma vediamo in dettaglio di che cosa si tratta.

Cosa dice l’Europa
Recentemente i giudici comunitari hanno enunciato un principio importantissimo, che vale la pena di riportare fedelmente, stante la sua chiarezza: «Sono esentate (da Iva, ndr ), le prestazioni di servizi fornite da un’organizzazione senza scopo lucrativo, strettamente connesse con la pratica dello sport e indispensabili al suo svolgimento», purché naturalmente tali prestazioni siano destinate a persone che praticano effettivamente le attività sportive.
Laddove il servizio non sia strettamente funzionale alla pratica sportiva, oppure non sia reso da un ente non profit o, infine, sia destinato a persone che lo sport lo praticano soltanto a parole, si perde il beneficio dell’esenzione, con la conseguente applicazione dell’Iva secondo le normali regole dettate a livello nazionale.
Fare degli esempi forse è inutile, perché la casistica è talmente ampia che si dovrebbero analizzare una per una le singole fattispecie prospettabili. Quello che ora balza all’occhio è che questa saggia sentenza della Corte di Giustizia appare in un certo senso in contraddizione con una (anch’essa recentissima) presa di posizione dell’amministrazione fiscale italiana.

E cosa ribatte l’Italia
In tale documento vengono fissate delle precise condizioni affinché possa operare l’esenzione dall’Iva in relazione ad attività connesse all’attività sportiva.
In sostanza, il Fisco ha negato la predetta esenzione ai corsi didattici sportivi riconosciuti da un ente di promozione sportiva riconosciuto dal Coni, effettuati da associazioni sportive dilettantistiche ad esso affiliate.
Affinché l’Iva non si applichi, infatti, occorre un requisito ulteriore: i corsi devono essere riconosciuti da un soggetto pubblico, nel rispetto di apposite modalità prescritte dalla legge, oppure approvati o finanziati da un ente pubblico.
E dunque l’associazione che organizza un corso finalizzato all’attività sportiva deve applicare l’Iva, alla luce dell’interpretazione “nazionale”, oppure ritenerla esente? Secondo noi, onde evitare spiacevoli incidenti, forse è consigliabile la prima soluzione…


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