Welfare

L’Europa premi gli Stati aperti agli immigrati

Mario Mauro, vicepresidente a Strasburgo

di Emanuela Citterio

«Penso a misure fiscali vantaggiose. Se si chiedono strutture adeguate, Bruxelles deve essere pronta a sostenerle» «La verità è che l’Europa ha lasciato sola l’Italia. Ha lasciato sole Lampedusa e Malta». A dirlo è il vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro, che Vita raggiunge al telefono a ferro ancora caldo, al termine di una discussione in sessione plenaria a Strasburgo sulle condizioni degli immigrati nei Cie, i Centri per l’identificazione e l’espulsione.
Vita: Nelle stesse ore in Italia il Senato ha iniziato la discussione del ddl sulla sicurezza. Non si rischia una gestione del fenomeno migratorio sull’onda delle paure?
Mario Mauro: Questo è quello che vorrebbero alcune forze politiche, che cavalcano il tema sicurezza per fini propagandistici. Il problema però è che mancano efficaci politiche comunitarie sul tema dell’immigrazione. Ne abbiamo parlato anche all’Europarlamento: a fronte di 11mila persone transitate da Lampedusa nel 2007 si è arrivati a circa 31mila del 2008. Questo fa capire che le strutture e le popolazioni sono sottoposte a una pressione che deve far pensare. Il problema è che l’immigrazione da Paesi terzi è considerata dall’Ue una competenza dei singoli Stati, ma se il fronte dell’immigrazione preme sulla punta sud del Mediterraneo, questo non può essere un problema di Malta o di Lampedusa. Se si chiedono elevati standard per l’accoglienza degli immigrati bisogna anche essere disposti a sostenerli. In questo l’Europa ha agito in modo carente e attendista. Per esempio si potrebbero pensare misure fiscali vantaggiose per gli Stati che accolgono gli immigrati sottraendole al computo dei meccanismi del patto di stabilità.
Vita: Veniamo all’Italia. La Conferenza episcopale italiana ha parlato di un “deficit di solidarietà” e ha fatto appello perché gli immigrati vedano garantiti i «diritti fondamentali alla vita, alla salute e a tutte le esigenze che permettono di far sì che la dignità della persona sia rispettata».
Mauro: Il richiamo della Cei è assolutamente pertinente e ci deve interrogare nel profondo, in modo non formale. Ma mi chiedo: sono le istituzioni a venir meno su questo piano o invece i gruppi, le popolazioni, i cittadini stessi che vivono una crisi di identità solidale, a manifestare sempre più spesso questa sorta di insofferenza? Io credo che il coacervo di paure ingiustificate sul tema immigrazione che domina il dibattito sia il fattore in assoluto più dannoso. Se il richiamo è a gruppi o partiti politici che fanno della propaganda contro l’immigrato la ragion d’essere della propria identità, lo ritengo più che adeguato. Diverso è se si parla delle istituzioni: in realtà i governi che si sono succeduti in Italia stanno affrontando con una certa coerenza un problema enorme.
Vita: Le associazioni cattoliche hanno contestato cinque punti del ddl sulla sicurezza, fra cui la richiesta ai medici di segnalare i clandestini che hanno visitato e l’allungamento a 18 mesi della permanenza nei Cie. Qual è la sua posizione?
Mauro: Su alcuni punti l’Italia sta adottando risoluzioni europee. Il fatto che gli immigrati irregolari possano restare nei Cie per un tempo massimo di 18 mesi al fine di poter verificare l’attendibilità delle eventuali richieste di asilo è una direttiva europea. Per quanto riguarda i servizi sanitari bisogna uscire dalle ambiguità: l’identificazione non è un atto di ostilità da parte dello Stato. È anzi un atto di tutela anche nei confronti dell’immigrato, che altrimenti resta preda del lavoro nero e delle reti malavitose. Detto questo, sono d’accordo che non si può chiedere ai medici di segnalare i clandestini. Spetterebbe magari alle strutture sanitarie.
Vita: Il diritto alla salute non dovrebbe essere garantito di per sé?
Mauro: Formalmente non è affatto messo in discussione. Bisogna essere comprensivi nei confronti delle persone che arrivano in stato di irregolarità e garantire i diritti di base ma nello stesso tempo lo Stato deve ricordarsi di essere tale.
Vita: Le sembra normale che aspetti chiave della gestione del fenomeno migratorio ricadano sotto un ddl sicurezza?
Mauro: Il problema non è leggere l’immigrazione come risorsa invece che sul piano della sicurezza. Dobbiamo tornare a guardare le persone. Se la prima considerazione che scatta di fronte all’immigrato è pensare ai problemi che mi crea, non si va molto lontano.


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