I primi mesi di questo 2017, sono quelli utili per fornire indicazioni, correttivi e priorità in sede di Unione Europea rispetto all’aggiornamento del cosiddetto European Consensus on Development. In vista della sua approvazione prevista per metà anno, la diffusione del documento di posizione elaborato dal nostro Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale dà il via ad una fase di consultazione con i diversi attori competenti, o perlomeno apre una finestra per poter intervenire con i rispettivi punti di vista.
Ancora una volta rifuggo la tentazione di considerare uno spreco di tempo studiare e commentare documenti di tale vacuità e di probabile futura inefficacia, e provo a sottolineare tre aspetti che potrebbero servire perlomeno ad aprire un dibattito, se non a modificare delle posizioni.
Preciso immediatamente che, pur in assenza di informazioni in merito ad avvenuti incontri formali, sono certo del lavoro svolto dal Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo sicuramente coinvolto nell’elaborazione della attuale posizione MAECI: la grande novità della nuova Legge non potrebbe certo esser stata esautorata in un simile percorso. Di conseguenza intervengo sapendo di toccare punti probabilmente già evidenziati in tali sedi e che per esperienza so quanto difficile inserire nei testi condivisi con le istituzioni.
Il primo punto attiene una questione di fondo citata dalla Comunicazione UE laddove si invitano la UE e gli Stati Membri a utilizzare la cooperazione allo sviluppo come parte della vasta gamma di politiche e strumenti disponibili per la prevenzione e la risoluzione di conflitti e crisi, per l’ottenimento della pace e la costruzione di una buona governance. In documenti esplicitamente ispirati allo spirito delle Nazioni Unite, citato come primo riferimento nei loro rispettivi incipit, suona di incoerenza ammettere la cooperazione allo sviluppo alla pari di altre politiche e strumenti. L'Articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite, infatti, scolpisce a chiare lettere come la cooperazione sia la politica e la pratica privilegiata avente evidente ruolo da primus inter pares rispetto ad altri strumenti ad essa subordinati nel merito e nella tempistica di utilizzo.
La seconda questione che non può non starmi a cuore è legata alla considerazione della società civile (Civil Society Organisations –CSO) evidenziata nei due documenti. Occorrerà farsi una ragione circa la priorità assegnata dal MAECI al settore privato ancora accoratamente confermata nel documento di posizione all’interno del quale balza all’occhio il paragrafo ad esso dedicato come l’unico nel quale si scende in dettagli, citazioni ed enfasi di proposta. Tuttavia, nella posizione italiana reputerei doveroso evidenziare come inaccettabile che nella bozza UE si invitino le istituzioni comunitarie e gli Stati Membri a creare spazi e occasioni dove le CSOs rimangano confinate ad un ruolo di avvocatura e, del tutto inaccettabile, di attori esecutivi (advocates and implementers), quando al settore privato viene riconosciuto un ruolo chiave come motore di sviluppo con il quale impegnarsi nella definizione di obiettivi attraverso dialogo strutturato Auspicherei che con il prossimo Consensus le CSOs avessero almeno un ruolo paritetico. . Per utilizzare una metafora, diciamo che auspichiamo che alla prossima Conferenza nazionale sulla cooperazione nel pannel di apertura ci sia anche un loro rappresentante.
Da ultimo, ad una Unione Europea che,“nel suo insieme”, posticipa al 2030 lo stanziamento dello 0,7% del PIL alla cooperazione allo sviluppo, il Governo italiano potrebbe dare o almeno dire qualcosa in più rispetto ad oggi. Fastidioso che alla risaputa volontà del Governo italiano, ribadita nella posizione MAECI, di proporre e disporre per le altrui risorse – le rimesse dei migranti, i contributi del settore privato, le risorse domestiche dei Governi nazionali, i fondi privati della società civile – quando si tratta si decidere delle proprie si opponga una laconica affermazione dell’assunzione di un “impegno politico ad incrementare” il livello di APS.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.