Sostenibilità

L’Europa è il secondo importatore al mondo di “Deforestazione tropicale”, dopo la Cina

Secondo il nuovo report del WWF, dopo la Cina, l’UE ha il maggior peso nella deforestazione tropicale. L’Italia nell’Unione è al secondo posto nella classifica degli otto paesi europei responsabili dell’80% della deforestazione inclusa nei prodotti importati

di Luca Cereda

L’Europa – secondo l’ultimo rapporto del WWF – è la più grande importatrice di deforestazione tropicale al mondo: ma cosa significa? «Vuol dire che noi europei ci “cibiamo” di un’enorme quantità di foresta tropicale», spiega Isabella Pratesi, Direttrice per la conservazione del WWF italia.

«Dico cibiamo, non perché mangiamo direttamente quegli ettari di foresta, ma perché quelle porzioni di foresta sono state abbattute in America Latina o nel sud est Asiatico per far posto alle coltivazioni di soia». Non si tratta del legume che cuciniamo, bensì è l’elemento base dei mangimi più utilizzati dagli allevamenti intensivi di bestiame, ma anche uova e latticini: «Ecco qui – chiosa Pratesi – che si palesa l’equazione per cui l’avveramento intensivo in Europa, abbatte le foreste tropicali in tutto il mondo».

Cosa causa la deforestazione tropicale, lontano degli occhi e dannosa per l’ambiente

Le foreste sono prosciugate, tagliate e a volte anche bruciate per far posto alle coltivazioni. Infatti a ruota della soia, segue l’olio di palma, conosciuto soprattutto per i suoi consumi alimentari, è utilizzato in modo massiccio come fonte per i biocombustibili. «In Europa si è spinto molto per questo combustibile naturale, ma senza avere attenzioni cruciali alla filiera produttiva dell’olio di palma, stiamo distruggendo ecosistemi ricchi di biodiversità come le foreste tropicali», continua la Direttrice per la conservazione del WWF.

Al terzo posto c’è l’effettivo consumo di carne: «Importata soprattutto dai paesi dell’America latina, contribuisce a mandare in fumo chilometri quadrati di foresta per lasciare spazio agli allevamenti e, come nel caso della soia, per la produzione di mangimi per animali». Seguono poi prodotti come cacao, caffè e colza.

Cina leader di deforestazione ma l’Europa segue a ruota e l’Italia è tra le peggiori

Quasi del tutto inconsapevolmente, i cittadini europei trasformano e soprattutto consumano prodotti provenienti dai paesi tropicali e sub-tropicali, “acquistando” deforestazione e trasformazione di ecosistemi naturali fondamentali per la biodiversità. Un nuovo report del WWF svela che l’Unione Europea è fra i maggiori importatori al mondo, seconda solo alla Cina, di “deforestazione incorporata” e responsabile delle emissioni di gas serra che questa provoca sia nella fase attiva di deforestazione, che in quella passiva, per cui, assenti, gli alberi non assorbono più CO2.

C’è di più, spiega Isabella Pratesi: «L’Italia, in base ai dati del 2017, si è collocata al secondo posto nella classifica degli otto paesi europei responsabili dell’80% della deforestazione inclusa nei prodotti, di provenienza tropicale, lavorati e consumati nell’UE», analizza Pratesi.

Questa inquinante classifica è composta nell’ordine da: Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia, Belgio e Polonia.

Sono state adottate soluzioni a riguardo?

La deforestazione è prodotta da quanto l’Europa mangia: «Ma non consumiamo solo le foreste. Prosciughiamo anche tutta quella che viene definita “fascia umida” che è fondamentale per la biodiversità. Ma la distruzione per creare lande per la le colture di massa che alimenta il circuito di ciò che arriva nei supermercati europei, annienta anche le praterie», illustra Isabella Pratesi.

Un caso emblematico di quanto si possa fare per invertire questa rotta è quello della moratoria internazionale sulla soia che ha fatto sì che dall’accordo tra i commercianti e produttori, in dieci anni, siano stati risparmiati 18mila chilometri quadrati di terra dalla deforestazione in Amazzonia. «Questa è una soluzione per il sud America: la coltivazione si è spostata in altri continenti, devastando altri ecosistemi nel mondo. Perché la domanda e la produzione di soia e di carne resta la stessa».

Il Green Deal è quindi un bluff? Si e no

Ma dove sono l’Europa del Green Deal, e della transizione ecologica, in questi dati e classifiche tutt’altro che nel solco della sostenibilità ambientale? «La transizione ecologica avverrà solo se questi dati non diventano tabelle sulla scrivania di pochi, ma uno strumenti per far si che i cittadini, che sono poi anche consumatori, si approccino in maniera responsabile ai loro consumi», spiega Isabella Pratesi.

Dal canto suo l’Europa ha prodotto progetti a medio-lungo termine come il Green Deal, ma anche la strategia per la biodiversità 2030: «Questi sono programmi sono molto avanzati e sostenibili, ma sembrano funzionare solo a parole o sulla carta: quando si allocano i fondi o la palla viene passata agli Stati membri dell’Unione, lì avviene il cortocircuito e le cose non vanno bene», chiosa Pratesi. L’esempio lampante è quello della riforma della Pac, la politica agricola comunitaria, che sta andando nella direzione contraria del Green Deal, nei fatti. E l’agricoltura abbiamo visto che è la principale causa di perdita di biodiversità.

«Se è verde ed ecologica, produce cibo dando un futuro al pianeta e al nostro benessere. Altrimenti siamo spacciati», conclude la Direttrice per la conservazione del WWF italia.

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