Prima che errori dall’una e dall’altra parte facciano arrivare l’Europa a Defcon 1, è importante che i paesi fondatori fermino l’escalation che sta inesorabilmente spingendo la Grecia fuori dall’euro. La decisione di Draghi di non accettare più in garanzia titoli di Stato greci ne ha accelerato il processo. Le banche greche, prese d’assalto dai risparmiatori che ritirano i loro risparmi per timore di vederseli convertiti in dracme, nel giro di pochi giorni non avranno più liquidità sufficiente. I casi sono a quel punto due: o la Grecia torna alla Dracma o la BCE deve fornire euro. Tertium non datur.
E’ indubbio che Tsipras abbia commesso parecchi errori d’ingenuità, il più grande di tutti è quello di pensare che la Grecia, il paese più debole e indebitato della Comunità, possa cambiare verso alla Germania. Forse, se Tsipras fosse stato un pò più “furbo”, la rinegoziazione del debito avrebbe potuto avvenire lo stesso, senza eccessivo clamore, come accadrà nei prossimi mesi ad 1/8 dei titoli del debito pubblico dei paesi dell’Eurozona interessati al QE della BCE. Forse, se Draghi non avesse seguito pedissequamente il manuale delle procedure…forse, forse…
A questo punto, però, è necessario che la Merkel riprenda in mano la situazione e guidi le strutture europee per evitare che scattino automaticamente tutte quelle contromisure che l’Europa si è data per tenere in riga i paesi membri e che possono portare in pochi giorni la Grecia alla scelta ineluttabile di abbandonare l’euro e l’Europa.
Ma qual è il nostro interesse nel mantenere la Grecia in Europa? Non è una questione finanziaria. Oramai, sono stati messi in campo strumenti efficaci di contenimento delle onde d’urto generate da crisi che coinvolgono paesi relativamente piccoli come la Grecia, strumenti che non esistevano tre anni fa. Inoltre, il QE di Mario Draghi, con 1.200 mld di euro da spendere, è sufficientemente ampio per assorbire massicci flussi di vendita sui BTP.
La questione è molto più grave di una crisi finanziaria perchè è probabile che l’Europa non sia in grado di sopravvivere alle conseguenze di lungo periodo di un evento così traumatico. Soprattutto se a determinarlo fosse la “burocrazia” di Bruxelles, costretta a seguire il manuale delle procedure a causa dell’ignavia dei politici, e non la volontà del popolo greco. Lo ha capito molto bene Alba Dorata, il partito neonazista greco, arrivato terzo alle elezioni. Theodoros Koudounas, uno dei suoi leader, ha infatti profetizzato che Syriza avrebbe vinto le elezioni (ipotesi avverata), che Tsipras avrebbe perso la battaglia con l’Europa (si sta avverando) e che, quindi, alle prossime elezioni Alba Dorata vincerà sul fallimento di Syriza e sulle macerie della Grecia.
Il problema è che le conseguenze non si limiterebbero alla Grecia. Tsipras ha al centro del proprio ragionamento politico il sogno di un’Europa unita, solidale, che persegua un destino comune al fine di assicurare a tutti i cittadini europei, indipendentemente dalla nazionalità e dalla residenza, gli stessi diritti civili e sociali. L’utopia deve purtroppo fare i conti con la realtà e con il fatto che, al di là delle belle parole ripetute in mille discorsi parlamentari, l’Europa è e continuerà ad essere, per parecchie generazioni, una comunità di stati sovrani. Tuttavia, la direzione deve essere quella e l’Europa non può permettersi di uccidere un sogno di cui è finalmente la protagonista “positiva”, altrimenti si rischia di lasciare il campo aperto alle destre nazionaliste che dell’Europa non sanno che farsene.
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