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L’Europa dell’economia sociale da cui l’UE dovrebbe imparare
L'analisi di Giuseppe Guerini, presidente di CECOP-Cicopa Europa e membro del CESE Bruxelles, che sottolinea come «in tante occasioni le organizzazioni dell’economia sociale e del terzo settore si stanno dimostrando capaci di collaborare e contribuire a costruire un disegno di Europa capace di essere inclusiva, sostenibile, solidale», mentre i governi centrali degli Stati membri rimangono «impantanati e offuscati dalla rincorsa al consenso elettorale»
Mentre l’Unione Europea si trova immersa nella più profonda e grave crisi di sostenibilità sul piano politico ed istituzionale, c’è una altra “unione europea” che tesse invece reti di collaborazione e di integrazione che fanno della solidarietà e della partecipazione un valore fondamentale. È l’Europa delle ONG e dell’economia sociale, delle città e delle autonomie locali che non hanno rinunciato all’accoglienza e alla vocazione umanitaria che ha radici profonde nel Mediterraneo e nell’Europa delle comunità, che si dimostra più generosa dell’Europa dei Governi nazionali.
In tante occasioni le organizzazioni dell’economia sociale e del terzo settore si stanno dimostrando capaci di collaborare e contribuire a costruire un disegno di Europa capace di essere inclusiva, sostenibile, solidale. Negli ultimi mesi infatti in tre diverse occasioni questa alleanza europea dell’economia sociale ha messo in evidenza che esiste una Europa dei cittadini e delle formazioni sociali che non si rassegna alle chiusure egoistiche che stanno caratterizzando il comportamento dei Governi degli Stati europei, anche quelli che si dichiarano apertamente europeisti, ma poi perseguono politiche mirate alla conferma o alla conquista del consenso della loro base elettorale e non al perseguimento di un vero disegno di unione.
Lo scorso 16 aprile a Sofia a margine di un’iniziativa dedicata alle imprese dell’Economia Sociale, si è svolta l’Assemblea Generale di Social Economy Europe – una rete di organizzazioni dell’economia sociale dei diversi paesi europei, tra cui anche il Forum del Terzo Settore italiano che promuove la cultura della partecipazione e della democrazia economica, con particolare attenzione al tema dell’imprenditoria sociale e della cooperazione, come strumenti di sviluppo e inclusione sociale.
Il mese successivo per tre giorni ad Helsingør, nel nord della Danimarca, si è svolta l’assemblea generale di Cooperatives Europe che ha messo al centro del dibattito proprio i temi della sostenibilità, della transizione energetica, dell’inclusione dei migranti e della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. Le cooperative europee hanno dimostrato con la presentazione di diverse buone prassi di essere non solo all’avanguardia nella realizzazione di interventi imprenditoriali in questi settori chiave, ma di aver maturato una capacità di collaborazione e partnership tra cooperative dei diversi Stati europei con una capacità di integrazione concreta.
Lo scorso 13 giugno invece è stata la vota di Firenze, dove si è svolta l’assemblea generale della rete europea delle città e delle organizzazioni dell’economia sociale, REVES, che ha messo al centro proprio la capacità e il desiderio di molte autonomie locali di collaborare sui temi dello sviluppo locale, delle smart city, dell’economia circolare e della sharing economy, proprio per promuovere una rete europea delle comunità locali che promuovono una cittadinanza attiva ed un protagonismo, anche economico delle formazioni sociali.
In tutte queste tre occasioni, le organizzazioni dell’economia sociale, hanno saputo trattare con serietà e competenza la spinosa questione dei migranti, e non perché come ingiustamente sostiene qualcuno in Italia, queste organizzazioni sono interessate a lucrare sulle attività di accoglienza.
Insomma mentre i Governi centrali degli Stati membri riescono a dividersi profondamente su questioni decisive per il futuro dell’Europa: sostenibilità, transizione energetica, modelli di sviluppo, gestione delle migrazioni, politiche di cooperazione internazionale su questi medesimi temi Autonomie Locali e organizzazioni dell’Economia Sociale tessono relazioni di collaborazione e costruiscono percorsi di integrazione. È il caso di Riace ma anche dei tanti progetti SPRAR distribuiti in Italia che rappresentano davvero esperienze positive di integrazione che vedono collaborare Enti Locali e organizzazioni dell’Economia Sociale. Così è stato anche a Sivillia dove hanno trovato accoglienza i naufraghi raccolti dalla nave Aquarius e dove amministrazioni locali e organizzazioni dell’economia sociale stanno collaborando nel dare risposta a queste persone.
La cosiddetta “emergenza migranti” sta provocando un vero proprio dissesto delle politiche migratorie, sociali, di sicurezza pubblica dell'Unione e dei Paesi membri: un dissesto del tutto sproporzionato alla reale entità del fenomeno, ma gonfiato a dismisura nelle retoriche da comizio e nell’enfasi della narrativa sensazionalista dei media. L’Unione Europea inchiodata in uno stallo dove i Governi nazionali, ciascuno con posizioni distinte, spesso conflittuali, con profili di responsabilità diverse, ma tutti o quasi tutti d’accordo nello scaricare buona parte della gestione e delle ricadute su comunità locali e organizzazioni della società civile.
Anche i vertici di queste ore vedono i Governi impantanati e offuscati dalla rincorsa al consenso elettorale in casa propria, incapaci di adottare un provvedimento che già il Parlamento europeo ha adottato il 16 novembre 2017, con una risoluzione votata democraticamente da una maggioranza di parlamentari eletti dai cittadini europei, che propone delle linee di lavoro per la revisione dell’inadeguato regolamento di Dublino, con un importante riferimento alla partecipazione di tutti i paesi membri al meccanismo automatico e permanente di collocamento. Drammatico e paradossale che l’Europa non riesca a dare corso alle decisioni che essa stessa assume nei suoi organi istituzionali.
Per questo allora diventa ancora più importante il lavoro che posso svolgere le imprese dell'economia sociale che in tutti i Paesi dell’Unione svolgono un ruolo fondamentale, intervenendo su quattro aspetti chiave per il processo di integrazione delle persone migranti: la salute e l'assistenza; l'abitazione; la formazione e l'educazione; il lavoro e l'inserimento attivo delle persone migranti nelle società che le ricevono. Queste organizzazioni sono presenti e operano anche in quegli Stati che resistono ad un’idea di Europa solidale e aperta tanto che in Ungheria, paese capofila dei costruttori di muri e reticolati, il governo sta adottando provvedimenti penalizzanti per le organizzazioni che operano per favorire l’inserimento dei migranti in quel Paese.
Il recente aggravamento della crisi, che paradossalmente esplode quando la pressione degli arrivi è in forte diminuzione, mette in evidenza che c’è qualcosa di più grave e profondo che mina il progetto dell’Unione Europea. Un male profondo che usa la questione migratoria per alimentare paure e divisioni, quando mai come ora avremmo bisogno di un approccio coordinato e capace di una programmazione di lungo o quanto meno di medio periodo, per una gestione diversa degli ingressi in Europa, per uscire da un’emergenza che è tale solo per l’incapacità di agire che per le dimensioni del fenomeno. Infatti secondo i dati Eurostat del 2015 gli immigrati nell'Unione Europea sono stati 2,7 milioni, per il 56 % uomini e per il 44 % donne, su una popolazione totale di oltre 500 milioni di abitanti. Ben lontani quindi dalla diffusa preoccupazione sull’invasione dei migranti. Senza una ordinata gestione dell’immigrazione gran parte dei Paesi dell’Unione Europea fra 30 anni saranno impoveriti non perché minacciati dalla povertà dei migranti ma perché incapaci di arrestare il declino demografico che tutti gli studi hanno ormai reso evidente.
Solo una gestione coordinata e unitaria delle politiche migratorie inoltre ci consentirà di mettere fine all’ipocrisia di frontiere formalmente blindate ma sostanzialmente permeabili, che confermano ulteriormente che, in assenza di un sistema di ingresso efficace per i migranti, continuerà l'utilizzo improprio delle richieste di protezione internazionale che abbiamo osservato in questi anni. Così come in Italia o in Polonia e Ungheria, mentre si erigono muri o si istiga al blocco navale, migliaia di cittadine “extracomunitarie” entrano con visto turistico da Ucraina, Moldavia, Bielorussia per svolgere il compito di badanti nelle nostre famiglie, ma poi si alimenta un odio feroce solo verso i disperati che cercano di arrivare in Europa dai Paesi del sud del Mondo.
Una maggiore capacità di intervenire in forma coordinata e unitaria da parte dei Paesi Europei è infine indispensabile per provare ad agire almeno in parte nei Paesi di origine delle migrazioni, provando ad intervenire sulle cause che determinano le necessità di spostamento delle persone: povertà, conflitti, discriminazioni, cambiamento climatico.
Anche in questo caso, occorre dire che le organizzazioni dell’economia sociale ONG e cooperative sono presenti e operano coerentemente a questa visione, quindi non solo nell’accoglienza e nell’integrazione, ma anche per investire nello sviluppo locale.
Lo fa ad esempio Cooperatives Europe gestendo un’importante progetto di cooperazione allo sviluppo, centrato proprio sul modello cooperativo, che vede impegnate per l’Italia alcune cooperative e Banche di Credito Cooperativo che l’ONG “CooperMondo” costituita proprio dal Confcooperative e Federcasse stanno sostenendo diversi progetti di promozione cooperativa in Africa e Sud America, a conferma del fatto che per le cooperative italiane, l’affermazione “aiutiamoli a casa loro” non è un vuoto strumentale slogan, ma un coerente e concreto modo di agire.
Non a caso proprio nell’assemblea in Danimarca le buone prassi di gestione dell’accoglienza migranti realizzate dalle cooperative sociali italiane sono state individuate per il terzo anno consecutivo come pratiche esemplari per il movimento cooperativo europeo ed internazionale.
Non solo in Italia però le cooperative e le realtà dell’economia sociale sono protagoniste di interventi per l’integrazione dei migranti, infatti in quasi tutti i Paesi europei, ma anche in Turchia che non dimentichiamo in questo momento sta ospitando oltre 2 milioni di profughi siriani e anche qui, sono molte le imprese dell'economia sociale, che riescono a mobilitare e coinvolgere le comunità locali di riferimento, attivando reti e partenariati, per organizzare percorsi di assistenza e inclusione che vengono meglio accettati dalle popolazioni locali.
In questo modo le imprese dell'economia sociale e le organizzazioni della società civile costruiscono luoghi di incontro tra cittadini europei e nuovi arrivati, favorendone il dialogo, contribuendo in questo modo a ridurre pregiudizi e paure, spesso non giustificate dai numeri reali.
Per queste persone migranti, le imprese dell'economia sociale e in particolare le cooperative, non sono solo una risposta di assistenza o accoglienza, ma anche occasione di lavoro, che fra l’altro sostiene e favorisce la propensione all'imprenditorialità dei migranti, che in molte occasioni proprio grazie al modello cooperativo riescono ad accedere alle attività economiche per intraprendere un'attività. Come del resto dimostra una ricerca condotta dall'Organizzazione internazionale del lavoro che ha indagato gli ambiti in cui l'intervento delle cooperative incide positivamente sull'inclusione di migranti e rifugiati.
Le riflessioni elaborate dal movimento cooperativo mettono in risalto quanto siano collegate le tematiche dello sviluppo sostenibile, della tutela dell’ambiente e del contrasto alle diseguaglianze globali con il fenomeno migrazioni. Occorre infatti considerare che nei prossimi anni aumenteranno sicuramente i migranti che si metteranno in movimento a causa e per effetto delle pesanti conseguenze dei cambiamenti climatici che stanno provocando un incremento della desertificazione, carestie e catastrofi ambientali. Questo fenomeno costringerà a rivisitare l'artificiale e discriminatoria distinzione tra rifugiati, richiedenti asilo e migranti economici, almeno nei casi in cui questi migranti siano in fuga da carestie e disastri ambientali.
Anche per questo sarebbe importante rivedere le regole che consentono ai migranti di intraprendere percorsi legali di ingresso nell'Unione, sia sapendo tutelare i richiedenti asilo, sia dando l'opportunità a chi fugge da condizioni climatiche ed economiche avverse di trovare nell'Europa un luogo di approdo e contribuire alla crescita dell'Unione, garantendo i loro diritti. Una tale azione attuerebbe le raccomandazioni delle Nazioni Unite per un fenomeno migratorio che: "è nell'interesse di tutti che avvenga in maniera sicura e legale, in una forma regolata piuttosto che illegale". Sarebbe per questo davvero utile che si smettesse di attaccare strumentalmente ONG e Cooperative Sociali per iniziare invece a lavorare su politiche innovative ed efficaci per la gestione delle migrazioni e delle cause che provocano gran parte delle migrazioni involontarie. Il fallimento della politica europea degli scorsi anni è ormai certificato, ma senza una gestione equilibrata e sostenibile della questione migratoria, la sola politica repressiva o difensiva non aiuterà a risolvere i problemi. Ricordiamoci che prima che si mettessero in campo le operazioni Frontex, Triton e poi le ONG i salvataggi venivano fatti da mercantili e pescherecci, molti di più erano i morti e molte erano le imbarcazioni più o meno solide che arrivavano sulle spiagge o sugli scogli di Lampedusa e della Sicilia. Fin che ci saranno disperazione, carestie, violenze e fame ci saranno donne e uomini che preferiranno rischiare di morire in mare che vedere i propri figli morire di fame o di violenza. Questo non significa che si debbo accogliere tutti, ma che serve creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile e per un buon governo delle migrazioni. Smettendo per altro di attaccare strumentalmente chi, rispettando regole degli Stati e delle convenzioni internazionali, e il più delle volte proprio rispondendo ad un mandato di tipo pubblico e statale, svolge un compito di accoglienza, cura e integrazione.
Certamente vi sono, come in tutte le attività comportamenti speculativi e odiosi opportunismi, ma altrettanto opportunistico ed odioso è il travisamento della realtà con cui si sono attaccate ONG e Cooperative sociali. Ricordiamo tutti gli imprenditori che hanno speculato sul post-terremoto ma nessuno ha mai detto che muratori e costruttori sono collusi col business dei terremoti. Mentre attaccare e umiliare ONG e Cooperative Sociali oltre ad essere semplice perché non si attaccano certo potentati economici, ma soprattutto è stato funzionale a costruire un’operazione generale di giustificazione preventiva che sta consentendo a quella maggioranza di persone che comunque sostengono che chiudere i porti e respingere le navi che hanno salvato naufraghi sia giusto e legittimo. L’Europa è stata costruita proprio per evitare il ripetersi della barbarie della guerra fratricida e dello sterminio su base etnica e raziale, facciamo insieme, Governi e Organizzazioni dell’Economia sociale, lo sforzo di partire proprio da questa crisi delle migrazioni per costruire l’Europa come esempio di civiltà e di progresso economico e sociale dove la libertà dei cittadini è pari ed uguale alla responsabilità che ciascuno di essi sa di avere nei confronti dell’altro e quindi dell’umanità intera.
*Giuseppe Guerini Presidente di CECOP-Cicopa Europa e membro del CESE Bruxelles
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