Famiglia
L’Europa ci fischia il rigore.
Eliminare la tratta miliardaria si può: basterebbe copiare Francia o Spagna. Dove milioni di giovani giocano a calcio e arrivano ai massimi livelli. Protetti dalla legge e dalla scuola
A che punto è la lotta contro l’ignobile tratta dei baby calciatori extracomunitari? In Spagna la legge vieta di reclutare calciatori stranieri prima che abbiano compiuto i sedici anni. In Francia è il ministero della Pubblica istruzione a tutelare il destino dei futuri campioni. E in Italia?
Dopo la denuncia di Vita del 12 novembre scorso, tutto tace. La nostra inchiesta, ricordiamo, rivelava che durante la scorsa stagione 1998/’99 la Federcalcio ha tesserato 5282 bambini extracomunitari under 16 nel livello dilettanti e 23 fra i professionisti. Bambini soprattutto africani e sudamericani, spesso importati clandestinamente in cambio di due lire e poi finiti chissà dove ad alimentare i propri sogni.
Come Dungani, quattordicenne della Costa D’Avorio, “comprato” per 300 mila lire al mese e parcheggiato ad Arezzo. Come è emerso da una successiva inchiesta de “La Repubblica” che ha segnalato anche l’afflusso di giovanissimi aspiranti campioni australiani a Torino e il caso dei dodici argentini di Cordoba finiti in un convitto di Arezzo nella speranza di diventare campioni.
Dopo la denuncia di Vita, (ripresa anche dal quotidiano spagnolo El Pais e dalla televisione brasiliana Rete Globo), il senatore verde Fiorello Cortiana ha annunciato una proposta di legge per innalzare la soglia del tesseramento a 16 anni per i baby calciatori, una misura che ci allineerebbe alle regole di molti Paesi dell’Ue.
Uno su 50 mila ce la fa
Il ministro Giovanna Melandri si è limitata a chiedere in una breve lettera alcune delucidazioni al presidente del Coni, Gianni Petrucci. Luciano Nizzola, presidente della Federcalcio, ha almeno avuto il merito di avviare un’inchiesta interna sul traffico dei baby calciatori affidata al procuratore federale Porceddu. Intanto il problema rimane, dopo oltre un mese non è ancora accaduto niente. Sì perché l’unico sport che quota i propri calciatori in Borsa e ogni anno frutta migliaia di miliardi di lire, rimane inattaccabile. I calciatori vengono tesserati a sei anni dai funzionari volontari dei Comitati provinciali del settore giovanile della Federcalcio che quindi non hanno tempo né strutture per verifiche e controlli.
Fino a cinque anni fa, 1 su 30 mila arrivava a giocare a calcio in serie A, mentre oggi solo 1 su 50 mila arriva ai massimi vertici del calcio italiano. Un miraggio per 600 mila ragazzini, dai 6 ai 16 anni, che sognano di diventare stelle del calcio nazionale. In Italia la gestione del calcio giovanile è affidata totalmente alle società sportive, che a vari livelli sono tutte impegnate in attività agonistiche attraverso veri e propri campionati. Una formula che premia i più bravi e non lascia molto spazio ai meno dotati, spesso costretti a ripiegare su altri sport.
La Francia comincia dalla scuola
È possibile salvaguardare i giovani talenti calcistici e consentire anche ai meno bravi di continuare a giocare a calcio? In Francia, Paese che ha vinto l’ultimo campionato del mondo con una squadra multietnica, da molti anni, non a caso, è operativo un sistema che ha dato risultati positivi, senza escludere nessuno, e che consente ai più bravi di arrivare in massima serie. Il luogo è la scuola, dove milioni di studenti di varia età praticano attività sportive e tra queste anche il calcio.
Un accordo tra il ministero della Pubblica Istruzione e quello dello Sport e della Gioventù prevede due livelli di organizzazione, uno riservato ai ragazzi della scuola elementare e l’altro a quelli delle medie superiori. I primi seguono gli allenamenti sotto la direzione degli insegnanti di educazione fisica e sono impegnati una volta alla settimana, il mercoledì, in gare disputate con squadre di altre scuole che si risolvono in tornei di breve durata, riproposti due volte all’anno.
Gilles Cometti, docente della Facoltà di Scienze motorie dell’Università di Digione e preparatore atletico dell’Olimpique Marsiglia ci spiega: «Nelle scuole francesi l’insegnante di educazione fisica riserva tre ore quotidiane allo sport scolastico. I ragazzi che scelgono di praticare calcio, sono impegnati in allenamenti settimanali oltre alla gara. Un vero e proprio campionato scolastico, che si disputa a livello regionale, li impegna da ottobre a giugno. Questo rappresenta solo il primo livello, quello che consente a tutti gli studenti che lo desiderano di giocare in una squadra di calcio. Per i più bravi», conclude Cometti, «la scuola riserva la possibilità di accedere ai corsi Studio e Sport. Questi ragazzi svolgono tre sedute di allenamento alla settimana e partecipano a un campionato scolastico speciale. Dopo i sedici anni i più bravi vengono particolarmente seguiti dalle squadre di calcio di serie A».
E i risultati sono eccezionali, visto la grande crescita del movimento calcistico francese sancita appunto dalla Coppa del Mondo.
Spagna vietata ai minori di 16 anni
In Spagna dove nei giorni scorsi è emersa la vicenda di Ferando Torcal, un talent scout di baby calciatori che sta cercando di aggirare i vincoli imposti dalla Fifa aprendo una propria impresa per importare calciatori stranieri (sta tra l’altro acquistando società minori e di seconda divisione come il Ravenna in Italia e il Molenbek in Belgio per parcheggiare e far crescere i ragazzini), la legge vieta il tesseramento a giovani calciatori spagnoli e stranieri under 16.
Inoltre, le società calcistiche non possono accogliere più di due stranieri e con norme severe: i calciatori minorenni devono avere il permesso di soggiorno, l’assenso paterno, il permesso di lavoro e la certificazione della scuola.
Beata Europa.
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