Cultura

Lettore, torna a casa: che cosa succede al cervello che legge?

Pensiero critico, empatia, immaginazione: queste “doti” della mente umana non sono, va da sé, innate, ma hanno bisogno di tempo e di esercizio per manifestarsi; si tratta, realisticamente, di capire come farle vivere in questo nuovo contesto. La questione non è allora contrapporre semplicisticamente la lettura su carta a quella digitale, come a voler contrapporre il bene al male. Si tratta, all'opposto, di immaginare come far convivere questi diversi “sistemi” di lettura e, di conseguenza, di pensiero

di Francesco Paolella

Non bisogna cadere in alcun facile allarmismo, ma il nostro futuro di lettori, di cittadini e di esseri pensanti presenta grandi incognite e offre grandi timori. Se davvero fra qualche anno la maggior parte degli studenti delle scuole medie americane (ma altrove non sarà poi molto diverso) sarà fatta di analfabeti funzionali, ciò significa che possiamo aspettarci di tutto. Che il nostro stesso modo di leggere e di pensare cambi radicalmente. La vita culturale e sociale del nostro mondo, la nostra stessa lingua sono e saranno sempre più esposti a mutazioni difficilmente controllabili.

Questo lavoro di Marianne Wolf, Lettore, vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale (Vita e Pensiero, 2018), celebre neuroscienzata e studiosa della lettura, ci mostra tali interrogativi, ragionando degli impatti cognitivi sul nostro cervello da parte della rivoluzione digitale in cui siamo immersi.

Partiamo dal presupposto che la lettura è un atto “innaturale”, una invenzione culturale introdotta molto di recente (circa 6000 anni fa soltanto). E teniamo conto del fatto che il digitale sta modificando definitivamente il nostro modo di tenere attenzione e di immaginare. La lettura digitale rappresenta un nuovo capitolo nella storia della lettura, forse il più gravido di conseguenze, delle quali oggi possiamo soltanto intuire le più macroscopiche. Non serve demonizzare il nuovo, né illudersi di poter tornare indietro.

Oggi abbiamo a disposizione un numero di informazioni infinite volte più grande che nel passato. Ma che uso possiamo farne? E che impatto ha questa massa di informazioni “esterne” sui circuiti del nostro cervello, sulla nostra memoria?

Quante conoscenze sono ormai “delegate” all'uso dei motori di ricerca su internet? Per non dire del contesto in cui oggi ci informiamo o, meglio, assorbiamo conoscenze: il digitale porta con sé continue distrazioni e una incredibile accelerazione. È sempre più difficile fare quella “lettura profonda” che ha bisogno di tranquillità e lentezza, di tempo e desiderio, della possibilità di tornare indietro, di rileggere e rileggere ancora… E che ne sarà della nostra lingua, della sua necessaria complessità? La stessa letteratura dovrà adeguarsi sempre più apertamente alla nuova lettura digitale, che deve essere veloce, semplice, istantanea?

Pensiero critico, empatia, immaginazione: queste “doti” della mente umana non sono, va da sé, innate, ma hanno bisogno di tempo e di esercizio per manifestarsi; si tratta, realisticamente, di capire come farle vivere in questo nuovo contesto. La questione non è allora contrapporre semplicisticamente la lettura su carta a quella digitale, come a voler contrapporre il bene al male. Si tratta, all'opposto, di immaginare come far convivere questi diversi “sistemi” di lettura e, di conseguenza, di pensiero.

Ecco il tema cruciale: come educare gli uomini di domani a questa coesistenza? Come non far perdere loro i tesori che solo la lettura dei libri, con la loro fisicità, può dare? Il digitale può essere (e lo è già) uno strumento utilissimo per aiutare ad esempio chi soffre di disturbi dell'apprendimento. E sarà sempre più un ingrediente indispensabile nella formazione del futuro, per tutti. Anzi, come scrive la Wolf: insegnare una “saggezza digitale” (cioè il saper discernere le fonti, il saper cercare la verità fra le illusioni della rete) sarà domani ciò che l'educazione sessuale è stata fino ad ora.

A tale saggezza digitale, però, occorre affiancare, in un vero e proprio processo di bi-alfabetizzazione, l'insegnamento di un modo diverso, più antico e profondo, di leggere e di apprendere. Bisogna insomma, quando si insegna a leggere ai bambini, insegnare loro a leggere sia i testi a stampa sia i testi digitali. Altrimenti, i libri non verranno più letti, ma solo “scansionati”. Ciò che si rischia è di veder finire la cultura nel puro intrattenimento.

Il tempo della lettura, fin dalla prima infanzia, è e deve essere sempre un tempo “pesante”: per questo, non si può lasciare un figlio solo con un tablet (che è ormai il nuovo ciuccio del XXI secolo), senza aspettarsi poi di vedere crollare la sua capacità di attenzione e di immaginazione. Servirà sempre leggere e rileggere le favole.

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