Formazione

Lettere dal sociale/13. Dal letame nascono i fior: De André e la didattica a distanza

«Quando la Storia sembra radere tutto al suolo, non hai più nulla da perdere e trovi il coraggio di osare la qualunque. Mi trovo a ripensare da zero la didattica di storia e geografia. Te lo chiedi sempre, ma poi tra un’incombenza e l’altra la vera rivoluzione non la fai mai». L'esperienza di una prof con la didattica a distanza

di Elena Paganuzzi

Capitano periodi in cui la vita, le emergenze, l’imprevisto ti gettano nell’improvvisazione – più o meno totale – ti stravolgono tutto e la tentazione di iniziare a vedere nero ovunque è alla porta più che mai. Oppure, da incallita bicchierepienista – come direbbe il buon Gianluca Nicoletti – giorno dopo giorno mi ritrovo sempre più elettrizzata dagli infiniti risvolti che questa famigerata didattica a distanza (e didattica della distanza, mi fa aggiungere la mia sempiterna vena filosofica) mi sta facendo scoprire e sperimentare.

Potrei cominciare con l’elogiare l’impegno, l’abnegazione, il mutuo soccorso che vedo messi in pista da parte dei miei alunni più e meno grandi (una prima e una terza media). Schietti, maturi, collaborativi, questo tsunami li precipita verso un balzo di crescita e responsabilizzazione che la maggior parte di loro sta compiendo davvero con grande prontezza e maturità, non c’è una volta che non stupiscano.

Improvvisamente mi ritrovo la mail intasata dalle offerte di corsi di formazione e webinar gratuiti da parte delle più accreditate case editrici: inedito, potrei commentare con una certa ironia! Come non approfittare di una simile occasione? E così, contro ogni previsione, eccomi a macinare un webinar dopo l’altro in un periodo della mia vita in cui non l’avevo davvero preventivato. I webinar poi si rivelano – doppiamente inedito, se si parla delle offerte formative solitamente disponibili per la classe docente italiana – estremamente concreti ed interessanti, mi conducono a passo di valzer in un turbinio di piattaforme e WebTools (ormai questo lessico è pane quotidiano, anche se il mio correttore automatico ancora non ha recepito l’informazione) tutti da scoprire. Incuriosita provo ad approfondirne alcuni, mentre tento di portare avanti la ricerca relativa a un modo di fare didattica che mi ha sempre affascinato ma purtroppo è molto diffuso soprattutto in ambito anglosassone: la didattica per competenze, sfide e problem solving, l’unica in grado – lo trovi su qualsiasi recente bibbia di teoria e metodologia della didattica – di produrre un “apprendimento significativo”.

I docenti universitari delle più disparate facoltà non fanno che prodigarsi in seminari, corsi e lezioni sul docente facilitatore, coach, teambuilder, selfbuilder e chi più ne ha più ne mette. Ma se poi vai a chiedere come concretamente realizzare tutto ciò, ricevi un bel “dipende dalla disciplina”, “basta mettersi in gioco”, “cominciate a lavorare di gruppo”, quando non una bella pacca sulla spalla accompagnata da un cordiale “un passo alla volta, intanto abbiamo aperto gli orizzonti”. Nulla di più caustico, nulla di più nocivo, nulla di più inutile.

E invece guarda! La didattica a distanza mi fa conoscere alcuni DS e docenti – perle rare – estremamente talentuosi, innovativi e vogliosi di condivisione, mi fa conoscere il progressista Movimento Avanguardie Educative, mi fa pensare di proporre alla mia DS di far aderire il nostro istituto, per inserirlo in un programma formativo probabilmente senza precedenti. Anche perché questi virtuosi della concretezza, che mi parlano via webinar dai loro pc a chilometri di distanza e che hanno messo in pratica già da anni tutta l’innovazione di cui si fanno portatori, non sono stati minimamente colti alla sprovvista dalla chiusura delle scuole. Qualche istante per sistemare strumenti, scenari e priorità alla luce della nuova situazione, ma poi il gioco è fatto e continuano semplicemente a portare avanti le loro buone pratiche, aggiungendoci una generosa condivisione per la comunità, a questo punto sempre più disorientata e bisognosa.

Se è così, questa situazione di emergenza mi permette anche di disporre della cosiddetta e fantomatica prova del nove che i virtuosi hanno ragione, perché quale sistema può essere ritenuto migliore di quello che resiste, si adatta e si mostra di successo davanti all’imprevisto, alla calamità? Benissimo, allora Avanguardie Educative sia.

Il fatto è che nell’approfondire i WebTools e la didattica per sfide dei virtuosi mi trovo a ripensare da zero la didattica di storia e geografia. Eh sì, perché ci dicono al diavolo il programma, ci dicono puntate a ciò che davvero conta. Adesso sono davvero con le spalle al muro: cosa davvero conta di quello che insegno ai miei ragazzi? Domanda sempre posta, per carità, ma poi tra un’incombenza e l’altra, tra un consiglio di classe e un quadrimestre che va, vai avanti – un po’ come i nostri governi – a riforme parziali e decreti-legge di emergenza, ma la vera rivoluzione non la fai mai. Ora invece mi hanno tolto i banchi, mi hanno tolto l’aula, mi hanno tolto la lavagna, mi hanno tolto tutto! C’è anche chi dice che sarebbe meglio togliere pure il voto! Quando la Storia sembra radere tutto al suolo, non hai più nulla da perdere e trovi il coraggio di osare la qualunque.

Mollo il libro, anzi mi metto sul libro e continuo a rimuginare: cosa conta? Cosa resta? Cosa gli resta? Cosa voglio lasciargli? Di punto in bianco, lezione per lezione, tra una nuvola di Mentimeter e un muro di Padlet – i non addetti staranno pensando a un delirio di surrealismo figurativo – mi ritrovo che nelle lezioni di geografia si fa analisi comparata sugli impatti del Covid-19 nel mondo, con particolare attenzione alle disparità economiche tra Paesi. Mi ritrovo che parlando di Medioevo scopro che i miei allievi hanno una innata gerarchia valoriale contemporanea, diametralmente opposta a quella medievale, che le parole che maggiormente associano all’Unione Europea sono “euro “e “aiuto” (euroscettici tremate).

Conosco Simona, sorella maggiore di Veronica, che condivide con lei cameretta e pc per le videolezioni, e insegno al papà di Giovanni a fare un PowerPoint per il figlio disabile che non riesce a farlo da solo (in streaming si può!). Francesca ripara da sola la sua webcam, che non funzionava più per via di un aggiornamento Microsoft, ma lei un po’ chiedendo e un po’ cercando ha capito il problema. Piero invece non riesce a connettersi, ma gli do il numero del tecnico informatico della scuola: non lo chiamano i suoi genitori, lo chiama lui. Le direttive MIUR dicono di non esagerare con il numero di lezioni online, propongo ai miei ragazzi di dimezzarle ma loro mi chiedono di no. Non sono proprio tutti d’accordo però, così discutiamo in streaming come i grandi non sanno fare – vedasi Parlamento, assemblee di condominio e code all’ingresso dei supermercati – e concordiamo una gestione dell’orario in base alle loro esigenze.

Jessica è ispano-americana, arrivata quest’estate non conosce bene l’italiano, ma mi scrive su Edmodo se non capisce la lezione, e poi c’è Google Traduttore. I compiti li consegna anche lei. Matteo invece mi chiede se possiamo vederci in separata sede, perché lui è dalla primaria che non ha capito come si fanno le ricerche e vorrebbe proprio che glielo spiegassi. Con un gruppetto ci scambiamo consigli cinematografici perché Netflix e Amazon Prime Video ormai ce li hanno quasi tutti, pullulano di film storici e cos’altro abbiamo da fare la sera? Anche la quarta stagione de La casa di carta è il pretesto per un debate eccitato e sospetto che le conversazioni sui romanzi di volta in volta assegnati siano particolarmente partecipate grazie ad un nuovo – e un po’ costretto – interesse per la poltrona del salotto.

Mi assento per due giorni per un brutto mal di gola e colleghi e studenti mi riempiono la chat di messaggi per sapere come sto, si sa mai di questi tempi. Del resto io faccio lo stesso quando a stare assenti sono loro, strsoana forma di solidarietà e affetto, chissà perché prima mai mostrata. Le chat di scuola – solitamente di questi tempi occupate perlopiù da immagini di gufi esauriti a fine anno scolastico, docenti in spiaggia a sorseggiare un mojito e curve sud dello stadio con striscioni “mancasolounmeseedèfinita” – brulicano di articoli di didattica, etica, inclusione, tecnologia. Ci diamo il buongiorno inoltrandoci link da OrizzonteScuola e mandiamo faccine con la lacrimuccia insieme ai “vogliotornareinclasseeeee”!

Insomma, per farla breve – che poi tanto breve non è – mi ritrovo più ricca, formata, aggiornata, impegnata (positivamente impegnata), connessa e coinvolta (emotivamente e culturalmente coinvolta) di prima e mi sento una docente migliore. Questo Covid-19 ha sicuramente prodotto e ancora produrrà morti, dolore, sofferenza e povertà. Però avevano proprio ragione i latini e De Andre’: la necessità aguzza l’ingegno e dal letame nascono i fior.

*Elena Paganuzzi è docente di Lettere in una scuola secondaria di primo grado

Foto Pexels


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