Welfare

Lettere dal fronte sociale/7. La verità? Ci dicevano di non mandare i malati delle Rsa in ospedale

Lettera aperta del personale medico della Rsa di Melegnano in provincia di Milano gestita dalla fondazione Castellini: «Leggiamo articoli dove si parla dei "poveri vecchi" nelle Rsa, mentre ci stiamo prendendo cura di loro nel miglior modo possibile, attuando al massimo tutte le potenzialità delle cure. In questo momento, faticosissimo anche per noi, ci sentiamo isolati e dimenticati. Le istituzioni? Rispondano alle nostre domande»

di Redazione

Siamo un gruppo di medici, quasi tutti geriatri, che hanno scelto di dedicarsi alla cura delle persone anziane più fragili e malate. Per scelta lavoriamo in RSA, dove la cura dell'anziano non è solo il farmaco, ma anche l'assistenza, l'igiene, l'attenzione ai dettagli, la relazione, la valorizzazione delle abilità residue. In RSA non curiamo solo le malattie, ma ci prendiamo cura delle persone e non lo facciamo per profitto (una carriera ospedaliera sarebbe certamente più remunerativa}, ma perché è ciò che vogliamo fare e lo facciamo con impegno e dedizione.

Ciò premesso, sentiamo il bisogno di far sapere quanto ci sentiamo feriti dal martellamento mediatico sulle RSA, come se fossero luoghi dove gli anziani vengono lasciati morire senza cure. Nulla è più lontano dalla realtà. E per questo vorremmo lasciare la nostra testimonianza. Lavoriamo presso la Fondazione Castellini di Melegnano, una grande e articolata residenza sanitaria che ospita 365 persone fragili. Quando è scoppiata la pandemia da Coronavirus, la Fondazione Castellini è sempre stata attenta e puntuale nel recepire e attuare le disposizioni ministeriali e regionali sulla gestione dell'emergenza, riducendo e poi bloccando gli accessi esterni alla RSA, secondo le indicazioni delle Istituzioni. E, mentre gli "esperti" in televisione continuavano a ripetere che questo virus estremamente contagioso è pericoloso soprattutto per le persone anziane polipatologiche, noi sapevamo che se fosse entrato da noi (come in qualsiasi altra RSA) sarebbe stato un disastro. E sapevamo anche che era solo questione di tempo e che, pur con tutte le cautele, quel virus così contagioso avrebbe trovato il modo di insinuarsi e dilagare.

Quel che non ci spieghiamo è come sia stato possibile che nessuna Istituzione abbia riflettuto sul fatto che le RSA sono un concentrato di popolazione a rischio. Tutti si sono dimenticati di noi, salvo accorgersene adesso che, chissà come mai, molti anziani sono deceduti nelle RSA? Dov'erano le Istituzioni quando chiedevamo tamponi che non ci venivano dati, se non col contagocce?

Dov'erano le Istituzioni quando i nostri impiegati dell'ufficio acquisti spasmodicamente cercavano di procurare per noi mascherine e dispositivi di protezione introvabili? Dov'erano quando gli ordini fatti non andavano a buon fine, perché il materiale veniva bloccato per essere destinato agli ospedali? Dov'erano quando nelle riunioni ci dovevamo preoccupare di come gestire l'emergenza qualora i dispositivi non fossero arrivati o bastati? E per fortuna la Fondazione Castellini è forte e alla fine – non senza fatica – i dispositivi non ci sono mai mancati. Ma non certo grazie agli aiuti esterni.
Dov'erano le Istituzioni quando sono scoppiati focolai nei nostri reparti e siamo stati lasciati soli a gestire la "nostra" emergenza? La Fondazione Castellini non ha mai fatto mistero dei contagi all'interno, e già da tempo sta pubblicando sul sito il bollettino dei contagi e dei decessi. Dov'erano le Istituzioni quando i nostri Colleghi si sono ammalati, prestando servizio ai nostri pazienti?

Noi medici e tutto il personale addetto all'assistenza ci siamo adoperati in ogni modo per fornire le cure più adeguate per questa malattia, non abbiamo smesso un attimo di aggiornarci sulle terapie possibili per questo virus, leggendo, studiando e confrontandoci (per nostra iniziativa) con i Colleghi ospedalieri che hanno avuto più supporto di noi nel gestire questa malattia che nessuno conosceva, semplicemente perché non era mai esistita prima. Certo che ci sono stati anziani che non ce l'hanno fatta in RSA. Certo che il virus ha avuto la meglio sui corpi provati dall'età e dalle tante malattie. Esattamente come è stato in ospedale o sul territorio: molti non ce l'hanno fatta.

Da settimane sentiamo il bollettino dei morti in televisione; come si poteva pensare che in RSA non sarebbe stato lo stesso e anche peggio?
Eppure la DGR Xl/3018 del 30/03/2020, emanata da regione Lombardia, dal titolo "Ulteriori determinazioni in ordine all'emergenza epidemiologica da COVID-19 – indicazioni per gestioni operative per le RSA e le RSD" (la stessa DGR che prevedeva l'accoglienza in alcune RSA dei pazienti COVID-positivi dimessi dagli ospedali), stabiliva che per i pazienti di "età avanzata (>75 anni) e presenza di situazione di precedente fragilità nonché presenza di più comorbilità, è opportuno che le cure vengano prestate presso la stessa struttura per evitare ulteriori rischi di peggioramento dovuti al trasporto e all'attesa in Pronto Soccorso. A tali ospiti occorre misurare la saturazione periferica di ossigeno, secondo le indicazioni allegate (allegato 3). Nel caso di bassa saturazione somministrare ossigenoterapia. – Se il paziente è terminale si allegano le linee guida per "PROTOCOLLO DI SEDAZIONE TERMINALE/ SEDAZIONE PALLIATIVA {ST/SP)" {allegato 4)".

Ma di che cosa stiamo parlando? Non solo ci dicono che è "opportuno" non mandare i nostri pazienti in ospedale (eticamente discutibile) ma addirittura ci suggeriscono ovvietà come quella di somministrare ossigenoterapia in caso di bassa saturazione e ci allegano le procedure per la sedazione terminale? Come se le procedure per la sedazione palliativa non le conoscessimo già, dal momento che, come geriatri, siamo anche palliativisti e da anni gestiamo un Hospice interno alla Fondazione. Eppure ora sentiamo che si aprono fascicoli in Procura, sentiamo che arriveranno i NAS a controllare cosa succede in RSA. Ma se davvero le Istituzioni pensano che in RSA si lavori così male, perché invece di avviare indagini (che certamente si svolgeranno sulla carta e a pandemia conclusa) non hanno pensato di venire adesso a vedere con i loro occhi come vengono curate le persone da noi? Perché non hanno pensato di mandarci consulenti infettivologi e fornirci formazione specifica? Perché non vengono a vedere con quanta cura oggi affrontiamo tutti gli aspetti della malattia?
Non ci sono solo la febbre o l'insufficienza respiratoria, che certamente gestiamo con i farmaci e con l'ossigenoterapia. Quando passa la fase acuta, restano la debolezza e l'inappetenza … altrettanto pericolose per un organismo anziano e malato. Perché non vengono a vedere come ci inventiamo strategie per far mangiare i nostri pazienti? Perché non vengono a vedere come vengono imboccati e stimolati? Abbiamo acquistato i gelati, un alimento completo, fresco e dolce, come aggiunta al pasto o come sostituto per chi proprio non accetta altro. Non sappiamo più come coccolarli, i nostri anziani.

E perché non vengono a vedere come stiamo noi, poveri operatori sanitari di RSA? Siamo stanchi per il duro lavoro e mortificati per la scarsa considerazione, impegnati ogni giorno non solo sui pazienti ma anche a rassicurare, per quanto possibile, i loro familiari, cercando di riconquistare una fiducia guadagnata in anni di onorato servizio e demolita in un'ora di servizi giornalistici sulla presunta malpractice in RSA. E, naturalmente, anche noi abbiamo paura di ammalarci. Leggiamo articoli dove si parla dei "poveri vecchi" nelle RSA, mentre ci stiamo prendendo cura di loro nel miglior modo possibile, attuando al massimo tutte le potenzialità delle cure in RSA. In questo momento, faticosissimo anche per noi, ci sentiamo isolati e dimenticati. Ma non perdiamo il nostro spirito, combattiamo ogni giorno. Qualche battaglia l'abbiamo persa, ma intendiamo vincere la guerra. Siamo geriatri, da sempre ci occupiamo dei casi disperati, di quelli che gli ospedali non vogliono, di quelli che sono "oltre il limite terapeutico" ma che noi riusciamo a stabilizzare restituendo loro la dignità di persone ugualmente meritevoli di cure e attenzioni. E così, anche ai tempi del coronavirus, andiamo avanti con orgoglio e impegno. Ma non chiamateci eroi, siamo solo geriatri.


Dott.ssa Irene Pellicioli

Dott.ssa Giulia Maria Antonietti

Dott. Lorenzo Chiesa

Dott.ssa Chiara Nodari

Dott.ssa Benedetta Panni

Dott.ssa Serena Sarra

Dott.ssa Rosaria Torchetti

Dott.ssa Barbara Vitaloni

Photo: Alex Boyd/Unsplash

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