Famiglia

Lettere dal fronte sociale/4. Ciro, educatore: i miei bambini diventati invisibili

Il racconto di Ciro, educatore della Comunità per minori “La Casa di Pollicino”, gestita dalla cooperativa sociale Nuova Dimensione: “Abbiamo scelto di raggiungere la comunità tutti i giorni, con tutte le precauzioni del caso, per proteggere quei bambini che, insieme a noi, sono diventati più invisibili di questo maledetto virus.”

di Redazione

Sono uscito di casa molto presto, alle 6,45 per entrare in turno. La strada era vuota, io la mia macchina e le campagne dei colli perugini. Non c'erano i soliti trattori a rallentare il passo. E anche stamattina sono uscito di casa, ho lasciato a mia moglie i nostri quattro figli e mi sono recato da altri figli. In questi giorni mi torna spesso in mente la frase che mi fu detta dodici anni fa, quando feci il primo colloquio per accettare questo lavoro. "Ciro, sei sicuro che te la senti di fare questo lavoro? Lavorare in una comunità per minori è come avere due famiglie."

Quando l’emergenza covid 19 ci ha ufficialmente travolto, anche noi educatori avremmo potuto chiedere congedi parentali o ferie per stare con i nostri figli. Non lo abbiamo fatto, nessuno di noi lo ha fatto. Abbiamo scelto di raggiungere la comunità tutti i giorni, con tutte le precauzioni del caso, per proteggere quei bambini che, insieme a noi, sono diventati più invisibili di questo maledetto virus.

Siamo chiamati ad essere i custodi dei minori che ci vengono affidati e che non hanno la casa madre all’interno della quale rifugiarsi per proteggersi.

Arrivato in Comunità mi sono cambiato, ho disinfettato le mani, ho indossato una mascherina da usare solo nell'eventualità di una vicinanza troppo stretta. La mia collega, che aveva trascorso con loro la notte, mi ha accolto con il caffe'.

“Ciro, come stai?"

“Bene grazie Bea.”

"Vieni che ancora dormono, ti lascio le consegne".

Anche le consegne, in tempo di coronavirus, hanno subìto un cambiamento repentino.

Cose da fare e da non fare:

• non uscite in giardino perché è freddo e nessuno si deve ammalare;

• G. deve fare i compiti di francese e caricare il lavoro sulla piattaforma del registro elettronico. La sua prof. vuole che sia più puntuale a caricare i compiti perché lei li deve correggere. Deve fare due videolezioni in collegamento: una alle 9, 30 di Italiano e Storia e un’altra alle 12 di inglese. Pare si sia dato un appuntamento con una ragazza che ha la seconda casa in paese. Ribadiscigli che non può uscire;

• M. fa casino con A. Giocano a rincorrersi per la casa, fanno intrusioni in dispensa e fanno gli spiritosi a tavola. Alle 11:00 ha lezione in videocollegamento con la classe e con l'insegnante di Inglese. Bisogna stargli vicino perché anche su class-room a volte si comporta male;

• M. e G. devono fare i compiti e più tardi li devi mettere in videochiamata con la loro psicologa.

Alla fine del turno ricordatevi di igienizzare tutti i dispositivi.

Verso le 12 ha cominciato a nevicare e i bambini hanno esultato, sono corsi alle finestre ma non sono potuti uscire. Quei fiocchi di neve che scendevano leggeri, silenziosi, senza i bambini in giardino ad esultare mi hanno messo molta tristezza. Ma noi non possiamo piangere davanti a loro, possiamo commuoverci e scegliere di piangere da soli. Non possiamo lasciarci sopraffare dall’angoscia dell’ignoto che questa quarantena ha portato con sé.

Prima di tutto questo, noi educatori ci siamo occupati di accompagnare i bambini e i ragazzi a scuola ogni mattina, li abbiamo accuditi, allevati, cresciuti, coccolati, amati e sostenuti nella relazione con i loro genitori vulnerabili. Alleviamo neonati, allattiamo di notte, cambiamo i pannolini. Non avevamo mai messo le mascherine come stiamo facendo in questo periodo di emergenza, per proteggerli anche da noi stessi. Siamo educatori e anche genitori; con loro facciamo colazione, parliamo con gli insegnanti, con i loro assistenti sociali, con le loro psicologhe e le loro neuropsichiatre infantili, li aiutiamo nello svolgimento dei compiti mangiamo, raccontiamo loro storie quando li mettiamo a letto. Consoliamo i loro pianti, asciughiamo le loro lacrime, gestiamo le loro crisi di rabbia. Sappiamo che non ce l'hanno con noi anche quando ci lanciano le sedie e ci prendono a parolacce. Spesso abbracciamo anche fisicamente la loro rabbia. Quella dei bambini, a volte quella delle mamme e degli adolescenti che hanno bisogno di limite e contenimento. Ognuno dei nostri bambini ha una psicologa, un assistente sociale, un pediatra, un mister di calcio, una maestra di ballo, un allenatore di atletica, di karate e di nuoto. E' questo il villaggio che insieme a noi e ai loro genitori si prende cura e aiuta a crescere questi ragazzi.

Il covid 19, la pandemia, la quarantena hanno travolto tutto e tutti, ma non hanno modificato il senso del nostro lavoro. Ciò che facevamo prima continuiamo a farlo anche ora, tutti i giorni, se possibile con un senso di responsabilità maggiore.

Dopo la nevicata di questa mattina ci siamo messi a tavola per pranzare, con le giuste distanze, senza mascherine ed abbiamo parlato di nuovo delle precauzioni e delle restrizioni che stiamo vivendo sulla nostra pelle. A fine turno li ho salutati, ma prima di uscire ho igienizzato tutti i dispositivi, secondo le consegne.


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