Formazione

Lettera aperta di Luigi Manconi. Carissimi lillipuziani

Dibattiti. Qual è l’anima del movimento? Da un articolo pubblicato su Repubblica sono arrivate decine di lettere. Ora il senatore risponde

di Redazione

Lettera lunga, molto lunga, ai lillipuziani che hanno voluto discutere con me. Questa lettera sarà molto lunga perché il mio articolo su Repubblica del 13 agosto ha suscitato decine e decine di repliche e proverò a rispondere a tutte. Questa lettera sarà molto franca, in qualche passaggio persino aspra, perché non intendo ricorrere né a formule diplomatiche né ad autocensure opportuniste, considerato che i temi trattati, così importanti per tutti noi, esigono chiarezza. Dunque, questa mia risposta potrebbe suscitare nuove repliche: ma, in tal caso, sarà più efficace, forse, un confronto pubblico, al quale mi sono dichiarato disponibile sin dal primo momento. Devo, innanzitutto, ringraziare i lillipuziani perché la quantità di messaggi ricevuti e il loro contenuto, anche quando fortemente polemico, sono una dimostrazione di passione e di intelligenza. Grazie a voi tutti, dunque, per la serietà e la pazienza con cui avete partecipato a questo dibattito: per me prezioso e, spero, non inutile per voi. Ora, per la verità, potrei cavarmela comodamente con un ampio ventaglio di escamotages: alcuni dignitosi e robusti, quasi quasi risolutivi, forse addirittura convincenti. Primo escamotage. Ovvero: VI HO BECCATI. Se in un articolo, estremamente lusinghiero, di 120 righe, quelle due su Buttiglione hanno suscitato una simile reazione, non è che, per caso, ho toccato un nervo scoperto? Un rimosso, come direbbe la psicanalisi? Secondo escamotage. Ovvero: BASTA LEGGERE. Tra le reazioni, c?è chi sostiene che le frasi contestate sarebbero contenute «in un?intervista rilasciata» da me a Repubblica o che avrei «schiacciato gli attivisti lillipuziani su di un?improbabile uniformità di voto verso Rocco Buttiglione». Ma vi rendete conto? C?è chi legge «uniformità di voto» quando io scrivo «una parte, sottolineo: una parte», e non mi riferisco, com?è chiarissimo, alla sola Lilliput. Il che mi conferma nell?idea che una quota degli interlocutori, forse i più critici, hanno basato il loro giudizio su una voce del tipo: «Manconi ha detto a Repubblica che quelli di Lilliput votano per Buttiglione». Nulla di più falso, ovviamente. E allora, torniamo al testo. Dopo una analisi molto positiva su Lilliput (contestabile come ogni analisi, e a chi l?ha contestata replicherò tra un attimo), scrivevo testualmente: «Va sottolineato, infine, un errore commesso dai Ds. La loro autocritica a Genova è stata fatta davanti a una porzione (per quanto polemica e fischiante) di se stessi, mentre gli interlocutori più preziosi sono altri e si trovavano e si trovano altrove. E, attenzione, non sono più a destra: per certi versi (per radicalità di analisi e di comportamenti profondi) sono, per così dire, più a sinistra dei Disubbidienti. Mi riferisco, ancora una volta, a quelli di Lilliput e ai moltissimi come loro. Una parte di questi militanti (sottolineo: una parte, ma non insignificante) conduce, con intelligenza e tenacia, le proprie battaglie: e, poi, nel segreto dell?urna, serenamente, vota per Rocco Buttiglione. Sono così lontani dalla politica istituzionale da guardarla con totale indifferenza e con un pizzico di cinismo: insomma, così distanti da Buttiglione per quanto riguarda le idee sul mondo, ma abbastanza vicini, per memoria culturale, da riconoscere come familiare (più familiare di quello della sinistra) il suo linguaggio. è un paradosso, ma fino a un certo punto».Vorrei che si discutesse di questo testo, non di affermazioni da me mai fatte né pensate. Terzo escamotage. Ovvero: MA SE LO DITE ANCHE VOI. Ebbene, chi sono quei militanti, di cui «una parte, sottolineo: una parte» può votare per il centro cattolico? E può farlo nonostante che, questo scrivevo ed è stato ignorato da quasi tutti, siano «così distanti da Buttiglione per quanto riguarda le idee sul mondo»? Sono una parte di «quelli di Lilliput» e dei «moltissimi come loro». Dunque, il riferimento, inequivocabile, è al volontariato nel suo complesso. Devo dire che le vostre repliche mi confermano che questa valutazione non è infondata anche per quanto riguarda «una parte» di Lilliput. Tra i lillipuziani che hanno replicato, c?è chi ha scritto: «Forse Buttiglione no, ma penso di conoscere lillipuziani che potrebbero aver votato Casini e penso che questa sia una ricchezza di differenze di Lilliput che i lillipuziani dovrebbero valorizzare invece che denigrare con sdegno». E ancora più importante: «Se poi qualcuno che vota Buttiglione, dopo aver letto le reazioni, concludesse che con la rete Lilliput non ha più molto senso continuare a collaborare (e magari era anche una collaborazione preziosa)?». Altra lillipuziana: «Alla prima assemblea nazionale di Massa e anche in altre occasioni ho sinceramente avvertito un certo sentore di incenso (…) e anche localmente da quando seguo Lilliput mi sono ritrovata a lavorare con e in ambienti cattolici a me profondamente estranei e anche piuttosto invisi (?), riconoscendo spesso comunque una validità in alcuni modi di lavorare di queste persone». Un altro ancora: «Ebbene, non so dire se le molte persone che ho incontrato abbiano votato, o forse continuino a farlo, per Buttiglione, ma di certo ho avuto l?impressione che il modello organizzativo della Rete fosse allora, e tutt?oggi sia, mutuato da esperienze parrocchiali o comunque chiaramente riconducibili al mondo cattolico». E altre email esprimono concetti assai simili (quell?analisi «non è destituita di ragione, anzi» e «coglie abbastanza bene molte dinamiche del movimento»; «forse si poteva dire a Manconi: hai scritto cose giuste, ma in maniera fraintendibile»; si tratta, comunque, di un articolo «intelligente, tra i migliori»?). E mi fermo qui per non esagerare in autocompiacimento; e per non sottovalutare il fatto che molte e, talvolta, aspre sono state anche le critiche. Dunque, la mia valutazione coincide, su questo, con la valutazione di numerosi lillipuziani. E, tuttavia, voglio chiedermi: l?entità di quella «parte» di Lilliput risultava eccessivamente e ingiustamente amplificata dal modo in cui l?ho descritta su Repubblica? è possibile. Accetto questa critica e riconosco questa forzatura, a patto che si tenga presente, con altrettanta onestà, che trattavasi di un «paradosso», com?era, appunto, dichiarato esplicitamente. C?è chi lo ha inteso bene quando ha scritto: «Il riferimento a Buttiglione mi sembra proprio un?iperbole letteraria, un eccesso voluto per chiarire un concetto. Non mi sembra che Manconi abbia scritto che Lilliput è buttiglioniana, ma solo che Lilliput è distante dalle logiche della politica istituzionale». Esatto. Esattissimo: ho utilizzato un?iperbole letteraria. Ho sbagliato? Visto le reazioni, direi di no, dal momento che quelle parole hanno suscitato un dibattito così vero e profondo. (So di uno Stefano Lenzi che mi ha definito «coglione», ma qui, mi dicono, siamo in presenza di una patologia clinica, verso la quale sento uno di quegli afflati filantropici a cui ci esortava, appunto, la cara vecchia predicazione ecclesiale). L?iperbole letteraria aveva esattamente quella funzione: enfatizzare lo scarto tra una pratica sociale e culturale radicale («più di sinistra di quella dei Disubbidienti») e la politica istituzionale (verso la quale si nutre «totale indifferenza»). Tale è quello scarto che «una parte» di quei militanti può, quale estremo segno di estraneità alla politica partitica e istituzionale, votare per chiunque. Se, poi, quel chiunque evoca, nella sensibilità di alcuni lillipuziani e di molti volontari cattolici, qualcosa di «familiare (più familiare di quello della sinistra)», quel voto per il centro cattolico è meno bizzarro di quanto possa apparire. Ma perché non voglio insistere su questi argomenti che, pure, ritengo fondati e, in qualche caso, incontestabili? Per un motivo elementare: perché trovo, proprio nelle vostre repliche, le conferme più ampie (talvolta solo implicite, spesso esplicite) alle mie argomentazioni. Dunque, quella che era nata come una protesta contro di me si è rivelata una discussione autentica. Pertanto, considero superata la contrapposizione («Manconi contro Lilliput» o viceversa) e assai più utile la possibilità di un comune interrogarsi sulle prospettive del movimento e su alcune domande ineludibili. Tutto risolto, dunque? Tutto a posto? Evidentemente no. Una parte importante dei miei interlocutori contesta radicalmente la mia analisi e, a questo punto, anche l?analisi e l?autoanalisi di molti lillipuziani. E restano, in ogni caso, punti di dissenso, abbastanza rilevanti, anche con quanti riconoscono, e confermano, la fondatezza della mia posizione. E sono punti di dissenso che per amore di verità, e per sfrenata simpatia verso Lilliput, voglio enunciare con altrettanta chiarezza. I DUE PUNTI PIU’CONTROVERSI 1. L?ispirazione cattolica Emerge chiaramente che molti di voi attribuiscono alla segnalazione di una «matrice cattolica» un significato immediatamente denigratorio. Per me così non è. Trenta, quaranta anni fa, erano solo le associazioni cattoliche (talvolta le più retrive, spesso le più aperte) a interessarsi dei Paesi poveri. Perché dimenticarlo? Forse che quelle associazioni hanno svolto un ruolo solo ed esclusivamente negativo? Penso di no: hanno svolto un ruolo certo contraddittorio, ma che ha tenuto viva l?attenzione nei confronti di temi da tutti (tutti) trascurati. Quel ruolo si è esaurito (non interamente e, infatti, molte associazioni cattoliche lavorano ancora con quel metodo); e la gran parte dell?associazionismo cattolico italiano ha fatto scelte diverse, ha cambiato pelle, ha modificato dalle radici la propria cultura e il proprio repertorio d?azione. è un fatto di enorme importanza, innanzitutto culturale. Lilliput è «molte altre cose ancora», c?è scritto proprio così nel mio articolo, ma è anche «la forma contemporanea dell?antica attività missionaria dell?associazionismo cattolico». Dunque, io intendevo e intendo sottolineare una qualche continuità d?ispirazione e, insieme, la rottura, il salto, il cambiamento radicale. C?è chi ha scritto che mi sfuggirebbe la «differenza tra cattolico e ciellino o tra cattolici di sinistra e cattolici di destra». Per la verità, la questione della differenza tra «cattolici di destra» e «cattolici di sinistra» è vecchia di oltre cent?anni. Ma, quella questione, si presenta oggi in forme diverse e originali. Le difficoltà nascono, infatti, quando cattolici che operano con intelligenza e generosità sul piano sociale (e con obiettivi talvolta condivisibili), compiono scelte elettorali di segno opposto. Gli esempi potrebbero essere infiniti, ma basti ricordare il fatto che i più lontani da voi, i ciellini, sono, in larga parte, pacifisti e, tuttavia, si riconoscono, in maggioranza, nel centrodestra. Qui sta il cuore della questione che ho sollevato, sottoponendola, in particolare, alla sinistra politica. Ai lillipuziani, la pongo in questi termini: o voi esprimete un giudizio estremamente e interamente negativo su quel volontariato non lillipuziano e, dunque, ritenete offensivo anche il solo fatto di accostarlo a voi (e io, qui, non posso proprio seguirvi): oppure dovete riconoscere che in quel volontariato (anche in quello cattolico meno affine) c?è qualcosa di buono e di condivisibile. E, pertanto, costituisce un problema il fatto che «una parte» di esso possa votare per Buttiglione. In ogni caso, voi ritenete intollerabile, e offensivo, che quell?etichetta («cattolici»), che vale solo per una parte di Lilliput e che riguarda la sfera privata e le convinzioni religiose, connoti voi e, al contempo, i ciellini: e che ciò possa creare confusione. Capisco bene che quella, come qualsiasi altra etichetta, vi possa disturbare e sembrarvi riduttiva, ingenerosa e schematica. Ma davvero non mi sembra la fine del mondo. Accade a tutti (a tutti noi): tutti i soggetti, i gruppi, i movimenti vengono quotidianamente classificati, irrigiditi in uno schema, immobilizzati in un?etichetta. Quella attribuita a voi è, ovviamente, impropria e frettolosa, ma perché «soffrirla» a tal punto? Tanto più che la figura più «rappresentativa» di Lilliput (non certo per caso) è quel padre Alex Zanotelli che, del complesso percorso della cultura cattolica in questi decenni, costituisce una esemplare, straordinaria e ammirevole figura.Non solo. E se quell?etichetta fosse stata, non dico utile, ma in qualche modo efficace? Efficace (nel passato perlomeno) per distinguere,questo mi viene rimproverato da alcuni lillipuziani, Lilliput, ad esempio, dai Disubbidienti. Io penso che i Disubbidienti, così scrivevo su Repubblica, siano la manifestazione estrema di un classico, ancorché innovativo, movimento di sinistra, che adotta un repertorio di azione decisamente convenzionale, pur se intelligentemente aggiornato, e che ricorre alla consueta gestualità individuale e collettiva, che trova nella forma del corteo la sua più naturale espressione. Inevitabile che sia così. A costituire quel movimento sono giovani prevalentemente di estrazione metropolitana, che partecipano alla lotta politica tradizionale con mezzi tutto sommato tradizionali (compresa la competizione elettorale!) e con un riferimento, certo non ortodosso, alla tradizionale cultura di sinistra e ai suoi valori fondanti. Bene, io appartengo interamente a quella cultura da cui, in ultima analisi, nascono i Disubbidienti. Non l?ho in alcun modo rinnegata (fossi matto), quella cultura, ma la trovo, da qualche decennio e ancor più oggi, drammaticamente inadeguata. Il che mi porta ad apprezzare e valorizzare altre culture. In Lilliput ho visto e vedo queste novità e queste differenze (che attribuisco in parte a una matrice cattolica, in parte a una matrice nonviolenta, in parte a una matrice ambientalista). Ecco tre di queste qualità (e scuserete schematismi e sociologismi): 1) concentrazione sull?altro in carne e ossa e capacità di «avvicinare» (di rendere meno «lontani») i destinatari dell?azione; 2) consequenzialità tra sistema di valori, scelte e stili di vita (quelli che ho definito «comportamenti profondi»); 3) pragmatismo e «misurabilità» dei risultati dell?azione. Sono tre elementi di inequivocabile diversità rispetto ai movimenti precedenti e ad altri movimenti contemporanei. In particolare, apprezzo la capacità di Lilliput di ripensare e rinnovare il repertorio della mobilitazione collettiva: e di sottrarlo alla «coazione a ripetere», propria di chi si affida alla «forma del corteo». E a un?idea ginnico-agonistico dell?azione collettiva, ridotta troppo spesso a riti simbolici di violazione delle zone interdette e di affermazione di «contropotere». Col rischio di agevolare l?equivoco di chi scambia un problema di agibilità politica all?interno dei sistemi democratici con le questioni della desertificazione e della carestia. Si riproduce all?infinito un tic del manifestare, che è sempre più spesso un manifestarsi: ovvero un?auto-rappresentazione del sé e per sé. Pratica certo utile per rassicurare e dare identità, ma superflua rispetto agli obiettivi perseguiti. Alcuni lillipuziani condividono questa mia considerazione e scrivono del «luogo comune del corteo» come manifestazione «retorica» o «rito consumato»: addirittura «un rito terapeutico settimanale» (Deborah Lucchetti). Ecco, mi sento di poter dire che su temi come la fame nel mondo o l?Aids, l?azione collettiva debba ricorrere a strumenti totalmente diversi (ché, poi, le manifestazioni possano essere importantissime). Questa capacità di innovazione, dimostrata da Lilliput, non va in alcun modo attenuata e le differenze con altri movimenti non vanno in alcun modo ridotte. I DUE PUNTI PIU’ CONTROVERSI 2. Narcisismo di movimento Trovo non solo sbagliato, ma addirittura pernicioso questo così diffuso narcisismo di movimento (proprio, peraltro, di tutti i movimenti nei quali ho militato e che riconosco di non aver adeguatamente contrastato, quando potevo). Il narcisismo di movimento non è solo cosa non bella a vedersi: è pericoloso perché produce autoreferenzialità. Di questa autoreferenzialità è palese manifestazione il ricorso costante alla «indicibilità» del movimento stesso. Bene, come mi è capitato di scrivere ad alcuni, dal 1977 a oggi ho conosciuto (quasi sempre dall?interno) numerosi movimenti che si proponevano come «una miscela variopinta di idee e appartenenze» (come scritto da una lillipuziana). E che, per parlare di sé, utilizzavano sempre termini come ricchezza, articolazione, complessità, molteplicità, e anche inafferrabilità, imprendibilità, mutabilità (moltitudine no, è diventato di moda solo di recente): e aggettivi come cangiante, flessibile, mobile? Li ho sempre seguiti e sostenuti e studiati con rispetto e con attenzione. E sempre vi ho trovato quella tentazione all?autosufficienza e, con essa, la presunzione di affermare che, del proprio movimento, possano parlare solo i membri del movimento stesso. E che, soprattutto, il movimento fosse in qualche modo un indicibile (tali la sua peculiarità e la sua originalità) e che qualunque definizione fosse una riduzione. Ebbene, io per primo sostengo che il movimento attuale è effettivamente diverso, assai diverso, da quelli precedenti, ma guai ad accontentarsi di dirlo e di dirselo. Propria la sua peculiarità deve indurre ad affinare l?analisi e, dunque, a parlarne. E anche gli altri possono parlarne (ci mancherebbe altro). Anzi, è utile che lo facciano (magari sbagliando). Lilliput non è una setta esoterica e un?eccessiva gelosia di sé porta, fatalmente, all?autoreferenzialità e alla cecità. E a conseguenze assai dannose: ovvero a misurare le azioni e i programmi, i successi e le sconfitte, i consensi e i dissensi solo su di sé e sui propri cari. Sulla propria dimensione conventicolare-familiare. In una parola (eh, eh): parrocchiale. Ulteriore conseguenza è una certa propensione al complottismo. Leggo in alcune vostre mail: «è partito l?attacco concentrico contro noi pecore nere. Evvai con le palate di merda». E poi: «Chi ha paura di Lilliput?». Via, non esageriamo; mi sembra più ragionevole dire, piuttosto, che l?ottusità dell?avversario è tale da portarlo a sottovalutarvi. Questa lettera sterminata può concludersi. Restano non affrontati (ma non è questa la sede per farlo) problemi giganteschi, che per molti versi costituiscono la sostanza dei vostri dilemmi attuali. Ovvero le prospettive del movimento, la realizzabilità, del programma, il rapporto con la politica. Ci sarà modo e tempo. Un?ultima considerazione. Contrariamente a ciò che qualcuno ha scritto di me, io conosco abbastanza bene Lilliput. Voi non siete tenuti, ovviamente, a conoscere me. Dunque, qualche elemento autobiografico può essere utile. Mi limiterò a dire, pertanto, che da 25 anni faccio volontariato in movimenti, associazioni, comitati. Nel corso di questo periodo sono stato, per sette anni, parlamentare; conclusa questa esperienza, ho ripreso la precedente attività. Dico questo perché, tra due interlocutori, dev?esserci una qualche conoscenza reciproca; e un frutto velenoso di quella autoreferenzialità e di quel narcisismo di movimento è la tendenza a riconoscere solo se stessi come «militanti dei movimenti». A chi dice di me che «forse ho molti meno collegamenti con la società reale di quanto sarei disposto ad ammettere», mi viene da replicare senza alcun forse: ho certo più collegamenti di te con quella società reale che sono gli immigrati e i detenuti (dopo di che mi scuso per la scortesia e chiedo l?attenuante della provocazione). Grazie della pazienza con cui mi avete seguito fin qui, delle osservazioni e delle critiche, del vostri contributi così appassionati e intelligenti. A presto. Luigi Manconi Il dialogo continuerà con la risposta di Lilliput.


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