Politica

Lettera aperta a Napolitano

«Al mio presidente»: così inizia la lettar che Sumaya Abdel Qader ha scritto per raccontare la sua paradossale situazione

di Redazione

Al mio Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano
Caro Presidente
Le scrivo per esprimerLe gioia ed emozione, malinconia ed amarezza.
I primi due sentimenti nascono dal suo storico incontro con i nuovi italiani, incontro in cui, forse, per la prima volta un’Istituzione così importante riconosce come tali.
I secondi sentimenti invece nascono dalla delusione di non poter far parte, sulla carta, di quel gruppo di giovani.
Nata in Italia, a Perugia, 30 anni fa. Per un disguido burocratico che ha creato una interruzione di 3 mesi nella residenza mia e delle mie sorelle sul suolo italiano, abbiamo perso la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana per diritto di nascita.
Ma non parlerò delle difficoltà che tale situazione ci ha creato negli anni, tra rinnovi dei permessi di soggiorno, gite perse all’estero a scuola o con amici, lavori impossibili da ottenere e così via.
No.
Le voglio parlare dell’amore che provo per questo Paese, della voglia di farne parte comunque, sempre, al Suo servizio, fedele e cosciente.
L’Italia ha accolto i miei genitori giovanissimi. Il suo popolo li ha curati, cresciuti, amati. La sua gente ha accolto noi figli. Ci ha amati, cresciuti, educati.
Noi abbiamo risposto. Amando l’Italia, abbracciando i suoi principi e la sua cultura.
Si, abbiamo radici altrove (che vogliamo curare e valorizzare come ricchezza e elemento aggiunto alla nostra identità), ma tutto il nostro tronco e i nostri rami sono qui. Qui i nostri frutti cresceranno,  cadranno, doneranno nuovi  semi che daranno nuova energia al grande e meraviglioso ciclo della vita.
Caro Presidente, mi auguro che il Suo appello di serietà, rispetto, considerazione e “investimento” sui nuovi  italiani, giunga al cuore di chi questo Paese lo guida e lo proietta verso il futuro. Un futuro che deve dar spazio a tutti, nel rispetto dei diritti umani chiedendo in cambio il giusto dovere civico e non solo.
Noi, nuovi italiani (anche se non tutti confermati sulla carta) siamo in “piena identificazione con i valori di storia e di lingua, e con i principi giuridici e costituzionali che sono propri della nostra nazione e del nostro Stato democratico”.

Sumaya Abdel Qader

Sul tema vedi anche il blog di Lubna Ammune Yalla


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