Economia

L’etica cooperativa e lo spirito del mutualismo

Il 5 aprile del 1807 nasceva in provincia di Lecco Francesco Viganò, economista, tra i padri della cooperazione. Fondatore della prima cooperativa di consumo, per lui il mutualismo era un veicolo di educazione e rinnovamento etico integrale, non una forma giuridica fra le altre. Ecco perché, proprio ora, è importante tornare alla sua lezione

di Marco Dotti

Il 5 aprile del 1807 nasceva a Cicognola, frazione di Merate, in provincia di Lecco, Francesco Viganò. Economista, autore di romanzi storico-sociali e di quella che oggi chiameremmo science-fiction. Ma, soprattutto, padre nobile del movimento cooperativo italiano e del credito popolare.

Spirito nelle forme

Per studiare le forme che il mutualismo e il cooperare stavano assumendo in una società civile in rapida evoluzione, Viganò girò l’Europa. L’ispirazione, oltre che nelle vicende tedesche, la trovò fra i Probi Pionieri di Rochdale (Rochdale Society Equitable Pioneers). A Rochdale, nel pressi di Manchester, il 21 dicembre 1844, mettendo una sterlina a testa, 28 operai aprirono uno spaccio solidale, dando così vita all'esperienza-pilota del modello cooperativo del XIX secolo.

Quando un manipolo di persone (…) fonda una società che dicesi mutua, e che immediatamente potrebbesi chiamare di Cooperazione, perché i soci promettono tutti a ciascuno e ciascuno a tutti di cooperare ad uno scopo prefisso, utile a ciascuno e a tutti

Francesco Viganò

Lo spaccio dei Pionieri conteneva merci (burro, zucchero, sterline, avena e candele) per il valore di 14 sterline. La vendita di derrate alimentari, osserva Maurizio Degl'Innocenti, «avrebbe dovuto consentire in seguito la costruzione di alloggi, la produzione di beni di consumo, l'affittanza agricola per i soci disoccupati e infine una colonia residenziale a responsabilità solidale». L'esperimento riuscì. E divenne modello, exemplum.

L'economia circolare è nata nel XIX secolo

Ben presto l'esperimento sociale dei Probi Pionieri di Rochdale creo attorno a sé un'aura mitica, favorita anche dagli indubbi successi commerciali: «l'impegno a favore dell'istruzione e la grande scrupolosità nell'esercizio delle funzioni – spiega ancora Degl'Innocenti – finirono per conferire al mito dei Pionieri anche connotazioni etiche». Fu proprio questo ideale di rinnovamento etico complessivo a guidare l'esperienza del nascente movimento cooperativo italiano.

Nel 1861, dopo averne studiato principi e risultati, Francesco Viganò divenne tra i promotori della prima cooperativa di consumo in Italia, la “Società cooperativa di consumo di Como e sobborghi”, contribuendo alla diffusione dei magazzini cooperativi in tutta la Lombardia. Il modello era economicamente sostenibile e non pretendeva di vendere merce sottocosto, ma a un prezzo equo. E con i profitti si sarebbe finanziato il credito popolare. L'economia circolare, di cui tanto si parla oggi, è nata ieri: nella Lombardia del XIX secolo.

Così, nel 1874, Viganò fondò la Banca Briantea, con la ragione sociale di “popolare cooperativa” e nel 1886, al primo congresso dei cooperatori italiani, venne eletto presidente del comitato centrale della Federazione delle Società Cooperative Italiane che, dal 1893, prenderà il nome di Lega Nazionale delle Cooperative.

Per Viganò, che ne scrisse in numerosi volumi, dando poi uno spessore giuridico materiale alla proprie convinzioni, alla base del mutualismo e del cooperare si pone una reciproca promessa:

«Quando un manipolo di persone, raccolte insieme con promessa che l'una fa a tutte e tutte individualmente fanno a ciascuna di aiutarsi a vicenda, in una certa circostanza, in un certo modo, per un certo tempo o per sempre, preparando all’uopo a poco a poco i mezzi necessarii o raccogliendoli quando occorrono, — fonda una società che dicesi mutua, e che immediatamente potrebbesi chiamare di Cooperazione, perché i soci promettono tutti a ciascuno e ciascuno a tutti di cooperare ad uno scopo prefisso, utile a ciascuno e a tutti».

La forza istituente dell'etica cooperativa

Tre elementi, nella visione di Viganò, marcano in modo sostanziale il mutualismo e la cooperazione da altre forme associative: 1) l’ancoraggio a un valore fondante e prevalente, la fratellanza; 2) la funzione educativa, e non solo economica che ne dovrebbe caratterizzare lo spirito; 3) la capacità di diventare veicolo di contagio positivo (valore istituente) per l’intera società.

Viganò non solo fu un teorico e uno scrittore prolifico, un geniale estensore di prototipi contrattuali e di forme giuririche economicamente sostenibili, ma un insegnante molto capace. Il suo contributo, dalla cattedra di Scienza Commerciale e Ragioneria presso la nuova Imperiale Regia Scuola Tecnica al Cappuccio, fu essenziale per formare giovani professionisti che diedero un grande contributo allo sviluppo dell’economia civile lombarda e italiana.

Le mani nel concreto

Viganò fu dunque promotore di quella che chiamava cooperazione integrale. Un cooperare capace di unire credito e consumo, con un obiettivo chiaro: estendere la forma cooperativa a tutti i rapporti sociali ed economici.

Scriveva infatti Viganò ne La fratellanza umana ossia le società di mutuo aiuto cooperazione e partecipazione ed i municipi cooperativi (Milano, 1873): «La mutualità per rendersi efficace deve essere utile non solo ai soci ma direttamente o indirettamente alla società intera. Questa è condizione essenziale di esistenza. Perciò governi e municipi, ricchi e scienziati, filantropi e sacerdoti, amici dell'umanità e della giustizia, ricchi e poveri debbono incoraggiare ovunque colla parola e l'opera, in ogni modo, l'impianto delle società di mutuo soccorso che sono l'officina in cui si prepara il mondo avvenire».

Erano anni, quelli in cui Viganò scriveva, insegnava e operava, in cui le seduzioni della corsa all'oro si facevano sentire anche in Italia. Emigrare era il sogno di molti e sarebbe rimasto tale. Ma il vero oro, osservava questo grande innovatore, è già qui: in quella pratica cooperativa che Viganò, sulla scia del pensiero mazziniano, vedeva come «unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani».

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