Cultura
L’estremista della moderazione
Intervista a Marco Follini, il mediatore del polo
Marco Follini, neo segretario del Ccd, è romano, ha 47 anni, una moglie, una figlia, un bel sorriso sornione, occhialini tondi da intellettuale abbronzato e, soprattutto, oggi, all’interno della Casa delle libertà come nei confronti dell’opposizione, si sta ritagliando un ruolo non da poco, quello di leader del “partito della moderazione”. Il quotidiano di Giuliano Ferrara un po’ sfotte e un po’ tifa per lui: «Follini di tutto il mondo, unitevi!», scrive.
Follini lo intervistiamo in una normale giornata di guerra parlamentare, quella che si sta consumando, a suon di mozioni di sfiducia e di commissioni d’inchiesta, tra Polo e Ulivo, dopo i fatti di Genova. I tempi per noi, però, li trova. Forse perché i suoi sono i tempi lunghi di chi, nella vita, viene da lontano.
Giornalista, dirigente d’azienda, ha diretto i giovani democristiani dal 1977 al 1980 (e il giorno del suo discorso d’insediamento alla carica del partito della Vela, ereditato da Pierferdinando Casini, ha detto: «Nel 1974, se avessi potuto votare, avrei votato per mantenere la legge sul divorzio, legge dello Stato». Gelo in sala, registrano le cronache di quel giorno) ed è stato consigliere d’amministrazione della Rai dal 1986 al 1993.
Sulla Dc e sulla sua scomparsa ha scritto tre libri (L’arcipelago democristiano, 1990, La Dc al bivio, 1992 e C’era una volta la Dc, 1994) che, per essere scritti da uno che quella storia l’ha vissuta dal di dentro e che poi ha scelto nettamente di stare con il centrodestra, sono figli di un rigore e di una passione storica invidiabile. Partiamo da lì.
Vita: Onorevole Follini, alle elezioni, come Biancofiore, il cartello che ha visto uniti Ccd e Cdu, avete preso il 3,2 per cento, ma in Parlamento siete comunque forti di 40 deputati alla Camera e di 29 deputati al Senato. Che cos’è, oggi, il Ccd e quanto pesa all’interno della Casa delle libertà?
Marco Follini: Siamo una componente decisiva dello schieramento che ha vinto le ultime elezioni, ma il nostro risultato elettorale è stato deludente. Non ci riteniamo però, solo per questo, un ingombro, anzi: vogliamo crescere e soprattutto far capire alla coalizione di centrodestra che bisogna lavorare per ricostruire un tessuto di rappresentanza territoriale, un assetto politico e dei valori condivisi, all’interno della Casa delle libertà. I partiti politici non possono e non devono ridursi a meri comitati elettorali.
Vita: Molti osservatori la ritengono tiepido sul processo di fusione con il Cdu di Buttiglione e a volte in aperto dissenso con le sue posizioni. Lei ha detto: «Voglio portare i post-diccì nel ventunesimo secolo»…
Follini: Il Ccd ha 100mila iscritti circa (i dati si riferiscono al 2000) e una struttura radicata nel territorio, specialmente al Sud, dove abbiamo raggiunto punte di consenso del 20 per cento, ma quello che m’interessa è non confinare la nostra storia politica e ideale dentro uno steccato formale. Il cattolicesimo democratico e liberale ha avuto e ha un grande ruolo, nel nostro Paese, e la storia della Dc è lì a testimoniarlo, ma questa storia e il nostro passato non devono diventare un ghetto. Del resto, la principale fortuna della Dc fu proprio quella di saper mettere assieme la storia del movimento cattolico con l’istinto moderato degli elettori italiani da un lato e con la cultura politica liberale dall’altro. È da lì che bisogna ripartire.
Vita: La chiamano il “moderato del Polo”. Bossi e Fini dicono una cosa, lei, spesso, ne dice un’altra.
Follini: Proprio perché stiamo ben dentro la maggioranza e non abbiamo nessuna intenzione di uscirne, ma ci collochiamo proprio sulla sua linea di confine, con una posizione che non è ambigua, ma semplicemente affacciata verso il resto del mondo. Non siamo e non ci vogliamo confondere con i faziosi del centrodestra, anche perché penso che, alle elezioni come in politica, vince chi dispone di maggiore capacità d’interpretazione del senso e della direzione nella quale sta andando il Paese.
Vita: Allora, Follini, proviamo ad andare per punti. Violenze della polizia dopo il G8: è stato giusto optare per la commissione d’inchiesta, sì o no? L’Ulivo la chiedeva, il Polo non la voleva.
Follini: Ritengo positivo che si accenda un riflettore parlamentare sui fatti di Genova. La scelta migliore è stata quella fatta, una commissione d’indagine, non d’inchiesta, svolta dal Parlamento, senza sovrapposizioni con il lavoro della magistratura, come ha detto lo stesso Berlusconi nel suo discorso alla Camera. Ma un punto deve essere chiaro: Genova è stata messa a ferro e fuoco da facinorosi provenienti dalle fila dei manifestanti. Poi, se ci sono stati abusi e atti in cui le forze dell’ordine hanno passato il segno, credo siano limitati e circoscritti, ma voglio che su di essi la commissione d’indagine faccia piena luce. Con l’opposizione il dialogo bisogna cercarlo, sempre. Abbiamo vinto le elezioni, è vero, ma di poco, e abbiamo ottenuto, nel Paese, un consenso largo, ma non larghissimo. Il nostro è un sistema d’alternanza e dobbiamo sapere che il potere, il consenso, così come lo si conquista, lo si può perdere.
Vita: Onorevole, ma lei cosa pensa dei cattolici che sono scesi in piazza a manifestare contro il G8?
Follini: Li rispetto, ma ho un’idea del mondo e della globalizzazione completamente diversa dalla loro: nella mia le luci sono superiori alle ombre, anche se vedo e so riconoscere il divario drammatico che si è creato tra l’isola privilegiata dell’Occidente e il mare della povertà che alberga nel Terzo Mondo, uno squilibrio che va risolto. Considerazione, se vuole, moralmente doverosa e politicamente ovvia. Detto questo, non credo che il benessere dell’Occidente sia una colpa né credo, come pensano Agnoletto e anche molti cattolici, che lo sviluppo degli uni sia unicamente la ragione della povertà degli altri.
Vita: Nella cornice dello squilibrio tra Primo, Secondo, Terzo e Quarto mondo s’inserisce anche il fenomeno dell’immigrazione, legale e illegale. Quella illegale, Fini e Bossi sostengono sia un reato. Lei cosa ne pensa?
Follini: Guardi, io su questo punto vorrei essere molto chiaro. L’immigrazione legale dovremmo abituarci a considerarla una risorsa e una ricchezza del nostro Paese, non una minaccia, il problema è come regolarla e governarla. Poi c’è la questione degli immigrati irregolari, che non siamo in grado di accogliere, e che vanno limitati. Ma contesto fermamente l’idea di parte del centrodestra che crede di potersi liberale di questo problema considerando l’immigrazione clandestina alla stregua di un reato. Per noi questo è un tema decisivo: in Parlamento siamo pronti a far mancare i nostri voti a una legge che consideri l’immigrazione clandestina un reato e senza i nostri voti quella legge non passerà mai.
Vita: Onorevole Follini, vorrei concludere quest’intervista da dove è partita. Dai suoi libri, cioè, e da quello che lei ritiene essere oggi il nesso tra politica, Chiesa e società. Che ruolo hanno i cattolici?
Follini: Il rapporto non può che essere riformulato all’insegna del pluralismo. Anche nel mondo cattolico, ad esempio, oggi c’è chi vive la globalizzazione come un’occasione e chi la vive come una minaccia: l’unica politica possibile, da parte della Chiesa come dell’universo delle sigle e delle realtà cattoliche, non può che essere quella dei “cento fiori”, per mutuare un’espressione della sinistra e di tanti anni fa, cento fiori che si rispettano e che tengono ben presente le loro difficoltà nell’interpretare il reale. La sfida si gioca sempre più sul terreno dell’innovazione, anche per i cattolici che fanno politica, non certo su quello dell’eredità. Bisogna saper leggere positivamente e saper interpretare i “segni dei tempi”, come diceva Paolo VI. La Dc è finita, il suo tempo si è consumato. Davanti a noi c’è uno spazio ampio, enorme, ma bisogna essere capaci di proporre, innovare, cambiare.
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