Non profit
L’estremismo fa male alla pace
"Che cosa serve alla pace?" In anteprima l'editoriale di Giuseppe Frangi del numero di VITA non profit magazine in edicola da domani
In questa settimana l?Italia si è trovata davanti una molteplicità di risposte a questa domanda. Abbiamo sentito il Papa, determinato e realista come mai, proporre a tutti, cattolici e non, una giornata di digiuno per il prossimo 5 marzo. Abbiamo poi visto decine di pacifisti bloccare i treni che portavano armi americane destinate alla guerra. E poi quante nuove bandiere si sono aggiunte ai balconi italiani, anche grazie al successo dell?iniziativa di Vita che è uscito, nelle maggiori città, con l?arcobaleno allegato.
Senza dubbio c?è un?intenzione comune che lega tutte queste iniziative: ed è la coscienza drammatica di che cosa comporterebbe per il mondo un?eventuale guerra. Del resto sapevamo come il grande movimento arcobaleno fosse un movimento plurale, composto da tante anime, ciascuna pronta a dimenticare le proprie e altrui diversità in nome di un bene più grande.
Per questo ha ragione Edo Patriarca, in questa stesse pagine, a sostenere che non si deve criminalizzare nessuno. Che qualche blocco di treno non può trasformare dei pacifisti in terroristi. Eppure una domanda è giusta porsela: Se è identica l?intenzione che muove tutti, è identica anche l?efficacia delle strategie scelte?
Certamante non lo è. E il motivo è semplice. Il 15 febbraio in tutte le città del mondo era scesa in piazza una quantità di gente da seminare il panico nei centri del potere più guerrafondaio. Anche gli apparati informativi sono andati in tilt: dopo aver diffuso la cifra di 110milioni di persone, come somma di tutte quelle schierate apertamente contro la guerra, hanno ritirato in fretta e furia la notizia cercando goffamente di ridimensionarla (il giallo è stato ricostruito da Gabriella Meroni a pagina 5). Il New York Times ha parlato dell?opinione pubblica mondiale come di una nuova entità in grado di condizionare le decisioni della potenza più grande. E non è solo una questione di numeri, ma anche dell?intelligenza politica con cui spontanemante si è mossa. Senza mai cadere nelle provocazioni, puntando sulla ragionevolezza delle proprie posizioni per riuscire ad aggregare il maggior numero di persone.
Come hanno spiegato efficacemente Luigi Bobba e Savino Pezzotta nei giorni scorsi, invece all?operazione Stop the train è mancata questa lungimiranza politica. ?L?iniziativa ha sollevato un problema reale? spiega a Vita Bobba. ?perché questi movimenti di materiale bellico avrebbero quanto meno voluto un?autorizzazione dalle commissioni parlamentari competenti?. Per cui, continua il ragionamento di Bobba, ad una prima azione dimostrativa avrebbe dovuto seguire un?azione politica, di pressione sul governo e di mobilitazione dell?opinione pubblica. Invece l?impeto per la pace ha portato a strafare e probabilmente se oggi si scendesse di nuovo per le strade a testimoniare per la pace, molti si farebbero da parte. Questo dicono i sondaggi: gli stessi che per settimane hanno spiegato come l?80% degli italiani fosse contro la guerra, ora dicono che il 55% non condivide queste azioni dimostrative (anche il pubblico del sito di Vita, compattissimo sino a ieri, si è diviso: 39 % contrari e 61 % favorevoli ai sit in sui binari).
Non c?è nulla da criminalizzare. Ma riflettere è necessario. La pace è un bene troppo serio e concreto che non possiamo abbandonare al mercato delle utopie. I blocchi dei treni alla fine difficilmente riusciranno ad impedire, anche ad un semplice proiettile, di raggiungere la sua destinazione. La mobilitazione di quella che anche il New York Times ha definito la nuova potenza mondiale, cioè l?opinione pubblica, invece può davvero mettere in crisi il partito della guerra. E in buona parte ne ha già incrinati i progetti.
Probabilmente l?esser maggioranza richiede anche una consapevolezza nuova, una capacità di pazienza e di lungimiranza, una coscienza calma della propria forza: perché la pace nasce e cresce grazie alla persistenza di comportamenti nuovi nel sociale. Ma se dai colori dell?arcobaleno, simbolo non casuale di una immensa pluralità, qualche colore si stacca e con le migliori intenzioni se ne va in fuga, la prima a perderci è la pace.
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