Politica

L’esternalizzazione dei servizi sociali? Ha raggiunto dimensioni eccessive e disfunzionali

Lo scrive nero su bianco il nuovo Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-23, appena pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

di Sara De Carli

Un sistema in mezzo al guado. Così il Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-23 definisce l’attuale sistema dei servizi sociali. Il Piano è stato approvato il 28 luglio dalla Rete dell’inclusione sociale e pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sul proprio sito in agosto.

«I servizi sociali debbono essere i principali alleati della ripresa economica e civile dei nostri territori e possono esserlo perché “con le persone” a cui si rivolgono, essi ne sostengono i percorsi di crescita e di sviluppo, sulla base di un sistema di diritti e di prestazioni in grado di promuovere e proteggere “tutti e ciascuno” secondo le diverse necessità e condizioni. Ma è una condizione di efficacia essenziale, per un moderno e competente sistema di servizi sociali, il suo operare promuovendo le competenze dei cittadini utenti, favorendo in modo attento e positivo lo sviluppo delle relative capacità. Tutto ciò richiede che vi siano azioni, cure, sostegni e aiuti finalizzati a promuovere l’inclusione e a limitare ‒ per quanto possibile ‒ la cronicizzazione di situazioni di dipendenza da interventi assistenziali. Inoltre, il compito dei servizi sociali è favorire il superamento di situazioni di isolamento e ghettizzazione delle situazioni di disagio sociale e ciò richiede una capacità di riconoscimento e valorizzazione delle reti di cittadinanza. Queste reti possono contribuire in modo decisivo alle strategie di inclusione sul territorio attraverso lo sviluppo di pratiche di autorganizzazione della solidarietà e di efficace collaborazione al migliore funzionamento dei servizi pubblici. La partecipazione diventa dunque elemento fondante dell’efficacia dell’azione di un sistema dei servizi sociali che costruisca quotidianamente inclusione e resilienza. Tale partecipazione, tanto quella diretta quanto quella mediata da reti formali e organismi di rappresentanza, deve operare tanto nella fase ascendente della programmazione, quanto in quella discendente dell’implementazione e del monitoraggio e della valutazione degli andamenti e dei risultati», si legge nel Piano.

Negli ultimi anni il servizio sociale professionale «è andato in crisi da un lato per la riduzione del personale in seguito ad intensi flussi di pensionamento non bilanciati da ingressi a seguito del blocco del turnover, dall’altro dall’assommarsi di nuovi carichi di lavoro ai vecchi. Vero è che alla carenza di personale (non solo di assistenti sociali) si è diffusamente ovviato con le esternalizzazioni, peraltro in maniera non omogenea sul territorio. Tuttavia, gli operatori sociali “esternalizzati”, che pure sono di grande valore ed offrono un contributo importantissimo, non possono sostituire, come numero e come possibilità di intervento, quelli dei servizi pubblici, mentre là dove la loro presenza è più pervasiva si presentano problemi di ruolo e condizioni differenti di lavoro e retribuzione che segmentano la funzione. L’esternalizzazione dei servizi sociali è un fenomeno che ha raggiunto, in parallelo con la riduzione del personale comunale, dimensioni eccessive e disfunzionali», prosegue il documento. Qui sotto la tabella pubblicata a pagina 21 del Piano Nazionale.

«L’esperienza storica, anche recentissima, dimostra come sia proprio la presenza di servizi pubblici adeguati ed impegnati che consente lo sviluppo delle migliori esperienze di servizio e di protagonismo da parte delle stesse organizzazioni della società civile e di valorizzare il fondamentale ruolo del Terzo settore al benessere collettivo. Al contrario è sbagliato pensare che lo sviluppo degli interventi sociali possa concludersi con una mera delega di funzioni alle organizzazioni del Terzo settore e del volontariato».

«Che la scelta cada su meccanismi di co-programmazione o co-progettazione, ovvero su meccanismi di appalto, rimane fermo che l’esperienza degli ultimi anni ha portato nel sociale a situazioni limite, con procedure o bandi volti alla realizzazione di attività o all’affidamento di servizi anche di pochi mesi, che hanno alimentato l’incertezza negli operatori, costretti a rincorrere bandi e progetti senza soluzione di continuità, col perenne incubo di dovere terminare improvvisamente la propria attività e la frequentissima perdita di solide professionalità costruite nel tempo sul campo. Tuttavia, laddove sia assicurata certezza di risorse finanziarie attraverso un’adeguata pianificazione, non vi sono ragioni per le quali le procedure di selezione dei partner progettuali, ovvero di appalto scelte, debbano tradursi in affidamenti di qualche mese o di uno-due anni al massimo. La normativa corrente, anche la normativa sugli appalti, che prevede specifiche norme sull’affidamento dei servizi sociali ‒ permette, senza forzature, di prevedere affidamenti di durata ben più lunga (basti pensare, fra tutte, alla possibilità di inserire nei contratti la clausola di ripetizione di servizi analoghi). In tal senso, nell’orizzonte di programmazione del Piano si perseguirà l’obiettivo di una pianificazione pluriennale delle risorse finanziarie, che consenta una programmazione di ampio respiro dei servizi coniugando la necessità di dare adeguata stabilità e continuità ai servizi con i principi inderogabili di trasparenza ed evidenza pubblica».

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