Musica e divieti

L’estate senza musica dell’Afghanistan. E non solo

Il divieto di musica non riguarda solo l'Afghanistan dove il regime oscurantista dei Talebani ha messo al bando ogni attività musicale. Ma anche lo Yemen e casi di divieto di canzoni si registrano in Egitto, Cina

di Paolo Bergamaschi

Ecco i Paesi che vietano la musica

Estate vuol dire vacanze, vacanze vuol dire festa, festa vuol dire musica. Non c’è luogo in Italia nei mesi estivi che non sia interessato da almeno un momento di intrattenimento più o meno organizzato; non c’è piazza, piazzetta, angolo o parco sia nelle località di villeggiatura che in quelle di residenza che non ospiti fra maggio e settembre un evento artistico sotto le stelle o che faccia da sfondo a qualche artista di strada.

Non è così dappertutto, però. Sicuramente non in Afghanistan dove il regime oscurantista dei Talebani ha messo al bando ogni attività musicale. Con l’obiettivo di distruggere oggetti ritenuti elementi di corruzione e immoralità che causano la perdizione della gioventù e il declino della società a fine luglio il Ministero per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio ha  confiscato e dato fuoco a centinaia di strumenti musicali mettendo in rete le foto dei roghi. Per i Talebani gli strumenti sono arnesi del male incompatibili con la legge islamica. Sarebbero a decine i musicisti afghani costretti a riparare in Pakistan e altri paesi limitrofi per potere continuare a svolgere la propria attività professionale e tenere viva la tradizione musicale dei luoghi di origine. 

Nonostante la considerevole distanza il passo fra Afghanistan e Yemen è breve visto che anche qui i ribelli Houthi che controllano buona parte del Paese, hanno deciso di imitare le autorità di Kabul chiudendo a San’a’, la capitale, 14 botteghe che vendevano cd e dvd. A nulla sono valse le proteste dei residenti costretti a subire i provvedimenti di un regime che non ammette comportamenti che deviano da una interpretazione quantomeno restrittiva della legge islamica.

In Egitto, però, non sono di carattere religioso i motivi che hanno indotto il locale sindacato di musica, su sollecitazione delle autorità, a cancellare all’ultimo momento il concerto di Travis Scott, il popolarissimo rapper che ha sostituito immediatamente la data del tour prevista alle piramidi di Gyza con il concerto che si è tenuto a Roma al Circo Massimo lo scorso sette agosto, non senza polemiche, davanti a 60.000 fan scatenati. “Afrocentrismo” è stata l’accusa rivolta al cantante in una diatriba che da tempo vede gli egiziani criticare gli afro-americani per essersi appropriati, a loro dire, della cultura dell’antico Egitto violando tradizioni e morale. Le minacce alla libera espressione musicale, comunque, non si limitano al mondo islamico.

A fine luglio a Hong Kong l’Alta Corte ha respinto la richiesta delle autorità di mettere al bando la canzone “Glory to Hong Kong” spesso utilizzata come inno dalle migliaia di dimostranti che nelle piazze della città protestavano nei mesi scorsi contro la legge sull’estradizione in Cina. “Liberate Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi” sono i versi del brano che irritano i censori considerandoli un incitamento alla secessione dopo il ritorno nel 1997 della ex colonia britannica sotto il controllo di Pechino. La canzone, peraltro, è stata erroneamente usata come inno ufficiale anche in manifestazioni sportive internazionali a cui Hong Kong partecipa in quanto entità amministrativa dotata ancora, almeno per ora, di uno statuto di autonomia. Troppo pericoloso il messaggio, hanno pensato in Cina, meglio intervenire. Il tentativo è fallito e questa è una buona notizia. Quasi certo, tuttavia, che Pechino, purtroppo, non mollerà la presa e che prima o poi riuscirà a sopprimere le note sgradite a un regime che non brilla affatto per il rispetto delle libertà civili.

E sempre a proposito di musica vietata in questa estate bollente vale la pena segnalare la notizia di questi giorni che la Moldavia, senza alcuna spiegazione, ha impedito l’ingresso di Goran Bregovic che doveva esibirsi al festival della chitarra di Orhei provocando un incidente diplomatico con Belgrado. Non c’è dubbio che le controverse posizioni dell’artista di Sarajevo sull’invasione russa dell’Ucraina e l’annessione della Crimea stridano con la situazione tesa che i moldavi stanno quotidianamente sperimentando sotto la costante minaccia di Mosca ma non è senz’altro con i divieti che si affermano le buone ragioni. Il musicista, comunque, non ha avuto problemi a spostare il concerto nella vicina Romania dove si esibirà in un festival finanziato anche dall’Ue.

Tempi difficili per la musica e vita dura per i musicisti a cui va tutta la nostra solidarietà. “Una musica può fare cambiare…..”, cantava Max Gazzè un paio di anni fa, “….. il mondo”, aggiungo io. Spaventano di più chi è al potere, a volte, le parole sulle note di un pentagramma che i voti nelle urne. Un’estate senza musica non è una vera estate.            


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