Politica
L’esordio nel centro anti cannabis
Nella comunità "Il Risorto" di Taranto che ha ospitato la prima uscita pubblica
di Redazione
Martina Franca, comunità Il Risorto. È quaggiù, a 30 chilometri da Taranto, che il neosottosegretario Carlo Giovanardi ha deciso di inaugurare, con una trasferta ufficiale, il 16 maggio scorso, la sua azione di governo nella lotta alle dipendenze. Un luogo simbolo. Da qui, infatti, è partita la rivolta contro l’ex ministro della Salute, Livia Turco, “colpevole” di voler allargare le maglie del consumo di cannabis. Gli operatori ne parlano come di un centro di recupero modello, dove otto ragazzi su dieci riescono a reinserirsi nella società dopo aver completato i due anni di cammino terapeutico.
Fondata nel 1995 da un parroco di trincea, don Luigi Larizza (nella foto), reduce da 20 anni di attività pastorale nel quartiere più disagiato di Taranto, il Paolo VI, la comunità ospita oggi 12 giovani dai 21 ai 33 anni con problemi di polidipendenza. «Un numero volutamente ridotto, perché solo con un rapporto diretto la persona riesce a uscire dalla dipendenza e rifarsi una vita», spiega il 58enne don Larizza, balzato agli onori delle cronache nel 2007, nelle vesti di autore del ricorso al Tar che bloccò la circolare della Turco che raddoppiava la dose minima legale di cannabis, da 0,5 a un grammo.
«Non lo conoscevamo, ci ha contattato lui e noi siamo stati ben lieti di ospitarlo», rivela il sacerdote riferendosi a Giovanardi. «Un incontro cordiale. Il suo scopo era rendere omaggio alla mia intuizione nell’aver presentato il ricorso per mancanza di pareri degli esperti, cosa a cui nessuno aveva pensato», continua don Larizza. Nella comunità, oltre al sacerdote, operano un medico, due psicologi, altrettanti educatori e segretari. «Agli utenti e alle loro famiglie non chiediamo nulla, i fondi che riceviamo arrivano dall’Asl: 45 euro al giorno per ospite», precisa. La comunità dell’agro tarantino ha una concezione aperta del lavoro di recupero: «Questo non vuole essere un rifugio dal mondo, tanto è vero che dopo due mesi di terapia i giovani svolgono già attività all’esterno, e ogni tre mesi, al termine di ogni fase del programma, tornano per cinque giorni nelle loro case».
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