Famiglia
L’eremita del lago di Como
Silvio scelse la solitudine a 35 anni. "Non mi sono mai annoiato:leggevo, scrivevo poesie,parlavo con i pescatori. Ero libero".Poi due anni fa l'alluvione e i dolori hanno vinto.
Si chiama Silvio, ha 66 anni ed è nato a Briosco, a metà strada tra Milano e Lecco. Un brianzolo doc, insomma, che una volta lavorava come lucidatore di mobili ad Arosio. Finché, a 35 anni, Silvio decide di lasciare tutto. Vaga per il mondo alla ricerca della propria dimensione. La scopre vivendo come eremita su una spiaggia di Abbadia Lariana, piccolo centro di tremila anime a pochi chilometri da Lecco. E qui trascorrerà 21 anni della sua vita.
Come Robinson Crusoe
Lo incontriamo da Fratel Ettore a ?Casa Betania?, a Seveso, uno dei tanti rifugi di pace, fondato dal frate con il saio nero e la croce rossa al petto. Suor Teresa ci accoglie con gentilezza e un po? di perplessità. «Ma come mai tutti vogliono parlare con Silvio?», ci chiede con un leggero accento abruzzese. Saliamo al piano superiore. Tutto è povero, ma dignitoso. Silvio vive qui perché la casa di riposo di Abbadia Lariana non poteva ospitarlo. Il clima è sereno, accogliente. Molti si avvicinano, ci stringono la mano, si presentano sorridenti. Tutti ci chiedono una sigaretta. Ovviamente fumare è proibito. Sono i poveri di Dio, quelli che prima stavano sulla strada, ubriachi, deliranti, con la barba lunga e lo sguardo triste. Sono i figli di Fratel Ettore, strappati dalla strada e dalla disperazione.
Silvio ha lo sguardo dolce, sereno. È magro e veste semplicemente. Capelli bianchi e folti, barba grigia e spinosa, sembra uscito da un dipinto dell?800. Il tempo ha scavato qualche ruga, ma lo spirito è ancora giovane. Della famiglia preferisce non parlare. Si illumina, invece, nel ricordare i giorni trascorsi da eremita, sulle rive del lago, come Robinson Crusoe. «Fino al ?63», racconta con allegria, «lucidavo mobili. Però non ero contento, soffrivo la civiltà. Allora ho mollato tutto e via. Ho bighellonato di qua e di là per tredici anni, finché ho deciso di vivere su una spiaggia di Abbadia Lariana». Della vita trascorsa a lucidare il legno dice poco. «Non sono uno scansafatiche, mi piace lavorare, ma soffro i comandi e le osservazioni fuori posto. Stare con la gente a volte è duro. Ho preferito andar via, evitare di cadere nell?abbruttimento morale e materiale».
Quando faceva l?eremita viveva in una capanna? «No. Dormivo sotto la superstrada a due passi dalla spiaggia. La capanna non serviva perché la spiaggetta è riparata dai venti del nord». E per mangiare? «Il lago era pieno di pesci. Pescavo certi cavedani! E poi coltivavo i fagioli. Avevo i fagioli più alti del mondo. Non è una barzelletta da megalomane. Li facevo arrampicare su pali che avevo piantato sulla spiaggia. Facevo la brace, oppure bollivo pesce e fagioli. Bevevo l?acqua del lago e non ho mai avuto problemi. La zona tra Abbadia e Lecco è una delle più pulite del lago».
Silvio è uomo di grande dignità. Niente elemosina, solo qualche lavoretto per le sigarette, l?olio e qualche chilo di patate. Non si annoiava? «Mai. Non so cosa sia la noia. Per fare l?eremita bisogna essere pronti, altrimenti è noioso e brutale. Di giorno leggevo, parlavo con i pescatori di passaggio, d?estate chiacchieravo con i turisti. Avevo pochi amici, ma stupendi. Erano loro il mio legame con il mondo, mi portavano libri e riviste. La mia passione, però, è scrivere. Scrivevo riflessioni sulla vita, sulla scienza e qualche poesia. Ogni giorno vedevo l?alba e il tramonto, i raggi del sole riflettersi sul lago, mi piaceva il rumore delle onde sui sassi della spiaggia. Mi sentivo libero».
E qui da Fratel Ettore cosa fa? Silvio ride: «Scrivo, chiacchiero, contesto. Ho legato con tutti. È brava gente. Ma il mio cuore è là, al lago. Amo la libertà. Ho vissuto sulla spiaggia sino a due anni fa. Poi i dolori reumatici, la scarsità di pesce e l?alluvione mi hanno costretto a rinunciare. Ho bussato al Comune. Assistente sociale e sindaco sono venuti a trovarmi, hanno visto i miei fagioli e sono rimasti a bocca aperta». Da allora è cominciato un cammino di ritorno. Di ritorno al mondo, alla vita sociale.
«Grazie a un amico ho costruito una casettina ai piedi del lago. Un?altra persona mi ha fatto lavorare, come posteggiatore presso una discoteca. Ho lasciato la casetta. Era abusiva e l?hanno demolita. E poi… eccomi qua da Fratel Ettore insieme a tanti amici».
Perché ha deciso di far l?eremita? «O il suicidio, o il vino, o abbruttirsi. Queste erano le alternative. Essere eremita è stata la risposta al disagio che provavo. A ?Casa Betania? mi trovo bene, ma non penso di rimanere a lungo, devo organizzare il mio avvenire». Ottimismo e fiducia nel futuro. «Vorrei trovare un lavoro, chiedere l?elemosina non lo capisco. Perché devono offrirmi mille lire? In cambio di cosa? Della mia bella faccia? No, non posso accettarlo. Mi piacerebbe recitare le mie poesie nelle parrocchie». Il primo problema è la casa. Un monolocale è il sogno di Silvio, un rifugio dove scrivere poesie, cucinare i pesci del lago, leggere, stare con gli amici.
Le promesse del sindaco
Facciamo nostre le aspirazioni di Silvio e giriamo la richiesta ad Antonio Locatelli, sindaco di Abbadia Lariana. «Vista la precaria salute del Silvio», ci dice, «l?abbiamo accompagnato da Fratel Ettore in attesa che si liberi qualche posto alla casa di riposo. Ma i tempi sono lunghi, c?è la burocrazia di graduatorie e concorsi. Ma voglio prendere un impegno: farò il possibile per concedere a Silvio una casa e un lavoro. Faccio appello anche ai privati. Il Comune può offrire un contributo per l?affitto. Anche il lavoro potrebbe saltare fuori. Magari come posteggiatore di discoteca o ristorante, o in una attività turistica. Silvio è un uomo generoso. Merita aiuto. La solidarietà, del resto, è al centro del mio programma. Aiutiamo Silvio, ma anche tutti concittadini in difficoltà». Anche don Giovanni, parroco di Abbadia, non si tira indietro e promette una serata per Silvio, per le sue poesie, per la sua storia: «Magari da organizzare con altre associazioni culturali».
E Silvio intanto non pensa solo a sé. Nonostante la pensione minima, una parte dei risparmi la destina all?Africa. In Etiopia 40 bambini sopravvivono per il suo aiuto. «Offro qualche soldino a una missionaria. All?inizio non li voleva, ma dare qualcosa agli altri è per me un?esigenza fisiologica, non posso farne a meno, è come mangiare! Molti mi criticano, mi dicono di pensare alla mia situazione, al mio futuro. Ma il futuro non è solo mio. Ci sono anch?io, certo, con le mie poesie e le mie aspirazioni, ma anche loro, i miei bambini dell?Africa e le persone più infelici. Donare è per me come respirare, se smetto muoio».
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