Sostenibilità
L’equosolidale cercadesigner con la valigia
nuove professioni Creatività al servizio dell'etica
di Redazione
Non tutti possono disegnare prodotti del commercio equo. E non è solo questione di competenze. «Un prodotto solidale è prima di tutto un progetto collettivo nel quale il designer dev’esser disposto a sacrificare parte della sua creatività individuale»: a parlare è Lucy Salamanca, responsabile della progettazione dell’Area casa di Altromercato e fondatrice di uno dei sei studi che in Italia si occupano di design etico. Difficile, per un creativo, accettare compromessi e mettere confini alla propria creatività. Ma molto gratificante, secondo la designer che vive e lavora a Bologna. Salamanca è stata la prima designer di Altromercato: «Quando ho iniziato, sei anni fa, design era sinonimo di lusso e quindi difficilmente applicabile al non profit. Ora la mentalità è molto cambiata». È arrivata in Italia nell’84 da Bogotà, sua città d’origine, per frequentare l’Istituto europeo del design e poi, un progetto dopo l’altro, è rimasta. Una formazione totalmente italiana la sua, che le ha creato non pochi problemi quando si è trattato di «tornar indietro» e lavorare con i produttori del Sud del mondo.
Oggi il design etico costituisce un terzo del suo lavoro. Viaggia dall’America Latina al Nepal, dall’India al Vietnam per incontrare personalmente i produttori locali. E lo stesso processo creativo nasce dall’incontro col gruppo operativo che dovrà concretamente realizzare il prodotto. «Conoscere il contesto economico, sociale e culturale di produzione, capire se c’è una forte tradizione di artigianato o meno e quanto sono consolidati i meccanismi del commercio: tutto questo è indispensabile per mettere in piedi un progetto duraturo», racconta. Il progetto, insomma, si costruisce insieme: quando si parte occorre avere molte idee in mente ma il foglio ancora bianco.
Flessibilità: un’altra parola d’ordine per il designer etico. «Non esiste solo il Salone del mobile», spiega Salamanca: «Il design è una lente attraverso la quale guardare il mondo, per cambiarlo. Chi entra in questo settore dev’essere pronto a pensare a 360 gradi». E in un mondo in cui vince il più creativo, gli schemi vanno ribaltati e i consigli lasciano il tempo che trovano. Una regola d’oro, però, c’è ed è conoscere le tecniche artigianali. Non importa se la produzione è altamente industrializzata, dice la designer bolognese, «chi sa come lavorare la ceramica, ha una marcia in più». Per il resto, «sono le esperienze negli studi di progettazione, nelle realtà produttive e di vendita» che fanno la differenza. Nel suo studio tutti, anche i più giovani, hanno un contratto a tempo indeterminato. Ma, ammette, «il nostro è una caso raro». Altrove, i designer lavorano a progetto o su commissione. E le royalties (diritti intellettuali)? Vanno ad Altromercato. L’etica impone qualche rinuncia…
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