Cultura

L’equivoco dell'”esplosione demografica”

Le nuove tendenze demografiche rivelano un'involuzione dovuta a tre fattori: fecondità inferiore alla soglia di sostituzione, invecchiamento della popolazione, e aumento della mortalità

di Redazione

Previsioni dell’US Census Bureau – L’ufficio censimento degli Stati Uniti, fissa in 7.8 miliardi il livello che la popolazione mondiale raggiungerà nel 2025, con un aumento del 30 per cento rispetto alla situazione attuale. Ma il dato nasconde una realtà insospettabile: la decelerazione demografica che è in atto ormai da tempo sul nostro pianeta e che sembra destinata a crescere nei decenni a venire.
Nell’ultimo secolo un massiccio declino della mortalità dovuto al miglioramento delle condizioni di salute e all’allungamento dell’aspettativa di vita (circa 30 anni nel 1900, intorno ai 65 nel 2000) ha fatto quasi quadruplicare la popolazione della Terra, passata da 1.6 miliardi nel 1900 a circa 6 miliardi nel 2000. Tanto che per far fronte al problema di un’esplosione demografica giudicata imminente – e catastrofica – strutture amministrative internazionali come fondazioni, enti umanitari, istituzioni multilaterali e ministeri della Demografia nei paesi emergenti hanno pensato di “stabilizzare” la popolazione mondiale con una decisa politica di controllo delle nascite, puntando sulle regioni del mondo a basso reddito dove il tasso di fecondità rimane relativamente alto.
Ma le più recenti tendenze indicano che sarebbe più giusto parlare di implosione, piuttosto che di esplosione demografica, un fenomeno destinato probabilmente a trasformare il profilo della popolazione della Terra.
La riduzione sostenuta e progressiva delle dimensioni delle famiglie dovuta a pratiche di controllo delle nascite (quella che gli anglosassoni chiamano “secular fertility decline”) si è verificata per la prima volta nella storia due secoli fa in Europa, ma è negli ultimi decenni del XX secolo che ha acquistato rilevanza globale: tra i primi anni Cinquanta e la fine del Novecento il tasso di fecondità è sceso di oltre il 40% nel mondo. Oggi si valuta che la fecondità inferiore al livello di sostituzione (al livello cioè capace di garantire il ricambio generazionale) sia di casa in 83 paesi e territori del pianeta.

Se è vero che ogni popolazione mondiale di origine europea fa registrare tassi di fertilità al di sotto del livello di rinnovamento generazionale, è anche vero che il fenomeno non è più soltanto europeo. Esso si riscontra infatti nell’emisfero occidentale (Barbados, Cuba, Guadaloupe) e in paesi come Tunisia, Libano e Sri Lanka. Ma è nell’Asia orientale (Giappone, Thailandia, Hong Kong, Corea del Sud, Singapore e Taiwan) che appare maggiormente accentuato, con la Cina al primo posto grazie alla severissima campagna di pianificazione delle nascite attuata dal governo.
Le regioni dove più alto si mantiene ancora il tasso di fecondità sono l’Africa subsahariana e il Medio Oriente, ma anche qui la tradizionale immagine di un andamento della fecondità uniformemente alto risulta ormai superata.
Delle nuove tendenze demografiche che nel prossimo quarto di secolo cambieranno il profilo della popolazione mondiale meritano speciale menzione, oltre alla già citata fecondità inferiore al livello di sostituzione, l’invecchiamento della popolazione mondiale e l’incremento della mortalità anche in paesi che hanno già conseguito livelli di aspettativa di vita relativamente alti. Da considerare anche, per quel che riguarda il mondo industrializzato, la nuzialità (meno matrimoni che in passato), l’innalzamento dell’età media della maternità, una realtà lavorativa che impedisce alle donne di conciliare occupazione e maternità, e la limitazione volontaria delle nascite.

Calo di fecondità e immigrazione – La teoria secondo cui povertà, analfabetismo (specialmente nelle donne) e rigida osservanza religiosa sarebbero un ottimo vaccino contro il declino della fecondità è ampiamente smentita dai fatti: nel Bangladesh, reddito bassissimo e altissima incidenza di analfabetismo femminile non hanno impedito un calo del tasso di fecondità superiore al 50% nell’ultimo quarto di secolo. E in Iran (dove con una buona dose di contorsionismo dottrinale i mullah hanno deciso che una politica di controllo delle nascite era in linea con gli insegnamenti di Maometto) il livello di fecondità si è ridotto di due terzi e ora è sul punto di scendere al di sotto della soglia di sostituzione. Sui motivi che stanno alla base di questa caduta della fecondità non c’è chiarezza. Non esistono soglie socioeconomiche o precondizioni comuni ampie, ovvie e identificabili che consentano di spiegarla. Si può solo dire che sono cambiate in maniera significativa le idee sulle dimensioni della famiglia, e che i demografi sbagliavano nel sostenere che, per modernizzarsi, un paese deve prima raggiungere la fase di bassi livelli di mortalità e fecondità, lasciandosi alle spalle tratti sociali e culturali “non moderni” come bassissimi livelli di reddito, estrema povertà e analfabetismo di massa. Bangladesh e Iran insegnano.

Nei paesi industrializzati la crescita naturale della popolazione è fondamentalmente cessata. Nel 2000 il suo aumento è stato di 3.3 milioni di persone, due terzi delle quali immigrate, e nei prossimi 25 anni l’incremento naturale in questi paesi, secondo le previsioni dell’US Census Bureau, non dovrebbe oltrepassare i sette milioni di individui. Dopo il 2017, inoltre, il numero dei decessi dovrebbe superare indefinitamente quello delle nascite. E a quel punto solo un’immigrazione su scala molto più vasta di quante se ne siano viste finora potrebbe impedire il declino demografico. Per evitare il quale il volume annuo a lungo termine dell’immigrazione nell’intera Europa, secondo i calcoli dei demografi, dovrebbe essere circa il doppio dell’attuale ( 1.8 milioni contro un milione), e addirittura quadruplicare quasi per la popolazione in età lavorativa (dai 15 ai 64 anni), raggiungendo la quota di 3.6 milioni l’anno. Su questa base, entro il 2050 i discendenti dei non europei di oggi costituiranno dal 20 al 25% della popolazione del vecchio continente.

Invecchiamento – Nel 2025 l’Africa subsahariana avrà una popolazione con un’età media di 20 anni, e sarà una delle poche “sacche” mondiali in cui gli abitanti continueranno a essere giovani come in altre epoche del passato. Ma nel resto del mondo, e soprattutto nei paesi industrializzati, si registrerà un significativo invecchiamento. Tra 25 anni l’età media prevista sarà in questi paesi di 43 anni, contro i 37 attuali , mentre la Cina, a causa delle politiche di controllo della popolazione adottate dal governo, avrà un sesto dei bambini in meno e un aumento del 120 per cento degli ultrasessantacinquenni, cioè quasi 200 milioni di persone. E questo in un paese dove non esiste nulla che somigli lontanamente a un sistema pensionistico nazionale.

Crisi di mortalità – Fino alla fine degli anni Settanta il miglioramento generalizzato dell’aspettativa di vita e delle condizioni sanitarie è stato una realtà indiscutibile. Che ha cominciato a sgretolarsi nel periodo immediatamente successivo con l’abbassarsi dell’aspettativa di vita denunciata da un certo numero di paesi non lacerati da conflitti e disordini. Secondo l’US Census Bureau, i paesi nei quali nel 2010 l’aspettativa di vita alla nascita potrebbe essere inferiore a quella del 1990 sono oggi 39 (pari a un ottavo della popolazione mondiale). Si va dal Brasile e dalla Guyana allo stato micronesiano di Nauru, da 10 delle 15 repubbliche dell’ex Unione Sovietica a 23 paesi dell’Africa subsahariana, paesi diversi per latitudine, storia e situazione economica. L’eterogeneità di queste società fa capire che non esiste un’unica spiegazione per il declino della salute e l’aumento della mortalità, determinati da sindromi diverse simultaneamente attive in varie parti del mondo.
In Russia, per esempio, dopo la caduta del comunismo nel 1991 il tasso di mortalità è aumentato, e nel 1999 l’aspettativa di vita alla nascita era ritornata sui livelli di 40 anni fa. Gli esperti indicano nello stile di vita e nei rischi comportamentali – tra cui uso smodato di tabacco e alcol – oltre che in un sistema sanitario debole e allo sbando i fattori centrali dell’accorciamento della vita dei russi.

Nell’Africa subsahariana invece alla base della crisi di mortalità c’è l’AIDS. Come risulta dal più recente rapporto del Programma congiunto dell’ONU sull’HIV-AIDS (UNAIDS), dei 2.8 milioni di vittime fatte dalla malattie nel 1999, 2.2 milioni si inscrivevano geograficamente nell’Africa subsahariana.

Molto probabilmente il carattere contraddittorio di tutta una gamma di tendenze e pressioni demografiche cambierà il mondo nel prossimo quarto di secolo. L’abbassamento del livello di fecondità, per esempio, muterà la logica dei flussi migratorii internazionali e accelererà l’invecchiamento della popolazione globale. L’incanutimento della società metterà in moto tutta una serie di profonde trasformazioni e imporrà l’adozione di misure radicali per far fronte ai problemi – produttività, pensioni, assistenza sociale – che esse comporteranno. Cercare sin da adesso di comprendere, bloccare e sconfiggere le forze che stanno facendo salire il livello della mortalità è l’unico modo per garantirci un mondo a dimensione più umana di qui a 25 anni.

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