Non profit
Leonardo: io e la solidarietà
Il neo allenatore del Milan ha raccontato così a Vita Magazine il suo impegno per Fondazione Milan
di Redazione

Se Arrigo Sacchi ha cambiato il modo di fare calcio, Leonardo Nascimento de Araújo ha certamente rivoluzionato quello di fare il calciatore. «I giocatori oggi sono, e sanno di essere, delle piccole aziende, e hanno imparato ad utilizzare la loro immagine anche ai fini sociali». Leonardo non arriva a usare la parola csr, preferisce parlare di «finanza etica» e «sviluppo sostenibile», ma il concetto è quello. E se le parole non bastano, ecco i fatti. Anno 2001. Il brasiliano costituisce Gol de Letra Italia per sostenere le attività dell’omonima associazione fondata in Brasile con l’amico Raì. Anno 2003. Leonardo torna al Milan. È in rosa, ma in campo ci scende una volta sola. La testa è dietro una scrivania: quella della nascente Fondazione Milan. Da lì in avanti un vero e proprio vivaio sociale senza pari in Europa, da cui, una dopo l’altra, molte altre fondazioni in maglia rossonera: da Cafu a Oddo, da Shevchenko a Gattuso, passando per Bonera, Kaladze e Borgonovo.
Vita: Allenatore, manager, procuratore. Appese le scarpe al chiodo poteva scegliere mille altri mestieri e invece la ritroviamo al timone di una fondazione benefica. Come si spiega?
Leonardo: Fare il dirigente in un grande club era il mio sogno. Qui al Milan sono riuscito a conciliare questo impegno con il mio ruolo di segretario generale della fondazione. Le due cose sono collegate.
Vita: In che senso?
Leonardo: Noi abbiamo una sola persona assunta. Il resto dello staff lo mette la società. Si può dire che tutti qui al Milan lavorino, gratuitamente, per la fondazione. E dagli sponsor ai giocatori, quando c’è da sottoscrivere un contratto la fondazione ha sempre un suo spazio.
Vita: Negli ultimi tempi sono stati molti i calciatori che mettono in piedi organizzazioni di questo genere. Come se lo spiega?
Leonardo: Non credo sia una tendenza solo del calcio o dello sport. Mi sembra un fenomeno mondiale. È cambiato il concetto di beneficenza. Un tempo se ne parlava in relazione agli aiuti umanitari, oggi, anche nel nostro mondo, si incomincia a pensare in termini di sviluppo sostenibile e di finanza etica. Un po’ nel solco di quello che avviene nel mondo manageriale. I giocatori, e lo stanno sempre di più capendo, hanno questa potenzialità, perché sono diventati pian piano delle piccole aziende. Hanno capito che possono dare un contributo sociale importante attraverso la loro immagine e le loro finanze. Tanto più che molti di loro arrivano da realtà complicate e hanno toccato con mano situazioni difficili.
Vita: Quanto vale, dal punto di vista dell’immagine, per voi calciatori spendersi sul terreno della solidarietà?
Leonardo: È una vecchia polemica. Dicono che le fondazioni ci servano per lavare l’immagine. Altri addirittura pensano che servano per scaricare le tasse. Sgombriamo subito il campo da fraintendimenti. Ai redditi dei calciatori italiani le fondazioni non offrono alcun vantaggio fiscale. Le uniche agevolazioni sono per i fondi destinati ai progetti. Poi se uno utilizza la sua immagine per reperire fondi per una causa solidale, non vedo dove sia il problema. Quello che conta è la modalità con cui si fanno le cose e soprattutto i risultati che si ottengono.
Vita: Quanti fondi avete elargito sino ad oggi?
Leonardo: Poco meno di 4 milioni spalmati su circa 40 progetti.
Vita: Partecipate al 5 per mille?
Leonardo: Sì, fin dall’inizio. Nel 2006 senza promozione abbiamo raccolto 283mila euro. Dai segnali che ho è una performance che nei prossimi anni crescerà.
Vita: Che rapporto avete instaurato con la Fondazione Borgonovo?
Leonardo: Abbiamo organizzato la partita di Firenze dove abbiamo raccolto intorno ai 500mila euro. Dopo di che gli stiamo dando una mano sul versante organizzativo. Insomma, il rapporto rimane molto stretto.
Vita: Quali caratteristiche devono avere le associazioni che mirano a collaborare con voi?
Leonardo: I progetti che ci piacciono sono quelli che durano nel tempo.
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