Sostenibilità

L’Ente Parco Lucano è il più giovane d’Italia. Ma anche il più ambizioso. Obiettivo: promuovere insieme sviluppo economico e natura

di Redazione

Venti candeline. A dicembre dell’anno prossimo la legge quadro sulle Aree protette festeggerà i due decenni di vita ma, nonostante abbia superato la maggiore età, non sembra ancora in grado di dimostrare la sua maturità. Il suo medagliere conta ormai 24 parchi nazionali, 144 parchi regionali, 30 aree marine protette, 146 riserve statali, 378 riserve regionali, 446 altre aree protette, eppure, questo il castigo che la perseguita, sulla testa della 394/91 continua a pendere l’interrogativo che la accompagna sin dalla nascita. I patrimoni naturali sottoposti a tutela sono un vincolo o un’opportunità?
L’interrogativo ha fatto da sfondo al convegno “Biodiversità e risorse del Parco nazionale Appennino Lucano-Val d’Agri-Lagonegrese”, organizzato il 29 e 30 ottobre a Marsico Nuovo, in provincia di Potenza, dall’Ente Parco Lucano, il più giovane dello Stivale, in collaborazione con Eni. Interrogativo ineludibile per una semplice ragione. Il Parco infatti è venuto alla luce nel 2007 dopo un aspro e vivace dibattito durato un ventennio. L’area, inoltre, convive con le attività estrattive del petrolio autorizzate prima dell’istituzione.
L’incontro ha provato ad andare oltre il dilemma “vincolo sì, vincolo no” per porsi, semmai, un’altra domanda: come far sì che l’opportunità diventi una possibilità concreta di sviluppo delle valli lucane? La risposta del meeting è stata: condividendo il cammino con gli esperti e con gli stakeholder del territorio. Non è un caso se nei due giorni di confronto si siano avvicendati al microfono più di cinquanta relatori fra amministratori e accademici. Un connubio sintetizzato dalla figura del professor Romualdo Coviello, docente presso l’Università della Basilicata, ex senatore, componente del comitato scientifico del convegno e soprattutto padre del Parco dell’Appennino Lucano. Cinquanta e più intervenuti che hanno provato a mettere sul tavolo proposte più che cahier des doleances. Non è un caso, ancora, se il tema dei tagli del governo ai fondi per i parchi (sono stati previsti solo 29 milioni per il 2011) sia stato sfiorato soltanto da alcuni dei relatori. Le risorse economiche, è stato il messaggio lanciato da non pochi intervenuti, sono sì necessarie e indispensabili: se tuttavia manca il convincimento dei territori, la partecipazione degli stakeholder e la fiducia nel contributo dei tecnici, siano essi botanici, operatori turistici o economisti, le aree protette non vanno da nessuna parte. Anche se ci sono i soldi.
«Dobbiamo difendere e diffondere la nostra area protetta. Ciascun cittadino è chiamato ad essere sentinella del Parco di cui è abitante», ha esordito il commissario del Parco, Domenico Totaro. «Gli studi promossi dalle aree protette hanno contribuito molto ad accrescere le conoscenze sulla biodiversità. Sono delle banche dati», ha spiegato Antonello Zulberti, vice presidente di Federparchi.
Ma quali sono le conoscenze sul patrimonio faunistico e floristico italiano? Il punto sugli studi effettuati è stato al centro della relazione della professoressa Simonetta Fascetti, dell’Università di Potenza. La docente di Botanica ambientale, oltre a presentare una panoramica delle ricerche concluse o in itinere, ha esortato alla prudenza nell’introduzione di nuove specie sia animali che vegetali negli habitat naturali. Un fenomeno che negli ultimi decenni del ventesimo secolo, complici i cambiamenti climatici, si è accentuato.
Cesare Patrone, capo del Corpo Forestale dello Stato, ha aggiunto: «Molti dei problemi della difesa dell’ambiente sono legati ad una paralisi dell’azione amministrativa dovuta ad un decentramento che ha portato ad una debolezza nelle decisioni. Il Corpo Forestale, da questo punto di vista, può rappresentare il trait d’union, il filo conduttore, per incoraggiare non solo la difesa naturalistica dell’ambiente ma anche lo sviluppo sostenibile». Il vero rischio, ha aggiunto Patrone, è semmai l’abbandono del territorio da parte della popolazione. Un’emergenza che va affrontata «con una politica di investimento, nel rispetto dell’ecosistema, per dare lavoro ai giovani negli stessi territori che vogliamo tutelare e proteggere». A spostare più a “sinistra” la bussola della discussione ci ha pensato Gaetano Benedetto, presidente del Parco nazionale del Circeo nel Lazio, il quale ha ricordato che le normative europee sono chiare sulle competenze. Il vero punto debole, in realtà, è lo scarso rilievo assegnato al Piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili previsto dalla legge quadro. «I Parchi nazionali sono un’opportunità naturalistica e soprattutto democratica», ha chiosato Benedetto.


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