Economia
L’Emilia Romagna scommette sulle cooperative di comunità
Domani a Bologna il convegno conclusivo della Scuola delle cooperative di comunità promosso dall'Alleanza delle cooperative italiane. Intervista all'assessore alle politiche Ambientali, Paola Gazzolo: «Per la montagna sono un veicolo di sviluppo straordinario»
di Redazione
La rete della cooperative di comunità del parco nazionale dell’Appennino tosco emiliano stanno diventando un modello a cui si guarda non solo in Italia, ma in tutto il mondo tanto che l’Unesco lo ha riconosciuto come area Mab (Man and Biosphere). Ma qual è il valore aggiunto concreto che questa esperienza ha portato in termini di sviluppo sociale ed economico? Abbiamo girato la domanda a Paola Gazzolo, assessore alle politiche ambientali dell’Emilia Romagna, che domani a Bologna parteciperà al convegno conclusivo della Scuola delle cooperative di comunità (“Cooperare nelle comunità: un bene comune per il Paese”).
Assessore, qual è l’impatto sociale di questa esperienza?
Le cooperative di comunità rispondono a due necessità: rendere protagonisti i cittadini nei processi decisionali che li riguardano ad esempio nella gestione dei servizi e nella valorizzazione dei territori e, in secondo luogo ma non per importanza, innescare processi che portino al superamento del vincolo della sostenibilità economica per servizi essenziali come quelli relativi alla scuola, alla sanità, messi a rischio nelle realtà di ridotte dimensioni. Problemi molto presenti soprattutto in montagna dove nessun piano d'impresa basato solo sul profitto troverebbe conveniente investire. Territori a rischio di deterioramento complessivo delle condizioni di vita, con il conseguente ulteriore spopolamento. Il valore aggiunto delle cooperative di comunità sta proprio nel contrasto a questi fenomeni di depauperamento sociale, economico, ambientale.
Quel modello può essere esportato in altre aree di montagna? A quali condizioni?
In Emilia-Romagna esistono esperienze molto belle di cooperative di comunità. La loro propagazione è l'auspicio con cui si è confrontata la recente Conferenza per la montagna che abbiamo tenuto qualche settimana fa a Castelnovo Monti. Le condizioni sono due, strettamente correlate: le risorse da destinare alla montagna affinché la persone tornino a viverci per lavorare, studiare, fare impresa, in montagna ed un processo culturale, il cosiddetto story telling, capace di rendere attrattiva la montagna.
Quali impegni si assume la Regione per sostenere questo tipo di iniziative?
Per quanto riguarda le risorse nell'arco del mandato stanzieremo fondi per 700 milioni nell'arco del mandato per migliorare viabilità e collegamenti tra pianura e montagna, per la difesa del suolo e la cura dell'ambiente e del territorio, per garantire la banda ultra larga a tutti i Comuni. Aiutando il manifatturiero e le imprese agricole e spingendo sul turismo. A questo proposito va sottolineato che non ci sono mai stati tanti arrivi da un decennio. Per la “narrazione” del vivere in montagna abbiamo bisogno che si attivino le migliori risorse culturali, per questo pensiamo ad un vero e proprio “Laboratorio Appennino”.
Che tipo di sviluppo può avere questo modello da qui a cinque anni?
Lo sviluppo che potranno avere le cooperative di comunità non dipende solo dall'intervento pubblico. Dobbiamo evitare in tutti i modi una logica assistenzialista da contributo a pioggia. Insieme, pubblico e privato affinché tornare a vivere in montagna sia vissuto come una reale opportunità in virtù di una migliore qualità della vita. Se non inneschiamo questo meccanismo non sarà solo la montagna a pagare il prezzo di un depauperamento ambientale e sociale, ma anche il resto del territorio
Delle attività delle cooperative di comunità che ha conosciuto, qual è quella che l’ha sorpresa di più?
In tutte le esperienza di cooperative di comunità con cui sono entrata in contatto mi sorprende la capacità di generare processi positivi di sviluppo locale anche nelle più piccole comunità che ritrovano identità e motivazione a proseguire.
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