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L’emergenza profughi e la partecipazione record dei milanesi
Dopo i respingimenti e la chiusura delle frontiere, Milano rischia di diventare un altro imbuto umanitario, ma oltre la tensione, c’è anche una città che, dalle donazioni record al boom di volontari, fa di tutto per far fronte all’emergenza
“I migranti in transito li riconosci subito, non hanno niente, neanche un sacchetto, arrivano qui che hanno ancora il sale del mare addosso”. Alberto Sinigallia di persone appena arrivate dal mare ne ha viste moltissime. È presidente e direttore generale di Progetto Arca, la fondazione che gestisce il primo nodo dell’accoglienza milanese, l’hub di via Sammartini, proprio in fondo alla strada che costeggia la Stazione Centrale. “Da qui passa chi non vuole fermarsi in Italia, chi non è stato identificato appena dopo lo sbarco, oppure chi è stato identificato ma vuole comunque provare ad andare all’estero,” spiega Sinigallia. A giugno dall’hub sono passate circa 3mila persone e gli arrivi si sono intensificati negli ultimi giorni. Ad arrivare, soprattutto etiopi, sudanesi ed eritrei, per la maggior parte uomini soli, ma anche donne, bambini e adolescenti.
Un flusso di persone che ha reso necessario anche l’aiuto dei cittadini: in centinaia hanno risposto all’appello delle organizzazioni e dell’assessorato alle politiche sociali, che invitava le donazioni di abiti, cibo e beni di prima necessità. Il magazzino dell’hub è pieno: “Non ci immaginavamo una risposta del genere, sono arrivati centinaia di pacchi,” racconta Sinigallia.
Dopo l’emergenza del 2013, quando centinaia di persone si fermavano per qualche notte nel piano ammezzato della Stazione Centrale, per ripartire appena possibile, Milano, a differenza di altre città italiane, ha deciso di offrire accoglienza anche ai migranti in transito, uno status non riconosciuto legalmente dall’Unione Europea, poiché, secondo il trattato di Dublino, i migranti dovrebbero chiedere asilo nel primo Paese di arrivo (l’Italia). “Si è scelto di dare una risposta umanitaria, che garantisca migranti e cittadini, perché chi è in transito, deve avere un luogo di accoglienza, non è accettabile che sia obbligato ad accamparsi in un parco.” Continua Sinigallia.
Gestito insieme a 14 organizzazioni, tra cui AVSI, Save the Children e Albero della Vita, e circa a una cinquantina di volontari, l’hub è il primo punto di accoglienza per i migranti in transito appena arrivati in città, stremati da un viaggio lunghissimo. Qui viene offerta una prima assistenza medica, cibo, acqua un kit igienico, con salviette, sapone e asciugamano e informazioni rispetto a dove passare la notte, a seconda della disponibilità dei posti letto nelle diverse strutture della città.
“Fino ad oggi erano stati messi a disposizione circa 700 posti in strutture diverse per i migranti in transito, ma non bastano più,” racconta Sinigallia. “Molti di quei posti sono stati presi dai richiedenti asilo, che quest’anno sono molti di più rispetto al passato ma nel frattempo le persone continuano ad arrivare.”
Fino al 2015 infatti il 90% delle persone che passavano dall’hub ripartivano dopo pochissimi giorni, quest’anno, dopo la chiusura delle frontiere la situazione è cambiata. Molti, dopo diversi tentativi di varcare il confine, sono costretti a restare in Italia, una situazione che potrebbe trasformare Milano in un vero e proprio imbuto umanitario.
“Qui affianco all’hub abbiamo altre due stanze, dove riusciamo ad ospitare oltre 300 persone. Nelle notti scorse, però c’era così tanta gente che non siamo riusciti ad accogliere tutti. Abbiamo dovuto distribuire anche sacchi a pelo per chi è rimasto a dormire all’aperto.”
A conquistarsi le prime pagine delle cronache milanesi, sono le polemiche sull’utilizzo, o meno, del campo base dell’area Expo, a Rho per accogliere i profughi e gli scontri di via Corelli dove, proprio lunedì, nell’ex CIE, una quarantina di richiedenti asilo hanno occupato il centro di accoglienza: una protesta contro i tempi lunghissimi per la presa in esame delle domande per ottenere lo status di rifugiato. Episodi che raccontano una situazione sempre più tesa e la necessità di offrire nuove soluzioni, a livello politico, legislativo e logistico, ma che non raccontano tutto. Oltre la tensione c’è anche una partecipazione straordinaria da parte di moltissimi cittadini.
Vogliamo anche provare ad offrire un luogo sicuro, in cui condividere la propria storia e poter depositare, almeno per un attimo, le proprie sofferenze, prima di ripartire. D’altra parte l’accoglienza è anche questo."
Ulderico Maggi, direttore di Comunità Sant’Egidio
Mentre si aspettano le conferme sull’apertura del campo di Expo, infatti è stato confermato l’allestimento di altre strutture per fare fronte all’emergenza, per una capienza di circa altri 400 posti, tra cui, grazie anche all’attivazione dei milanesi, il Memoriale della Shoah, costruito su quel Binario 21 per molti anni rimasto nascosto alla città, dove tra il 1943 e il 1945 migliaia di ebrei vennero caricati nei treni merce per essere trasportati nei campi di concentramento.
Per diversi mesi, già lo scorso anno, il Memoriale, di giorno aperto alle visite guidate, si trasformava, di notte, in centro di accoglienza. Una quarantina di posti letto, allestiti poco lontano dalla parola “indifferenza”, scritta a caratteri cubitali all’ingresso e voluta fortemente da Liliana Segre, una delle ultime testimoni della Shoah, perché, come ci aveva raccontato Roberto Jarach, vice-presidente della Fondazione Memoriale della Shoah, mettere a disposizione quel luogo e dare un mano era “il modo migliore per proteggersi dalla complice silenziosa dell’olocausto”, l’indifferenza appunto.
Gestito da Comunità Sant’Egidio lo scorso anno il Memoriale aveva accolto oltre 4mila persone, grazie alla partecipazione di diverse organizzazioni del territorio e di moltissimi volontari. “L’esperienza dell’anno scorso è stata straordinaria, e anche quest’anno c’è moltissima partecipazione.” Spiega Ulderico Maggi di Comunità Sant’Egidio. “Abbiamo lanciato l’annuncio per la ricerca volontari dieci giorni fa e abbiamo già più di 200 richieste.” Dai volontari di seconda generazione, alla chiesa anglicana, agli studenti delle superiori che, prima di entrare a scuola, passavano dal Memoriale, per servire la colazione ai profughi, quella del Memoriale è stata un’esperienza capace di coinvolgere molte anime diverse della città. “Qui non vogliamo solo offrire un posto in cui dormire e mangiare, vogliamo anche provare ad offrire un luogo sicuro, in cui condividere la propria storia e poter depositare, almeno per un attimo, le proprie sofferenze, prima di ripartire. D’altra parte l’accoglienza è anche questo.”
Nonostante le soluzioni provvisorie, l’estate però è ancora lunga e le incognite rimangono molte, come spiega Sinigallia: “Ci aspettiamo ancora molti arrivi, legati a ragioni diverse. Ad esempio, assisteremo sempre più all’arrivo di profughi costretti a lasciare il proprio Paese per fuggire al cambiamento climatico, alla desertificazione e queste persone non hanno meno diritto di altre all’accoglienza. Il punto è che siamo di fronte a un tema europeo e globale. Fino a quando ci saranno guerre, miseria e oppressione, le persone continueranno a scappare.”
OLIVIER MORIN/AFP/Getty Images
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