Mondo

L’emergenza non sono i migranti ma il lavoro

Per Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà/Confcooperative, «occorre smettere di parlare di invasione ed emergenza. Il numero di persone accolte in Italia si è stabilizzato a quota 150mila. Gli italiani che emigrano all’estero sono 250mila l’anno. Da cosa ripartire se non dal lavoro e da percorsi di integrazione»

di Giuseppe Guerini

I dati sull’arrivo di richiedenti asilo nei mesi di luglio e agosto certificano chiaramente che occorre smettere di parlare di emergenza e ancora meno di invasione.

Nell’ultimo mese sono circa 3.000 le persone sbarcate sulle coste italiane nell’agosto 2016 furono quasi 11.000. In questi mesi abbiamo sostanzialmente stabilizzato il numero di persone accolte che sono poco meno di 150.000. In totale in Europa ne sono accolti circa 5 milioni, dato che deve farci ritenere che sia anche ora di smettere il piagnisteo nazional-popolare sul fatto che l’Italia sia stata lasciata sola a gestire l’accoglienza, per quanto sicuramente sia importante rivedere le regole di ripartizione, occorre riconoscere che la Germania ospita quasi settecentomila rifugiati, la Francia oltre 300.00. L’Austria verso la quale spesso dirigiamo polemiche sul confine del Brennero ospita oltre 90.000 rifugiati, che significa 10 rifugiati ogni 1.000 abitanti, in Italia siamo a 2,4 ogni 1.000 abitanti. Inoltre andrebbe messo in evidenza che la maggioranza delle persone arrivate in Italia non sono di religione mussulmana ma bensì cristiani, in buona parte nigeriani.

È ora di smettere il piagnisteo nazional-popolare sul fatto che l’Italia sia stata lasciata sola a gestire l’accoglienza

Per finire vorrei ricordare che l’Uganda, che ha 37 milioni di abitanti, per lo più poveri, sta accogliendo circa un milione di rifugiati in fuga dal Sud Sudan. La narrazione della continua emergenza, la spettacolarizzazione della gestione dei salvataggi in mare e l’organizzazione sistematica della demonizzazione dell’accoglienza è quindi solo funzionale a speculazioni politiche, cavalcate con obiettivi diversi da opposti schieramenti politici, contro o a favore, ma in ogni caso mute sul piano delle proposte concrete su come governare efficacemente il fenomeno.

Gli italiani che emigrano all’estero sono ormai 250mila. Nessuno di questi è un rifugiato tutti sono “emigranti economici”

Se a questa lettura affianchiamo l’analisi su quanto sono gli italiani che emigrano all’estero troviamo che siamo ormai a 250 mila. Nessuno di questi è un rifugiato tutti sono “emigranti economici” – cioè come la maggioranza di quanti arrivano in Italia e che, in quanto tali, andrebbero respinti. Quindi i nostri emigranti economici sono “cervelli in fuga” mentre, gli altri, i “migranti economici” sono usurpatori.

Da cosa ripartire quindi se non dal lavoro e dalla costruzione di percorsi di integrazione che, a partire dai richiedenti asilo oggi ospitati nei centri di accoglienza, possa sviluppare percorsi di riconoscimento dei titoli di soggiorno legittimati dalla valutazione fattiva della disponibilità ad integrarsi, apprendere la lingua e un lavoro.

Il modello degli SPRAR è ricco di storie positive e di iniziative in cui i rifugiati accolti si impegnano per lavori di utilità sociale e pubblica

Il modello degli SPRAR è ricco di storie positive e di iniziative in cui i rifugiati accolti si impegnano per lavori di utilità sociale e pubblica. Ora che la pressione sulle coste è diminuita sarebbe davvero un occasione formidabile per rilanciare un progetto che blocchi la “fabbrica di clandestini” che rischia di essere il sistema di accoglienza in emergenza, per implementare un piano di integrazione delle persone che sono oggi in attesa di essere valutate rispetto alla richiesta di asilo, offrendo un opportunità ai “migranti economici” di mettere in gioco l’energia che arriva dalla loro aspettativa di migliorare le loro condizioni di vita, che se viene tenuta in stallo nell’inerzia di un attesa non potrà mai essere generativa. Diamo vita ad un piano straordinario di qualificazione dei territori, di manutenzione del patrimonio ambientale e abitativo che occupano le persone e coinvolgendo le comunità locali, lo Stato, le imprese raccolga la scommessa di una crescita che parte dallo sviluppo delle persone.

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